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EGITTO – Le lettere di Tell el – Amarna.

La storia.

Tell el – Amarna è il nome moderno della località in cui Akhenaton, “Gradito ad Aton” (prima Amenhotep IV, decimo faraone della XVIII dinastia; 1352 – 1338 a.C.), nel quarto anno del suo regno fece costruire la sua capitale, Akhet – Aton, “Orizzonte di Aton”, situata tra Tebe e Menfi, sulla riva orientale del Nilo, circondata da montagne, su un luogo vergine e delimitato da una serie di stele, recanti iscrizioni a carattere giuridico e celebrativo, che segnavano il confine ed indicavano la volontà del faraone di non espandere ulteriormente la capitale a danno degli insediamenti vicini. Per venticinque anni fu la capitale dell’impero Egizio fondata con l’intento di farne una seconda Tebe e di avere, quindi, gli stessi monumenti con gli stessi nomi. Lo scopo della nuova capitale era di ospitare tutto ciò che poteva servire come residenza del faraone e della sua corte e come centro direzionale dello stato.

Successivamente, sul piano internazionale, la situazione politica appariva di grande stabilità e sicurezza grazie ad un lungo periodo di pace dopo le campagne militari condotte da Thutmosi III e poi da Amenhotep II, che portarono ad un consolidamento della posizione egiziana in Nubia. In politica interna, invece, la situazione era decisamente diversa. L’instabilità era dovuta al fatto che la dinastia reggente stava progressivamente perdendo di importanza sul piano del potere politico a tutto vantaggio del clero di Ammone che aveva saputo appoggiare l’ascesa dei Thutmosidi. Da qui la forte reazione che incominciò a manifestarsi con il regno di Amenhotep III, che si espresse anche attraverso un’imponente ed appariscente iconografia regale che voleva sottolineare la volontà di riaffermare, anche visibilmente, la distanza tra il faraone ed i comuni cittadini, tra i quali anche i potenti esponenti del clero di Ammone.

Prima della grande riforma, Amenhotep IV aveva intrapreso un programma di costruzioni templari tradizionali facendosi rappresentare offerente davanti ad Ammone. Ma già nella costruzione del tempio di Karnak in onore di Aton si percepisce la volontà di rinnovamento ed un inizio di decadenza dei valori tradizionali.

La crisi culminerà con il mutamento del nome regale, in cui la titolatura tradizionale (“Toro potente dalle alte piume”, “Grande regalità in Karnak”, “Che innalza le Corone nell’Heliopolis del Sud”) verrà sostituita con nuovi titoli che vogliono mettere in evidenza tutto il dogma atoniano (“Toro potente amato da Aton”, “Grande regalità in Akhetaton”, “Che innalza il nome di Aton”), e con il cambiamento della capitale. Tutto ciò segnerà l’inizio della riforma religiosa che vedrà al centro del pantheon egizio un unico dio al di sopra di tutti gli altri, Aton, il “disco solare”, con lo scopo di eliminare progressivamente il culto di Ammone e dare vita ad un nuovo sistema di arti figurative e di architettura che vogliono esplicitamente sottolineare la rottura con il passato. L’intenzione era di recuperare quelle che erano le prerogative “divine” e politiche della dinastia regnante che i sacerdoti di Ammone avevano compromesso con Thutmosi III e ristabilire un rapporto esclusivo tra il sovrano e il dio. Le riforme furono molto veloci e la conoscenza del nuovo dio fu difficile se non si apparteneva all’ambiente reale. Inoltre bisogna considerare che la base su cui poggiava la religione era quella degli strati più umili della popolazione, estranea a queste innovazioni dal momento che i sacerdoti non uscivano dai templi e dai palazzi, quindi, nonostante i divieti, le preghiere si rivolgevano ancora ad Ammone. Più che in campo amministrativo, la riforma si fece sentire soprattutto in quello artistico ed economico. Akhenaton fece chiudere alcuni templi o ne limitò l’attività e trasferì alla corona i beni clericali. La prima conseguenza fu l’incremento della centralizzazione amministrativa e del suo braccio armato, cioè l’esercito e l’azione dell’amministrazione si complicò a causa dell’emarginazione delle realtà locali, con corruzioni ed arbitrii. Inoltre, la costruzione della nuova capitale venne fatta a detrimento dell’economia in generale e di quella religiosa in particolare. L’atonismo sulle arti, inoltre, esercitò un’influenza più spettacolare, realizzandosi attraverso un’accentuazione di una individuazione che non nascondeva particolarità fisiche. Con il passare del tempo lo stile si “addolcì”, ma rimase sempre più realistico rispetto ai canoni tradizionali.

