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POLPENAZZE DEL GARDA (Bs). Gabry, un mistero lungo 4 mila anni.

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Quel che resta di Gabry ha, suppergiù, 4 mila anni. Quando ci ha lasciati, doveva invece averne non più di quattro o cinque. Tutti gli altri li ha passati al riparo di alcune cortecce di ontano, che le hanno fatto da sarcofago assieme alla terra e alla torba che, grazie agli scavi, hanno partorito uno dei villaggi palafitticoli del Lucone, a Polpenazze (il Lucone D, a essere pignoli). Quel che resta di Gabry è solo un cranio. O meglio un pezzo. Senza la mandibola. E con qualche dente appena («da latte» – ha sentenziato un odontotecnico con il pallino dell’archeologia).
Anche fosse vivo, o viva, mica potrebbe parlare. Eppure, di cose forse ne racconterà un sacco, quel teschio umano trovato venerdì, verso sera, da Gabriele Bocchio, uno dei veterani degli scavi in quel che fu il lago Lucone.
«L’ho chiamato Gabry, con la ypsilon – racconta Bocchio – perché non sappiamo se fosse un bimbo o una bimba. Ma era integro, ho capito subito che era un cranio umano. Gli altri mi prendevano in giro, dicevano “ma dai, sarà la solita capra”. Del resto, di crani umani non ne avevamo mai trovati. Quella notte, fino alle 4, non sono riuscito a prendere sonno per l’emozione. Avevo la pelle d’oca».
Cosa ci possa raccontare, quel che resta di Gabry, è presto per dirlo. Prima dovrà andare in un laboratorio specializzato. Ma Gabriele Bocchio qualche ipotesi la butta lì: «Quella di Gabry non era una sepoltura. Altrimenti avremmo trovato anche altra ossa. Nè è il bimbo o bimba è morto nell’incendio che ha distrutto questo villaggio attorno al 1980 avanti Cristo, nell’antica età del Bronzo, perché il teschio non ha segni di combustione».
E allora? «Allora deve essere stato posato all’interno del villaggio pochi anni dopo l’incendio. Chissà, forse da qualche familiare come simbolo apotropaico o propiziatorio, dopo la nascita del nuovo insediamento. Questo spiegherebbe anche perché il cranio era stato protetto con alcune cortecce di ontano. Insomma, Gabry potrebbe dirci molte cose su culto dei crani che pare fosse praticato a quei tempi». Soprattutto se, in laboratorio, sul teschio di Gabry venissero trovate tracce di pigmento o di altri «trattamenti», ulteriore prova di un rito.
In attesa di saperne di più, quel che resta di Gabry potrebbe diventare il nuovo logo del Lucone, da affiancare al marchio Unesco di patrimonio dell’umanità, arrivato l’anno scorso. E far rivivere i fasti del 1965, quando il ritrovamento di una piroga preistorica al Lucone finì sulla copertina della Domenica del Corriere, illustrata dal celebre Walter Molino.
Non che, tra gli addetti ai lavori, il Lucone abbia granché bisogno di pubblicità: a fargliela, ci pensano studiosi e studenti che arrivano qui da ogni parte d’Europa e del mondo («Una coppia persino dalla Nuova Zelanda» – ricorda Bocchio) per scavare e studiare. Ma quel che resta di Gabry, come testimonial, non lo batte nessuno.

Autore
: Luca Angelini

Fonte:
www.corriere.it, Brescia, 29 luglio 2012
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