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POPULONIA (LI) – Le tombe etrusche ed il ferro dell’impero romano.

Provenivano da qui spade e frecce usate da Giulio Cesare nelle campagne contro i Galli.

L’anfora più sorprendente del Tirreno emoziona da trent’anni i visitatori della costa di Piombino. Recuperata nel 1968 nelle acque del Golfo di Baratti dal relitto di una nave romana di età imperiale, ha passato anni in un laboratorio di restauro, poi è stata esposta al pubblico nel piccolo museo di Populonia. Da due anni, dopo un nuovo restauro che le ha dato una luminosità straordinaria, fa bella mostra di sé nel nuovo, bellissimo Museo archeologico di Piombino.

Fusa in argento massiccio nel IV secolo dopo Cristo, l’anfora è impreziosita da 132 medaglioni in rilievo. La sagoma analoga a quella di vasi provenienti dalla Moldavia e la presenza di figure che indossano un berretto frigio fa pensare che sia stata realizzata sulle rive del Mar Nero. Una nave diretta verso un porto sconosciuto l’ha portata sulla costa della Toscana.

Affacciato sul braccio di mare solcato dai traghetti che fanno la spola con l’Elba, il nuovo museo di Piombino è stato in augurato nel 2001 all’interno della Cittadella, una fortezza costruita tra il Quattro e il Cinquecento, rimaneggiata nel 1807 dai principi Felice ed Elisa Baiocchi, trasformata in scuola nel Novecento e poi abbandonata per decenni.

Dedicata a Populonia (l’antica Popluna) e al suo territorio, la raccolta inizia con alcune sale dedicate agli insediamenti preistorici della zona e alla nascita della metallurgia intorno al secolo IX avanti Cristo. Poi si passa agli Etruschi, con l’esposizione di armi, corredi funerari e oggetti di vita quotidiana recuperati nelle necropoli della costa e delle colline dell’interno. La storia di Populonia e della sua riscoperta, d’altronde sembra uscita da un romanzo d’avventure. Per quasi mille anni, dal IX secolo avanti Cristo, il ferro estratto nelle miniere dell’Elba è arrivato sulla terraferma nel Golfo di Baratti, dove le navi venivano scaricate e tirate in secco sulla spiaggia.

All’inizio i forni, i depositi di minerale e le scorie occupavano la fascia più vicina alla costa. L’abitato di Populonia sorgeva alla base delle colline, i tumuli della necropoli di San Cerbone furono eretti nel secolo VII avanti Cristo. Più tardi, però, l’espansione della lavorazione del minerale li ha fatti sparire sotto uno strato di scorie di ferro alto fino a sei metri.

Venivano da Populonia le spade e le punte di freccia usate dai legionari di Roma nelle Guerre Puniche e nelle campagne di Giulio Cesare contro i Galli. Al tempo di Augusto, invece, arrivò nell’Urbe il metallo di qualità superiore proveniente dalle miniere del Nord Europa, e per Populonia fu una crisi mortale. Dopo cent’anni di decadenza, la città antica fu completamente abbandonata. A farla tornare alla luce è stata un’altra svolta della metallurgia.

Nel 1908 le scorie di Baratti hanno iniziato a essere recuperate per essere fuse di nuovo nelle acciaierie di Piombino. Le alte temperature dei forni moderni consentivano infatti di recuperare il minerale (più della metà) che gli antichi non erano stati capaci di estrarre. La fame del ferro degli anni dell’autarchia fascista ha completato la “ripulitura” della zona. Poi anche le acciaierie di Piombino hanno iniziato a perdere colpi. Le amministrazioni locali hanno scelto di puntare sulla natura e la storia.

Nel 1985 i Comuni di Piombino, Campiglia Marittima, San Vincenzo, Suvereto e Sassetta hanno dato vita alla Parchi Val di Cornia Spa, che ha investito fino a oggi una ventina di milioni di euro. Oltre al Museo della Castellina di Piombino, la società gestisce il Parco archeominerario di San Silvestro e le aree protette della Sterpaia e di Rimigliano, rispettivamente a Sud e a Nord del promontorio.