L’esperienza di Akhenaton finì abbastanza velocemente. Il fratello Tutankhamon, probabilmente sotto l’influenza del Padre Divino Ay, che fu il suo “precettore”, riportò la capitale a Tebe, abbandonò il clero atoniano e ripristinò il culto di Ammone anche attraverso un editto con l’intento di fare “tabula rasa” del re eretico, affinché fosse dimenticato. Sul piano onomastico, come fece Akhenaton per sancire la nascita della nuova religione, così anche Tutankhamon (prima Tutankhaton) divenne il nuovo nome regale che doveva evidenziare il ritorno al clero tradizionale ammoniano.

Con la morte di Tutankhamon si estinse così la stirpe di Ahmosis. La vedova del giovane faraone supplicò il re hittita Suppilulima di inviarle uno dei suoi figli per sposarlo e farlo sovrano d’Egitto, cosa che questi accettò inviando il principe Zannanzach il quale, però, non arrivò mai e così l’alleanza dei due imperi, hittita ed egiziano, non si realizzò mai.

L’età di el – Amarna può essere considerata come una fase di equilibrio all’interno di un periodo caratterizzato da una certa alternanza tra stabilità, quando le forze che si fronteggiano sono di analoga potenza, e squilibrio, quando uno “Stato” tende a prevalere su un altro con un carattere “imperiale”. Questa fase di parità ha una sua radice nell’età di Mari (XVIII – XVII sec. a.C.) in cui si erano già poste quelle basi diplomatiche e politico – giuridiche che si ritrovano pienamente rappresentate dalle lettere amarniane, con la differenza che, rispetto al sistema diplomatico di Mari che era limitato solo alla Mesopotamia, con l’età amarniana questo venne ad includere anche la Palestina, l’Egitto, l’Anatolia ed il Mediterraneo Orientale. Tale ampliamento comportava un qualche aggiustamento, dal momento che venne ad includere stati e popolazioni che tradizionalmente non avevano mai partecipato della cultura mesopotamica, ma avevano le proprie tradizioni e le proprie abitudini di interazione con le popolazioni vicine. Questi nuovi meccanismi, diplomatici e commerciali, divennero più complessi ma, d’altra parte, vi erano anche più possibilità di conflitti che spesso nascevano per lo più da equivoci causati da una differenza di linguaggio e, quindi, attribuibili alla difficoltà di far capire determinati concetti in un’altra lingua o che nascevano da incomprensioni dovute alle varie culture locali. All’interno di questo sistema, si delinearono conflitti fra diverse entità politiche e di differente dimensione, dalle piccole città – stato (Siria – Palestina) ai grandi stati regionali e potenzialmente “imperiali” (Egitto, Mesopotamia, Anatolia hittita). Questa differenza si nota molto bene nelle lettere e nel linguaggio che viene usato e che vuole mettere in evidenza un ordine gerarchico che è alla base della suddivisione tra “grandi re” e “piccoli re” proposta da M. Liverani, dove i grandi re sono indipendenti e alle loro dipendenze stavano i piccoli re. Il numero dei grandi re era chiuso ed il riconoscimento del rango e del titolo era molto formale.

Il periodo coperto dall’archivio inizia con i re di Egitto, Babilonia, Mitanni, Hatti e Alashiya, mentre verso la fine del regno di Akhenaton si ebbe il crollo di Mitanni sotto i colpi di Hatti e il conseguente suo declassamento da grande a piccolo re, e all’emergere del re d’Assiria.

L’archivio.

