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CAVALLINO (Le): Gli antichi Messapi riemersi dai rifiuti.

Nel ’77 Cavallino rischiò l’edificazione selvaggia. Poi si trasformò in una discarica. Oggi … Storia di una degradata area del Salento diventata parco archeologico. Che racconta molto del passato. Lontano e non.

L’episodio, raccontato con la dovuta enfasi, risale al ’77: “Passerete sul mio cadavere”, gridò quel giorno Francesco D’Andria piazzandosi davanti alla ruspa che stava sventrando la terra di Cavallino, ora paese di diecimila anime vicino Lecce ma un tempo gloriosa città dei Messapi. D’Andria, allora, era un giovane archeologo disposto a tutto pur di proteggere i tesori del sottosuolo dall’espansionismo edilizio: lo portarono via i carabinieri. La cosa però non finì lì. Per la difesa dell’area erano schierati infatti decine di intellettuali leccesi, che si batterono a suon di carte bollate, finchè, finalmente, arrivò Dinu Adamesteanu, il leggendario soprintendente della Basilicata che in Puglia rimase solo un anno, tra il ’77 e il ’78, ma riuscì a salvare l’antica Cavallino quando già le vie della nuova urbanizzazione erano tracciate e i pali della luce già in piedi. Oggi, qui a Cavallino, ha sede, da quattro anni, la Scuola di specializzazione in archeologia dell’Università di Lecce, diretta proprio da Francesco D’Andria. Da quattro anni i suoi studenti portano alla luce case, strade, canali e tombe dell’antica città. E un paio di mesi fa hanno trasformato l’area in parco per tutti, per chi vuole visitarlo, ma anche per chi ha soltanto voglia di fare una passeggiata. Fermandosi magari a guardare studenti e archeologi che nel parco continuano a scavare e a fare lezione. I vecchi progetti di strade e palazzoni sembrano lontani quasi quanto i Messapi.

Dal ’78 a oggi però la strada dell’archeologia a Quando il soprintendente Adamesteanu mise il vincolo sull’area parve quasi un miracolo, ma fu solo un primo passo. Per vent’anni sul terreno non edificabile i contadini hanno continuato infatti a coltivare come avevano fatto per secoli, però con trattori e aratri moderni che hanno scavato profondi solchi nelle strutture antiche sepolte sotto pochi centimetri di terra. E dove zappe e aratri non arrivavano, giungevano i rifiuti. Non a caso il regista Maurizio Buttazzo ha girato qui Il favoloso destino di Candy, cortometraggio che racconta la storia d’amore tra un vecchio frigorifero e una vecchia lavatrice abbandonati in una discarica. Cavallino era diventato il prototipo dell’incuria e dell’aggressione selvaggia al paesaggio del Salento.

Poi le cose cambiarono, anche grazie a un sindaco, Gaetano Gorgoni, testardo e desideroso di compiere la volontà dei suoi avi. Gorgoni è infatti l’ultimo discendente dei Castromediano, marchesi di Cavallino sin dal ‘400, e abita ancora nel castello di famiglia al centro del paese. Fu un suo antenato, Francesco, a costruire nel ‘600 il convento dei Domenicani che Gorgoni ha fatto restaurare e ceduto in comodato all’Università di Lecce.

“Così è diventato un luogo vivo, ricco di iniziative. Senza che il nostro piccolo comune si debba accollare le numerose spese di manutenzione”, spiega Gorgoni. Il suo cuore però batte soprattutto per un altro avo, Sigismondo, un patriota che, dopo aver provato le galere borboniche e il primo parlamento italiano, si ritirò a Cavallino. E, per primo, capì l’importanza della città messapica, l’unica a essere giunta intatta fino a noi. Altrove infatti col tempo si sono costruite case su case, cancellando l’antico, mentre Cavallino, distrutta e abbandonata nel V sec. a.C., non si sa bene perché, non fu mai più ripopolata: solo secoli dopo nacque il piccolo paese che ancora oggi occupa una minuta parte dell’antico centro.

Così oggi solo Cavallino può raccontare com’era fatta una città messapica. Si vedono ancora, chiari tra i campi, le poderose mura e il fossato che la proteggevano, e persino le porte. Negli anni ’60 scavi dell’Università di Pisa portarono alla luce tombe con coppe e vasi in ceramica e in bronzo importati dalla Grecia. Segno che lì viveva gente ricca. Ma com’erano le case? Difficile dirlo senza scavare sotto la terra arata o coperta di rifiuti. “Appena nominato sindaco, nel ’97, mi trovai con un bilancio non roseo, ma cominciai subito a darmi da fare per riacquistare le terre dell’antica Cavallino in accordo con il professor D’Andria”, racconta Gorgoni. Da principio non fu una mossa popolare. Sindaco e Università uniti per togliere la terra ai contadini e offrire un “orto archeologico” agli studenti. I paesani si sentirono stretti da una mossa a tenaglia. Che finora ha acquisito 12 ettari di terreno ma non nasconde mire su tutti i 69 ettari della città antica non ancora edificati. Però col tempo le cose sono cambiate: ora la gente è felice di avere l’università in paese e ripone grandi speranze nel parco. Gli studenti hanno cominciato a prendere in affitto case in zona (e il valore degli immobili è raddoppiato), bar e trattorie stanno nascendo come funghi. I contadini hanno messo da parte i rancori e aiutano gli studenti a tenere in ordine il parco.

Un parco che mostra finalmente le case degli antichi Messapi, le strade belle e ampie, il sofisticato sistema di raccolta e diffusione delle acque. Ma mostra anche, fresco di restauro, il muro settecentesco che delimita il giardino del castello, con le garitte per la caccia alle anatre. Mostra il recuperato paesaggio del Salento, di ieri come d’oggi, con aie e trulli. E mostra pure un aratro e i blocchi di fondazione delle case antiche solcati dai suoi dischi. Senza dimenticare nulla del passato di quelle terre. Nel bene e nel male.

Fonte: La Repubblica Scienze – 02/04/04
Autore: Cinzia Dal Maso
Cronologia: Arch. Italica

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