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PESARO. Colombarone – Area archeologica.

Gli scavi hanno portato alla luce diverse strutture pertinenti ad un complesso residenziale, il cui disegno complessivo non è ancora possibile definire in modo compiuto. Le strutture meglio conservate sono venute alla luce nel settore a monte del lungo corridoio biabsidato a suo tempo interpretato come “nartece”, perché meno disturbato dagli scavi del XVIII secolo. Qui sono venuti per ora alla luce una decina di vani, quasi tutti pavimentati a mosaico, oltre a un’area verosimilmente cortilizia, attraversata da una fistula in piombo tuttora conservata. I muri che separano i vari vani sono stati per lo più spogliati in antico: rimangono però ancora alcuni lacerti che conservano parte dell’originario zoccolo dipinto. Sopra i mosaici sono state individuate tracce di successive ripavimentazioni e resti di impianti produttivi realizzati quando ormai il palazzo era in buona parte rovinato. Tutto questo era coperto da un livello di macerie, all’interno del quale sono ricavate le fosse per numerose tombe ad inumazione che sembrano collocarsi in un ampio arco cronologico.

Materiali rinvenuti e datazione del sito
Materiali di importazione nordafricana e di fabbricazione locale databili tra il III e il VII secolo.
Ritrovamenti monetali: un solidus d’oro di Leone I (457-474) e un tremisse d’oro di Giustino I (518-527) coniati a Costantinopoli, un piccolo bronzo di Atalarico (526-534), alcune monete databili a periodi più recenti, tra cui un denario in argento di Ugo di Provenza (926-945) coniato dalla zecca di Milano.
Sulla base dei materiali rinvenuti le strutture archeologiche di Colombarone, riferibili ad una villa residenziale tardoantica, sembrano databili tra la metà del III e il VI secolo d. C. Il limite cronologico superiore è chiaramente indicato da una tomba ad inumazione il cui fondo è costituito dal mosaico del vano A; la tomba non può scendere oltre la metà del VII secolo per la presenza, come corredo, di un pettine in osso a doppia fila di denti.

Breve storia
Nell’arco di vita tra la metà del III e il VI secolo, la villa conosce diverse fasi che si traducono in risarciture dei mosaici e ripavimentazioni. La presenza di focolari e impianti produttivi che poggiano sui mosaici (fonderia rinvenuta nel vano B, tracce di fuoco acceso sopra un sottile strato di terreno che ricopriva il mosaico di N), testimoniano una fase di abbandono della casa e un suo riutilizzo per fini diversi al momento attuale non chiaramente precisabili. Successivamente, e verosimilmente nel giro di poco tempo, la casa scompare e all’interno del livello di macerie che ne sigilla i resti vengono scavate le fosse di un cimitero ad inumazione, il cui inizio è anteriore alla metà del VII secolo e che è ancora pienamente funzionante nel X, ma che con ogni probabilità continua ben oltre questa data.La costruzione della villa di Colombarone va messa in relazione con l’accentuarsi del processo di concentrazione della proprietà terriera e con il formarsi di enormi patrimoni fondiari. La ricchezza dei proprietari della villa è dimostrata, più ancora che dalle due monete d’oro trovate, dai mosaici che richiamano per tipologia ed accuratezza quelli del duomo di Pesaro e che dunque contribuiscono ad allargare i problemi sollevati dal ritrovamento di questi pavimenti. Non è possibile stabilire il momento esatto in cui la villa fu abbandonata e distrutta. Sulla base delle vicende storiche che hanno interessato questo settore è probabile che a determinarne la fine siano state o la discesa in Italia dei Goti o, più verosimilmente, la guerra greco-gotica (535-553).

Storia degli studi

1757 – L’erudito pesarese Annibale degli Abbati Olivieri Giordani effettua dei saggi di scavo nella piana di Colombarone per individuare i resti della basilica paleocristiana di San Cristoforo “ad Aquilam”, citata nel Liber Pontificalis come il luogo posto lungo la via Flaminia a 50 miglia da Ravenna dove nel 743 l’esarca Eutiche andò ad attendere papa Zaccaria, che da Roma si stava dirigendo verso la capitale dell’esarcato. Gli scavi permisero all’Olivieri di individuare quello che nelle sue Memorie di Gradara interpreta come “abside” della chiesa.