Rispetto alla città di Akhetaton, la cronologia dell’archivio, e di conseguenza anche delle lettere, è un po’ diversa. Alcune di queste, soprattutto quel gruppo di lettere che M. Liverani chiama “dei grandi re”, appartengono al regno di Amenhotep III (1390 – 1352 a.C.) e furono trasferite nella nuova capitale perché trattavano questioni ancora in corso di svolgimento, mentre le lettere che segnano la fine dell’esistenza dell’archivio, dovuto alla morte del faraone Amenhotep IV e al conseguente abbandono della città per il ritorno a Tebe della corte, si datano al regno di Tutankhamon (1336 – 1327 a.C.), ma bisogna pensare che queste ultime siano le lettere più recenti di Akhenaton, che per rilevanza politica, sono state trasportate a Tebe con Tutankhamon.

Le lettere amarniane, scoperte nel 1887, mettono in evidenza quelli che erano i rapporti esterni del faraone; una quarantina di queste lettere riguardano informazioni scambiate con altri re di “stati” asiatici indipendenti, come Hatti, Arzawa, Mitanni, Assiria, Babilonia e Alashiya – Cipro, mentre il resto tratta di messaggi provenienti dai vassalli egiziani di Siria e Palestina. Le tavolette d’argilla sono tutte incise in caratteri cuneiformi, per lo più in accadico. La loro importanza consiste nel fatto che esse illustrano le condizioni politiche della Siria – Palestina nel XIV secolo a.C. alla cui base vi era un sistema di regni locali; informano inoltre dei rapporti anche stretti di tali regni con il faraone egiziano riguardanti particolari procedure amministrative, circolazioni dei beni, rivolte sociali e guerre.

L’apprendimento della scrittura cuneiforme era possibile grazie a delle vere e proprie scuole scribali diffuse in tutti i centri palatini siriani, ma quando i contatti diplomatici e commerciali vennero a comprendere anche l’Egitto, di scuole simili a queste se ne trovavano anche ad Akhetaton.

In generale lo scriba era un funzionario ad alta specializzazione, sia in ambito egiziano sia in quello babilonese, mentre in età amarniana era ad altissima specializzazione dal momento che le competenze richieste per gestire la corrispondenza babilonese richiedevano un addestramento particolare. Basti pensare che lo scriba del re di Arzawa si auspicava che presso la corte egiziana ci fosse qualcuno in grado di scrivere in hittita: “…Oh scriba, scrivimi per bene, e aggiungi il tuo nome! Le tavolette da spedire qui, scrivimele sempre in hittita!”. Al contrario il re di Mitanni non si preoccupa di mandare una lunga lettera in hurrita, l’unica non scritta in babilonese che probabilmente servì ad accompagnare l’arrivo presso la corte egiziana della principessa Tadu – Heba. Inoltre, dalle lettere sappiamo che esisteva la figura del dragomanno, dell’“interprete professionale”, in particolare vi è la menzione di due scribi che ebbero un ruolo importante in questo senso per le trattative matrimoniali egizio – mitannica (“…Mane, il messaggero di mio fratello, e Hani, l’interprete di mio fratello, io li ho ingranditi divinamente”) ed egizio – babilonese (“…tu mandasti il tuo messaggero Hayamashi e l’interprete Mihuni.”).

In generale si può dire che le tavolette in cuneiforme, presenti sia all’interno, sia all’esterno dell’Egitto stesso, sono la manifestazione più eloquente “dell’avvicinarsi ad altre lingue”. Alcune di queste lettere, per lo più in stato frammentario, sono dei veri e propri elenchi, una sorta di lista di numeri ed oggetti, che contengono parole egiziane scritte in cuneiforme e tradotte in accadico, quindi la lingua di partenza era l’egiziano che di volta in volta veniva tradotto, in questo caso, in accadico. Tutto questo però si deve inserire in un’ottica di relazioni diplomatiche.

