Archivi

Dott. Luca BASILE: Alcune osservazioni sul gruppo dei Tirannicidi al Museo Archeologico di Napoli.

Il 514 a. C. è ricordato dalla storiografia greca come l’anno dell’uccisione di  Ipparco, figlio del tiranno Pisistrato, e succeduto alla morte di questi insieme al fratello Ippia alla guida della polis di Atene.
Gli autori del tirannicidio, che restituiva al popolo ateniese ( ma molto più probabilmente alla sola aristocrazia terriera) la piena autonomia legislativa e governativa, erano i nobili Aristogitone ed Armodio che furono nel 510 a. C., dopo la cacciata dei tiranni,  immortalati in un gruppo scultoreo opera dell’artista Antenor.
I decenni finali del VI sec. a. C. in Attica e in special modo ad Atene erano stati travagliati e pieni di novità sotto il profilo storico e soprattutto politico. Infatti, dopo l’iniziale intervento datato al 594 a. C. dell’Arconte Solone, concernete principalmente la creazione di un ordinamento statale basato sul censo e sull’abolizione dei debiti contratti dai piccoli proprietari terrieri che non aveva comunque portato ad una ridistribuzione egualitaria dei lotti agricoli a favore di tutti i cittadini, Atene aveva vissuto un periodo di relativa incertezza politica conclusosi nel 546 a. C. con la salita al potere dell’aristocratico Pisistrato.
La problematica di maggior rilievo che coinvolge la tirannide ateniese non è tanto da inquadrare in un’ottica modernista, ma in quella propriamente greca del VI sec. a. C.
Al demos di Atene  importava poco o nulla chi comandasse, soprattutto perché il termine tiranno, di cui abbiamo la prima attestazione  in un frammento di Archiloco (fr. 19,3 West), non era sinonimo come oggi di spietatezza, corruzione e limitazione delle libertà individuali. Al contrario, sotto la guida di tiranni per così dire “illuminati”,  specialmente il popolino poteva avere la speranza di una maggiore attenzione verso le problematiche quotidiane attraverso i meccanismi evergetici, la costruzione di imponenti opere pubbliche che potevano migliorare la qualità della vita, e l’organizzazione, anzi moltiplicazione, di feste pubbliche in onore del vasto pantheon cittadino che davano la possibilità di distribuzioni gratuite di cibo e bevande (fenomeno a cui si assisteva però già sotto il governo oligarchico). I veri contrasti non nascevano quindi da parte dei ceti più umili e disagiati, ma dall’aristocrazia oligarchica che prima aveva detenuto il potere ed il prestigio.
Le famiglie più illustri di Atene erano infatti state letteralmente scalzate dal governo tirannico che aveva provveduto ad eliminarle, esiliarle o le aveva subordinate ad un ruolo di secondo piano che mal si adattava alle aspirazioni egemoniche di questa classe sociale.
Da queste considerazioni si evidenzia che divenire tirannicidi sarebbe stata più una condizione che poteva attrarre gli aristoi e i loro interessi preminenti, piuttosto che i semplici cittadini sia nullatenenti, che piccoli proprietari terrieri dediti alla coltivazione o al commercio navale di piccolo cabotaggio.
Armodio e Aristogitone sono in effetti il simbolo della libertà del popolo di Atene, ma sono ancor di più l’evidenza del ritorno, della volontà di detenere ancora saldamente il potere, della ristretta classe politica oligarchica composta dai “migliori”, dai  “kalos kai agatos”.
Il gruppo di Antenor venne portato in Persia da Serse dopo la sua temporanea occupazione dell’Attica nel 480 a. C.
Il monumento, simbolo della nuova Atene, venne subito sostituito dopo la sconfitta della minaccia persiana con nuove statue opera di Kritios e Nesiotes di cui possediamo all’archeologico napoletano le  due pregevoli copie d’età romana prese in esame.
Il gruppo, il cui originale greco si data al 477 a.C. circa, quindi nel periodo finale di passaggio tra l’esperienza artistica denominata “Severa” e il primo Classicismo, si staglia netto è vigoroso in perfetti equilibri armonici, in esso si notano volontà di potenza e sprezzante coraggio, i due tirannicidi sono rappresentati non in visione frontale ma di tre quarti, Aristogitone, il più anziano, pone la gamba ed il braccio sinistro in avanti come a fare da scudo, barriera, al giovane Armodio che brandisce con la mano destra la ferale lama che metterà fine ai giorni del minore dei figli di Pisistrato.
L’atteggiamento dei due eroi è denotato dalle masse corporee forti, piene di tensione che vengono esplicate da una rappresentazione dei muscoli addominali e pettorali tesi fino allo spasimo in un’azione che mette a repentaglio non solo le proprie vite ma anche il destino dell’intera polis.
Aristogitone viene rappresentato barbato, di contro l’amico Armodio è glabro, liscio in volto, con una capigliatura resa tutta a ciocche in forma di minute chiocciole che creano una massa corposa di capelli ben aderente e strutturata per intero sulla calotta cranica. Per la forma, ma non per la lavorazione, la chioma del giovane tirannicida riflette ed “imita” quella dell’efebo di Kritios opera da inquadrare intorno al 480 a. C. , quindi contemporanea al gruppo ateniese.
La costruzione strutturale del fanciullo opera di Kritios è però ancora labilmente legata all’esperienza arcaica dei Kouroi attici, dai quali riprende una certa rigidezza nell’impostazione spaziale, tosto superata dal leggero movimento verso destra del capo, e dall’avanzamento della gamba destra, mentre i due eroi ateniesi sono la sintesi di una nuova esperienza artistica che sperimenta e trova nuove possibilità rappresentative. Tra le due opere create da Kritios (anche se permangono alcune riserve sull’attribuzione dell’efebo), le figure dei tirannicidi si esaltano come fonte di suprema bellezza e perfezione formale, ma anche come esempio di un’ arte che rapidamente abbandona l’arcaicità del secolo precedente per dar vita a nuove espressioni visive artistiche.
Un’ultima nota che suggestivamente ipotizzo, è strettamente legata al ben noto fenomeno di prosecuzione anche in periodo romano delle forme e dei modi scultorei dell’arte greca.
In particolare, tale continuazione, è individuabile con modalità mutuate e sincretiche durante il periodo augusteo e adrianeo dove si riproducono, in accordo al gusto del tempo, nuove opere artistiche che riprendono temi e modi espressivi greci del periodo classico ed ellenistico.
Sotto quest’ottica si potrebbe quindi forse inquadrare la figura di Achille nel famoso e pregevole rilievo di “Telefo” proveniente da Ercolano e conservato a Napoli al Museo Archeologico.
Il rilievo marmoreo ci offre l’immagine di un giovane Achille intento a raschiare la punta della sua lancia arcuato verso il più anziano Telefo. Il Pelide, invitto eroe della decennale battaglia di Troia, si  lascia accostare all’immagine del giovane eroe Armodio sia per il trattamento vigoroso e compresso dei muscoli tesi, sia per la lavorazione delle ciocche dei capelli (di straordinaria somiglianza!), sia per i tratti somatici del volto regolari e simmetrici.
In questo caso si è di fronte a generiche influenze artistiche del passato che si innestano nelle nuove mode artistiche insite nell’eclettismo romano, quasi a voler sottintendere un perenne continuo uso e riuso di canoni formali che dall’antichità sono ritenuti indiscutibilmente superiori e forse mai pienamente imitabili.

 


Autore: Dott. Luca Basile

Segnala la tua notizia