1782 – L’arciprete di Casteldimezzo effettua altri scavi che mettono in luce diverse strutture messe in pianta probabilmente dall’architetto pesarese Gianandrea Lazzarini, amico e collaboratore dell’Olivieri, sulla base delle misure fornite dal capomastro che seguiva lo scavo.

1980 – Viene organizzato a Gradara un convegno di studi per analizzare la pianta del Lazzarini, da poco pubblicata da Delio Bischi all’interno della prefazione alla ristampa anastatica delle Memorie di Gradara dell’Olivieri. I problemi dibattuti sono sostanzialmente due: l’interpretazione funzionale delle strutture messe in pianta e l’ubicazione dell’area oggetto degli scavi del 1782. Secondo l’opinione di Nereo Alfieri, accolta dai convegnisti, le strutture disegnate nella pianta del Settecento dovevano appartenere all’atrio antistante la basilica vera e propria, atrio che si raccordava con l’edificio ecclesiastico mediante un lungo nartece “a forcipe”. Sulla base poi della ricerca d’archivio condotta da Maria Teresa Di Luca l’area indagata nel XVII secolo doveva trovarsi alle spalle del moderno complesso di Colombarone, tra questo e il campo di calcio.

1983 – Il Dipartimento di Archeologia dell’Università di Bologna e il Comune di Pesaro effettuano una campagna di prospezioni geofisiche e una serie di saggi di scavo che porta ad individuare l’esistenza di strutture archeologiche nel terrazzo artificiale posto tra il complesso di Colombarone e il campo sportivo. In particolare viene individuato un basamento quadrato in muratura di circa 4 m di lato, con l’impronta di 4 nicchie.

1984/1993 – Vengono effettuate annuali campagne di scavo che portano ad individuare una serie di strutture che bene corrispondono a quelle presenti nella pianta settecentesca. I materiali recuperati, ad un primo esame, si collocano tutti in un arco cronologico compreso tra il tardo-antico e l’alto medioevo, per cui sembra di poter confermare l’ipotesi formulata nel 1980.

1994-1999 – Si esplora la parte posta a monte del c.d. “nartece”, dove cioè avrebbe dovuto trovarsi l’edificio basilicale vero e proprio. In realtà lo scavo mette in luce tutta una serie di vani pavimentati a mosaico e giustapposti l’uno all’altro. Ciò portava ad escludere che le strutture fino a quel momento individuate appartenessero alla basilica paleocristiana, dovendo invece essere pertinenti ad un complesso residenziale databile, sulla base dei materiali e dei mosaici, ad un periodo che va dalla fine del III – inizi del IV alla metà del VI secolo. Che nell’VIII secolo, cioè all’epoca dell’incontro tra Eutiche e Zaccaria, le strutture individuate nel Settecento fossero già sepolte è poi dimostrato dal ritrovamento di uno di questi vani (vano A) di una tomba che utilizzava come fondo il pavimento a mosaico e che conteneva come corredo un rasoio in osso databile alla metà del VII secolo.
Nel 1997 è stata firmata un’intesa tra Comune di Pesaro, Ente Parco Naturale San Bartolo, Dipartimento di Archeologia dell’Università di Bologna per il recupero e la valorizzazione dell’area.

Info:
Orari di apertura (luglio-settembre): venerdì-domenica 17.00-20.00. Ingresso gratuito
Nei giorni non inclusi negli orari di apertura è possibile, per i gruppi, prenotare una visita all’area archeologica ad un costo di € 50 per l’attività di guida
+39 389 6903430 (15.00-18.00)
Strada Romagna (Colombarone), Pesaro 136-138 – tel.: 0721-387409 (Area).

Cronologia: Arch. Medievale
Link: http://www.archeopesaro.it

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