Un’altra figura importante era quella del messaggero che rivestiva diverse funzioni. Egli infatti era considerato un vero e proprio ambasciatore tra grandi re, anche se alcune di queste lettere si ha la notizia che furono fatte recapitare da un soldato mercenario il cui impiego era comprensibile per la sua capacità di superare passaggi difficili o bloccati per vari motivi: “…Ho dovuto dare tredici sicli e un paio di vestiti come soldo per il habiru che ha recapitato la tavoletta a Sumura.” Il messaggero viaggiava su carro o a dorso di un cavallo impiegando pochi giorni o settimane a seconda del tragitto che doveva percorrere tra Amarna e le diverse località siro – palestinesi passando anche per veri e propri posti di frontiera dove i vari oggetti che trasportava, e quindi anche le lettere, venivano registrati al loro passaggio. Generalmente un messaggero veloce precedeva un convoglio lento affinché il destinatario fosse preavvisato dell’imminente arrivo e viaggiava privo di scorte ma provvisto di un lasciapassare. Si conosce uno solo di questi preziosi documenti, il cosiddetto “lasciapassare mitannico” che doveva essere esibito ogni volta che il messaggero passava per un posto di blocco per arrivare indenne alla destinazione: “Ai re di Canaan, … , così dice il re: Ecco che ho mandato Akiya, mio messaggero, dal re d’Egitto…veloce come una furia. Nessuno lo trattenga! Sano e salvo fatelo entrare in Egitto e affidatelo al capoposto di frontiera d’Egitto! Che vada subito!”. Le difficoltà che incontrava erano veramente grandi, come nomadi o briganti, ma anche una volta arrivato a destinazione, poteva trovarsi di fronte a diverse difficoltà, infatti il re poteva trattenerlo senza concedergli il necessario per il ritorno per esercitare una certa pressione sull’interlocutore e quindi trovarsi in condizione di “ostaggio” anche per diversi anni: “Al re d’Egitto mio fratello, …Fratello mio, rimanda subito il mio messaggero sano e salvo,…Quest’uomo è un mio mercante,…rimandalo subito sano e salvo. Il mio mercante e la mia nave: il tuo esattore non si avvicini a loro!”. Vi sono anche lettere basate su una sorta di contenzioso legale che aveva origine quando un mercante o messaggero subiva delle aggressioni a scopo di rapina, con uccisioni o ferimenti, da parte di altri re locali contro i quali si chiede l’assistenza del faraone: “…hanno ucciso i miei mercanti e hanno potato via il loro argento….Canaan è terra tua e i suoi re sono tuoi servi. Nella tua terra sono stato derubato…l’argento che hanno portato via, ripagalo, le persone che hanno ucciso i miei servi, uccidili…Se non uccidi…l’andirivieni dei messaggeri tra di noi si interromperà”. Tutti i re erano d’accordo nel proporre ritmi rapidi e nel sollecitare il rientro immediato dei loro messaggeri ma erano ugualmente pronti ad esercitare ricatti verso messaggeri altrui.

Una parte delle lettere spedite dal faraone ai suoi vassalli documenta sia il meccanismo del controllo imperiale nei territori sottomessi sia “l’archiviazione” di tale procedura. Dal momento che un contingente di truppe si spostava con una certa lentezza, necessitava di una appropriata accoglienza logistica e non volendo perdere tempo affinché i beni richiesti fossero messi a posto, l’amministrazione egiziana aveva organizzato un servizio di preavviso attraverso rapidi corrieri. Una lettera standard comunica l’arrivo del contingente alla guida del re o di un ufficiale, invita a preparare tutto quanto è necessario e ad ubbidire alle sue disposizioni. Apprestamenti particolari, ad esempio come la riscossione del tributo, erano taciuti perché considerati ovvi, invece si facevano specificazioni circa richieste di donne o di merci alle quali seguivano sentenze minacciose sull’efficienza delle truppe pronte a punire gli eventuali ribelli; “A Endaruta, uomo di Akshapa, ….,proteggi il posto del re che è con te!… che il re non ti colga in fallo!…, non essere negligente! Prepara in vista (dell’arrivo) delle truppe (egiziane) del re: molto cibo, vino, tutto quanto in abbondanza. Arriverà molto presto, e taglierà la testa dei nemici del re!” “Al re mio signore, il Sole nei cieli, dì: messaggio di Endaruta, tuo servo. Ai piedi del re mio signore, sette e sette volte io mi prosterno. Tutto ciò cha ha detto il re mio signore, io preparo.” Le risposte prendono in considerazione, in modo particolare, la parte in cui si annuncia l’arrivo, quella in cui si richiede la protezione del posto e le minacce, e ciò viene poi rovesciato per le esigenze locali, così il motivo della protezione del posto viene usato per richiedere una maggiore attenzione da parte degli egiziani ed il motivo delle minacce per chiedere appoggio contro i nemici sempre pronti alla guerra: “Al re mio signore….: messaggio di Biridiya,…. Sappia il re mio signore che da quando le truppe egiziane sono rientrate, Lab’aya ha compiuto ostilità contro di me. Non possiamo tosare e mietere; non possiamo uscire dalla porta della città per la presenza di Lab’aya. Quando ha saputo che non sarebbero state mandate truppe egiziane ecco che ha indirizzato la sua attenzione a prendere Megiddo. Dia il re cento uomini di guarnigione, per proteggere la sua città, ….”.

