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ROMA. L’occhio del satellite resuscita la piramide perduta dei Nasca Algoritmi ed elaborazioni in falso colore: la scoperta made in Italy.

Nell’immagine elaborata al computer in falso colore, la piramide sale come un fantasma dal fondo dell’oceano. Ma non e’ acqua, e’ terra quella che la sommerge, resa trasparente dalla super-vista dei satelliti.
La struttura, interamente sepolta, e’ stata scoperta da ricercatori italiani del Cnr a Cauhachi, culla della civilta’ Nasca, non lontano dai celebri geoglifi che solcano l’arida regione peruviana di Ica e che costituiscono uno dei piu’ affascinanti misteri dell’archeologia.
I risultati della ricerca sono stati presentati nel corso del primo Workshop internazionale EARSeL – «Advances in remote sensing for archaeology and cultural heritage management» – che si e’ tenuto presso la sede del Cnr a Roma.
La piramide di adobe, cioe’ di terra cruda essiccata al sole, ha forma asimmetrica, con quattro gradoni che si elevano su una base di circa 90 metri per 100. Non e’ la prima rinvenuta nella zona: probabilmente e’ simile a quella gia’ scavata, che sorge a un paio di chilometri di distanza. Ma l’eccezionalita’ della scoperta e’ dovuta al fatto che i suoi autori non hanno dovuto lavorare di pala e piccone, ma «solo» scegliere le immagini satellitari giuste e applicare il software piu’ adatto per elaborarle.
Infatti, non sono archeologici classici: Nicola Masini, 43 anni, e’ un ingegnere civile che lavora all’Istituto per i beni archeologici e monumentali (Ibam), e Rosa Lasaponara, sua coetanea, e’ un ingegnere elettronico dell’Istituto di metodologie per l’analisi ambientale (Imaa), entrambi del Cnr di Potenza.
Insieme hanno messo a punto tecniche innovative di telerilevamento – il «remote sensing» – basate su particolari algoritmi, detti indici spettrali, gia’ utilizzati nelle scienze forestali e nell’analisi ambientale.

«Rgb» e’ il nome di un modello di colori di tipo additivo basato sui tre colori principali: Rosso (Red), Verde (Green) e Blu (Blue). Un’immagine puo’ essere scomposta, usando filtri o altre tecniche, in questi colori-base che, miscelati, danno quasi tutto lo spettro dei colori. Ma agli estremi dello spettro visibile esistono anche «finestre» che non sono percepibili dall’occhio umano, ad esempio quelle per il vicino infrarosso («Nir»), ma che possono essere lette dai sensori dei satelliti. Ogni banda dello spettro e’ sensibile alle variazioni di alcune grandezze fisiche, ad esempio il rosso alle variazioni di umidita’ e il vicino infrarosso all’attivita’ di fotosintesi, il che puo’ fornire indicazioni sullo stato di salute della vegetazione.
Elaborando in «Rgb» le immagini ad alta risoluzione di Cauhachi fornite dal satellite commerciale QuickBird, i ricercatori hanno quindi potuto individuare delle anomalie su un’area coltivata finora poco indagata, attraversata dal Rio Nasca, a Nord-Ovest della zona desertica piu’ studiata. Masini e Lasaponara hanno poi enfatizzato i dati sulle variazioni di umidita’ e vegetazione presenti al suolo, dovute alla differente porosita’ dell’adobe e del terreno circostante.
Queste variazioni, come si puo’ immaginare, sono minime, data la sostanziale uniformita’ dei materiali: combinando e dosando opportunamente le componenti cromatiche, si e’ ottenuta una foto chiarissima della struttura sepolta.
«Sono orgoglioso di questa scoperta – ha dichiarato Masini – che apre nuove prospettive nel telerilevamento di strutture di terra cruda, molto utilizzate non solo in Centro e Sud America dalle civilta’ precolombiane, ma anche in Africa e Asia, dove questa tecnica potra’ essere applicata con successo tanto su terreni aridi che altri, coperti di vegetazione».
Tutto e’ cominciato nella primavera del 2007, quando Masini sottopose il suo lavoro a Giuseppe Orefici, direttore della Missione Archeologica Italiana «Proyecto Nasca» e uno dei massimi esperti mondiali di questa civilta’, che studia dal 1982.
«Stavamo cercando le prove che l’area cerimoniale di Cauhachi si estendeva sui due lati del fiume – commenta ora, soddisfatto, Orefici -. Era un’area immensa, che copriva 24 km quadrati, la piu’ grande del mondo in mattone crudo. Fa impressione pensare che all’epoca del suo definitivo abbandono, verso il 450 d.C., l’intera Roma non era cosi’ vasta».
Anche la fine di Cauhachi rimane avvolta nel mistero, come tutta la civilta’ Nasca che la creo’ e la fece sopravvivere, con immensi investimenti di uomini e di mezzi, per circa 1000 anni. Quasi certamente la citta’ sacra fu devastata da un terremoto di inaudita violenza e, piu’ o meno nello stesso periodo, fu sommersa da grandi alluvioni, forse dovute al fenomeno del Nino. Cauhachi era stata riedificata piu’ volte – i dati archeologici testimoniano almeno cinque fasi architettoniche – ma la catastrofe ambientale indusse l’elite sacerdotale a decretarne solennemente l’annientamento.
Sopra le rovine ancora fumanti dei templi dati alle fiamme furono erette nuove strutture di adobe, da utilizzare provvisoriamente per compiere offerte e sacrifici anche umani, destinati a placare l’ira degli dei.
«Poi, pero’, le rovine furono sepolte da migliaia di metri cubi di terra, sabbia e argilla, alternati a strati di vegetali, a cui furono mescolati milioni di frammenti di materiali cerimoniali – racconta Orefici -. Proprio a settembre abbiamo rinvenuto i resti di un bambino sacrificato avvolto in un manto, 88 ceramiche, 34 splendide zucche dipinte con colori resinosi, oggetti in metallo prezioso, trofei, cesti e flauti di pan in ceramica. Un ritrovamento di eccezionale valore – prosegue l’archeologo – se si considera che da 26 anni a oggi abbiamo scavato soltanto un’area di un chilometro quadrato».
Ma, conclude con amarezza, «sebbene questo sia uno dei piu’ importanti progetti archeologici del continente americano, e’ destinato a languire per la solita mancanza di fondi».
Milleseicento anni fa, con una sanguinosa cerimonia di addio, di fronte a un popolo terrorizzato dalla violenza degli elementi e incredulo per il tradimento delle divinita’, i sacerdoti seppellirono l’antica capitale teocratica e sigillarono per sempre il suo segreto.
La celarono agli occhi degli uomini, ma non a quelli dei satelliti: singolare coincidenza per una civilta’ che e’ diventata celebre in tutto il mondo per gli enormi disegni e le linee visibili solo dal cielo, da alcuni considerati antiche piste di atterraggio per antenati celesti.  


Fonte: La Stampa – Tuttoscienze 22/10/2008
Autore: Cinzia Di Cianni
Cronologia: Arch. Precolombiana

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