Sulle alture al confine tra le province di Livorno e Grosseto, il Parco di Montioni e il Parco forestale dei Sassi Neri consentono escursioni a piedi, a cavallo e in mountain bike, incontri con cinghiali e caprioli, itinerari sulle tracce di boscaioli e carbonai. Il Parco archeologico di Baratti-Populonia, il primo in Italia a venire affidato in gestione ai privati, è stato inaugurato nel 1998 e ha subito avuto un grande successo. Le aree protette si estendono su oltre 10 mila ettari e danno lavoro a un centinaio di persone.

Per gran parte dei visitatori, la prima visita è quella alle necropoli di Populonia. Si inizia visitando la Tomba dei Carri (28 metri di diametro) e gli altri giganteschi tumuli della necropoli di San Cerbone, poi ci si addentra nel bosco alla ricerca delle tombe della necropoli delle Grotte. Una parete con due piani di sepolture si affaccia su una cava utilizzata dagli Etruschi nella costruzione dell’Acropoli. Gli ultimi blocchi, squadrati ma non staccati dalla montagna, sembrano ancora aspettare i cavatori di venticinque secoli fa.

I ragazzi hanno a disposizione laboratori di tessitura, scultura e ceramica etrusca e appassionanti lezioni su come condurre uno scavo archeologico. Al tramonto la rocca cinquecentesca di Populonia regala un magnifico panorama sul promontorio, le alture dell’interno, il profilo dell’Elba e il Tirreno. Nelle giornate più limpide appaiono le montagne della Corsica.

Ancora più sorprendente è una sosta nel Parco archeominerario di San Silvestro, sulle ripide colline che separano Campiglia Marittina dalla costa. Si inizia visitando il museo sistemato in una vecchia officina, dove una raccolta di minerali si affianca a quella di vecchi arnesi da miniera. Poi ci si addentra nella galleria del Temperino, dove i minatori hanno lavorato fino agli anni Sessanta. Sulle pareti, accanto a cristalli di pirite, di malachite e di gesso, si distinguono le tracce delle mine e dei picconi.

Dopo essere tornati all’esterno, si sale alla Rocca di San Silvestro, che sorveglia dall’anno Mille i più importanti giacimenti di rame e piombo argentifero della Maremma toscana. Intorno ai ruderi di una torre trecentesca ci sono i resti di un villaggio medievale abbarbicato alla rupe. Verso Ovest, un profondo vallone consente di affacciarsi sull’azzurro del Tirreno. I gheppi e le poiane che volano veloci nel cielo, gli aculei dell’istrice che compaiono all’improvviso sul sentiero ricordano che la Maremma è anche una grande meta naturalistica.

“Ormai le attività prevalenti sono altre, ma la cultura della miniera è ancora fondamentale in questa zona”, spiega Angiolo Fedeli, guida al Parco archeominerario di San Silvestro e assessore alla Cultura del Comune di Campiglia Marittima. “Come in altri paesi delle Colline Metallifere, molti giovani vengono da famiglie di minatori, hanno studiato all’Istituto Tecnico Minerario, non vogliono emigrare per trovare un lavoro. Il Parco è un ottimo sbocco anche per noi”.

Dopo essersi trasformati da tecnici minerari in guide turistiche, Angiolo e i suoi colleghi hanno dovuto apprendere anche degli altri mestieri. A primavera accompagnano le comitive scolastiche in gita, varie volte all’anno si camuffano da artigiani, mercanti e soldati medievali per ridare vita al villaggio arroccato sulla rupe. D’inverno l’animazione si sposta nelle gallerie del Temperino, dove vengono messi in scena spettacoli per adulti e bambini. Grazie ai Parchi e a chi ci lavora, le colline dei minatori e degli Etruschi sono rimaste vive e vitali.

Fonte: La Stampa Specchio – 12 luglio 2003
Autore: Stefano Ardito
Cronologia: Arch. Italica

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