C’è un tipo di lettera che possiamo definire corretta e completa quando alla lettera del faraone, impostata sulla sequenza dei tre elementi “proteggi – obbedisci – prepara”, viene assicurata nella risposta la sequenza corrispondente “protezione – obbedienza – preparazione”: “Al re mio signore,…. Ecco che io proteggo il posto del mio signore,…Tutto ciò che il mio signore ha scritto, tutto io eseguo,… .”. Le lettere però possono apparire anche incomplete, ma ciò era comunque accettato poiché si operava all’interno di un meccanismo ripetitivo.

In generale, le lettere evidenziano due livelli di lettura, uno più ampio ed anche più superficiale che riguardano denunce, allarmismo, conflittualità locale, richieste, ed un altro, più interessante, che documenta l’organizzazione amministrativa.

I contenuti

La lettura delle lettere deve ovviamente prendere in considerazione la situazione relativa alla presenza egiziana in Siria – Palestina nell’arco di circa due secoli e mezzo, a partire da Thutmosi III della XVIII dinastia. Questa presenza si esplicava attraverso un esercito che aveva il compito di consolidare l’autorità egiziana mediante campagne militari guidate dal faraone in persona che numericamente aumentavano quando si trovava a dovere combattere contro i Mitanni per il controllo della Siria. Le campagne militari erano, di norma, annuali ed avevano anche lo scopo di prelevare i tributi. Matrimoni interdinastici ed il conseguente scambio di doni erano alla base dell’accordo con Mitanni, ma segnarono anche un calo della presenza egiziana in Siria – Palestina. Tutto ciò voleva anche significare un riconoscimento della potenza egiziana da parte dei regni locali perché questi, con l’accordo egizio – mitannico, avevano perso un valido aiuto per eventuali azioni anti – egiziane. Di conseguenza la presenza del faraone diventò sporadica. Era l’esercito che, in un qualche modo, faceva le veci dell’autorità faraonica per riscuotere i tributi e le merci richieste. Erano tre le città che avevano il compito di centri amministrativi egiziani: Gaza (sulla costa palestinese meridionale), Kumidi (Siria interna) e Sumura (Siria costiera). Inoltre, vi erano città senza re locali e per questo erano sotto il controllo di una guarnigione egiziana, mentre altre terre erano lavorate direttamente da Egiziani o erano sotto il diretto controllo egiziano: “…messaggio di Shum – Adda,… Poiché il re mio signore mi ha scritto riguardo al grano: interroghi il re mio signore il suo commissario, se i nostri padri mandavano grano sin dai tempi di Kuzuna nostro padre!”

I vari re locali, alle dipendenze del faraone, dovevano pronunciare una sorta di giuramento di fedeltà ad un governo più alto di tipo monarchico; ciò evidenziava anche come i rapporti sbilanciati tra il sovrano d’Egitto e i “piccoli re”, (vassalli), fossero molto diversi da quelli tra fra il faraone e i “grandi re”, (i signori). Comunque il re locale, giurando fedeltà al faraone, poteva contare sulla presenza di un esercito egiziano sempre pronto ad intervenire per proteggere il trono del piccolo re. Ma quella che doveva essere una reciprocità di impegni mediante un patto orale, venne, di fatto, a mancare da parte egiziana che non voleva schierarsi a favore di un vassallo contro un altro, quindi, di fatto, le truppe egiziane intervenivano solo quando erano in pericolo gli stessi interessi egiziani. Questa differenza tra faraone e vassallo si nota in ogni singola lettera: “Al re, al Sole, mio signore: Sette e sette volte ai piedi del re mio signore io mi getto. Io sono il terreno sotto ai sandali del re mio signore. Il re è il Sole eterno.” Invece, i rapporti tra grandi re erano regolati sulla base di un rapporto di fratellanza e spesso questo era tutt’altro che una metafora quando si passa alla pratica del matrimonio interdinastico perché se non erano fratelli erano almeno cognati o suoceri.

In generale si può affermare che le lettere amarniane documentano i rapporti diplomatici, in modo del tutto eccezionale, basati su un sistema di rapporti interstatali alla base dei quali vi era uguaglianza, mutuo soccorso, procedure formali e scopi comuni, frutto di rapporti estesi. Fino alla scoperta dell’archivio reale di Ebla, i testi amarniani e di Mari erano le uniche fonti che fornivano dati per lo studio dei rapporti internazionali di stati del Vicino – Oriente antico. Infatti, il momento diplomatico è quello in cui prevale la pluralità dei rapporti e del concorso di tutti verso un unico obiettivo comune, a differenza del momento bellico in cui prevale la forza militare del singolo con lo scopo di sopraffare gli altri. Quindi, i rapporti diplomatici avevano la funzione di tenere uniti e stabilire un rete di contatti fra i vari stati del Vicino Oriente, soprattutto tra il 1500 ed il 1200 a.C., periodo in cui si infittiscono i rapporti a scopo commerciale ed il flusso di militari in varie direzioni.

In questo tipo di rapporti, i concetti chiave sono “fratellanza” e “bontà” che acquista valore tecnico quando si parla di alleanza, e quindi esiste lo scopo comune: procurarsi reciprocamente benessere. Spesse volte le lettere vogliono solo mettere in evidenza l’ospitalità che si assicura ai re – “fratelli” qualora volessero fare una visita o chiedere informazioni sulla salute e darne sulla propria, fino ad offendersi quando ciò non avveniva a causa della grande distanza. Infatti, molta corrispondenza viene spedita solo per cortesia, quindi non per ottenere qualcosa di preciso e materiale. La mancanza di uno scopo materiale ha comunque una sua funzione agli occhi dell’opinione pubblica, dimostrare una particolare attenzione alla salute di un altro sovrano senza considerare tutti i problemi e tutte le spese che comporta far arrivare un messaggio, vuol dire porsi su un livello superiore, sia da parte di chi il messaggio lo invia, sia anche da chi lo riceve perché accogliere un messaggero straniero fa aumentare il proprio prestigio interno.

Un aspetto importante alla base del rapporto diplomatico amarniano era quello dello scambio dei doni. Messaggio augurale e doni, per lo più di carattere personale, erano considerati un binomio inscindibile: un messaggio doveva essere sempre accompagnato da un dono e un dono doveva essere sempre accompagnato da un messaggio. Erano beni di lusso e di prestigio i cui destinatari appartenevano ad una ristretta cerchia aristocratica, di conseguenza, mantenendo la loro esclusività socio – personale, essi non erano in grado di propagare la loro influenza in modo da intaccare la cultura egizia, cosa che, invece, accadrà più avanti. Questi potevano essere di due tipi, uno più materiale che riguardava le materie prime e l’altro più cerimoniale che riguardava oggetti lavorati e di lusso. Questi erano esclusivamente a carattere quasi merceologico con l’intento di ricevere, come contro – dono, oggetti non reperibili internamente. I doni si facevano in occasioni particolari e in generale non si facevano senza una specifica motivazione: “…tutti gli animali d’avorio che ti ho chiesto, mandameli! Riguardo all’oro,…, mandamene quanto ce n’è, molto,…ma se non mi farai portare l’oro e io non potrò eseguire l’opera intrapresa, perché me lo dovresti far portare spontaneamente? Perché dovrei volere l’oro? …io non lo accetterei, te lo manderei indietro…”. Un dono poteva essere “provocatorio” con l’intenzione di ricevere un contro – dono maggiorato: “Tu hai mandato duecento sicli di rame, ed ecco che io ti ho fatto spedire dieci talenti di rame.”Su questi argomenti M. Liverani parla di irrazionalità del commercio amarniano. Un esempio si può osservare dalla lettera inviata dal re di Babilonia al faraone egiziano, che è una sorta di lista di doni inviati in cui compaiono anche oro ed ebano, prodotti che caratterizzano l’Egitto. In un’ottica “razionale” sarebbe possibile un loro commercio in senso contrario. La sua razionalità sta, però, non tanto in un ottica commerciale quanto nello stabilire e mantenere buoni rapporti personali tra i due interlocutori che avranno risvolti soprattutto commerciali. Inoltre, spedire oro e avorio come dono in Egitto da parte di un re il cui territorio ne era sprovvisto, non si deve considerare un errore o una irrazionalità, ma una esplicita richiesta razionale di questi materiali in una terra che di questi ne era particolarmente ricca.

Il concetto che è alla base dello scambio dei doni, è l’uguaglianza di posizione sociale, sia tra grandi re, sia tra piccoli re. Si ha notizia anche di un dono fatto da un piccolo re vassallo al faraone, quindi su un piano socialmente differente, di fronte al quale il sovrano d’Egitto non corrisponde con nessun contro – dono materiale ma assicurando una presenza militare costante come l’unica forma di sopravvivenza dei sudditi. I doni potevano essere fatti anche in occasione di intronizzazione con lo scopo di sancire una situazione paritetica.

La procedura del matrimonio interdinastico documentata dalle lettere amarniane non è pratica inconsueta ed è da collegare a scopi politici e diplomatici in senso stretto. Lo scopo di tutto questo è duplice: aumentare e consolidare il proprio prestigio interno, dimostrando di essere in grado di ottenere donne da altri sovrani – “fratelli” che a loro volte considerano questo un grande onore, e da un punto di vista esterno si dà l’impressione di avere sotto controllo le proprie risorse. Il secondo risvolto è allacciare e mantenere saldi i rapporti con gli stati stranieri.

L’archivio documenta principalmente un tipo di matrimonio tra sovrani, anche se si conosce un caso “sbilanciato” di figlie del faraone date in sposa a re vassalli per ribadire la fedeltà reciproca. Il matrimonio interdinastico tra grandi re aveva lo scopo di garantire un’alleanza di per sé già esistente, per questo la sposa straniera diventava la portavoce ufficiale della corte di provenienza. Questa procedura matrimoniale divenne un elemento di propaganda interna, poiché il faraone, ottenendo spose straniere, agli occhi del suo popolo era colui che, dotato della necessaria “forza”, riusciva a centralizzare i migliori “prodotti”, ponendosi al centro del mondo. C’era però un problema di mancata reciprocità di rango, nel senso che una donna asiatica nel paese di provenienza sarebbe diventata futura sovrana e madre dell’erede al trono, mentre, una volta arrivata in Egitto tutto questo non aveva più nessuna valenza perché, pur apprezzando spose straniere, il faraone non concepiva di dovere dare a loro tale primaria importanza, ma semplicemente andava solo ad arricchire il proprio harem: “…tu desideri in moglie mia figlia; ma mia sorella che mio padre diede è laggiù con te, e nessuno l’ ha più vista, se è ancora o se è morta!…Ma i miei messaggeri non l’ hanno riconosciuta se era mia sorella quella che stava insieme a te”. Inoltre, il faraone, non accettava questa parità, “…Da sempre, una figlia del re d’Egitto non viene data a nessuno! ”. Questi ultimi due aspetti compromettono l’intero sistema di pariteticità e di reciprocità. Infatti, negare una sposa al faraone significava anche mettere in bilico la fratellanza nei suoi confronti e in questo caso si doveva provvedere a contraccambiare con invii di altro genere, come ad esempio oro in grande quantità. Di fronte agli occhi dell’opinione pubblica, il re Babilonese che accetta questo tipo di situazione, cioè una donna in cambio di oro, veniva squalificato, non tanto perché vi era uno scambio tra un essere umano con oggetti, quanto perché aveva accettato uno scambio di merce con altra “merce” di diversa natura: “Se durante quest’estate,…, mi farai portare l’oro di cui ti avevo scritto, io ti darò mia figlia.” Con questo tipo di scambio ci si sposta su un piano più prettamente merceologico, che, coinvolgendo merci di differente tipologia, comporta una ancor più lunga contrattazione sul piano del contro – valore.

Di tutte le lettere che l’archivio raccoglieva provenienti da re di diverse regioni, quelle relative alla corrispondenza gublita rappresentano quasi un caso particolare, sia da un punto di vista numerico e sia perché ad esse corrisponde solo una missiva inviata al re di Biblo, per di più, non dal faraone, ma da un suo funzionario. Le numerose lettere di Rib – Adda documentano la mancanza di risposte per far fronte ad una reale situazione interna preoccupante, e manifestano anche, da parte del faraone, una certa “noia” nel vedersi recapitare continuamente lettere dal re siro – palestinese.

Con questa grande quantità di lettere Rib – Adda cerca di ottenere determinate risposte ed aiuti, di fronte alla pressione degli stati confinanti e le frequenti lamentele riguardano il fatto che queste richieste non vengono nemmeno ascoltate, cadendo nel vuoto e rimanendo senza effetto e senza risposta: “Non stare inerte riguardo al tuo servo. Perché resti inerte riguardo alla tu terra? …ho già scritto in questi termini al palazzo, ma le mie parole non sono state ascoltate.”Il re di Biblo arriva anche a ritenere che siano i funzionari del faraone negligenti nel trasmettere le lettere: “…tu sei un uomo saggio al fianco del re, …e il re ti ha mandato come commissario. Perché stai inerte e non dici al re che mandino truppe egiziane a riprendere Sumura?”. Ovviamente non si tratta di una negligenza, ma di un disinteresse continuo che induce il re gublita a riscrivere più volte. Infatti quando si legge “ho scritto e riscritto” vuol dire che il re sta scrivendo per la terza volta l’identico messaggio che ha già scritto una volta e riscritto una seconda volta. Questo disinteresse faraonico si può spiegare con il fatto che Rib – Adda più che un re, è un funzionario periferico non egiziano preposto a reggere le sorti di un territorio di proprietà egiziana. Quindi risulta essere quasi ovvio che il faraone, così come fece anche nei confronti degli altri funzionari, non deve dare nessuna risposta circa il fatto di aver ricevuto e letto la lettera, così come non deve dare nessuna spiegazione della messa in atto di determinati provvedimenti o della presa di posizione in maniera diversa rispetto a come il “piccolo re” sperava o aveva suggerito.

Le uniche lettere che il faraone scrive, non costituiscono una risposta alle lamentele di Rib – Adda, ma manifestano la richiesta di qualcosa di particolare come materie prime reperibili solo in Siria, o la messa a punto della necessaria assistenza in vista di un passaggio di truppe egiziane per la sua regione. In questo contesto un esempio potrebbe essere una lettera inviata al faraone in cui si dà una risposta negativa alla richiesta di legno di bosso e in cui si replica anche a quelle che erano le consuete raccomandazioni del faraone, “…proteggi il luogo del re…”; “…ho scritto al mio signore per avere truppe, ma truppe di guarnigione non mi sono mandate, e non mi viene dato nulla. …il re…ha detto “Proteggi te stesso e proteggi la città del re che è con te”, come posso proteggermi? Ho scritto… “hanno preso tutte le mie città, …, Biblo sola mi resta!…Se il re odia la sua città l’abbandoni.”

Questa eccessiva corrispondenza dal tono anche polemico, non poteva far altro che suscitare noia e irritazione, producendo nell’ambiente palatino egiziano una certa insofferenza nei confronti di Rib – Adda, anche se nel re gublita bisogna intravedere una forte lealtà alla causa egiziana: “…il re ha scritto “Bada, proteggiti”. Da chi mi dovrei proteggere, dal mio nemico o dai miei concittadini? Chi mi proteggerà?…Se il re manderà soldati,…, io vivrò per servire il mio signore.” “…hai detto così “Tu mi scrivi più di tutti”, Ma quelli, perché dovrebbero scriverti? Le loro città appartengono a loro…”.

Fonte: Redazione
Autore: Fabrizio CASTALDINI
Cronologia: Egittologia

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