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CALES (Ce). Il supermercato archeologico della Camorra.

Un tempo furono i romani, poi gli etruschi e infine i «casalesi», quelli con le virgolette della cronaca nera. La città antica di Cales, definita da Cicerone “civitas magna” e da Polibio “egregia urbs” oggi è il supermercato dell’archeologia per le organizzazioni criminali e in particolare per il clan dei “casalesi”.
Tra Calvi Risorta e Riardo (nel Casertano) è una zona ricchissima di preziosi reperti e come possiamo vedere dalla video inchiesta è in stato di completo abbandono. Già lungo il sentiero principale che porta alla cittadella archeologica si trovano frigoriferi, lavatrici, stracci e altri rifiuti a marcire. I cartelli che dovrebbero indicare i luoghi di interesse storico sono arrugginiti e spesso crivellati da proiettili. Gran parte dei reperti non sono ancora stati oggetto di scavo. Con poche eccezioni tra cui un maestoso teatro venuto alla luce grazie a scavi finanziati dall’Unione Europea e costati oltre un miliardo e duecentomila vecchie lire. L’area è recintata solo in parte: arrivando sul sito si notano cancelli di cui, in certi punti, è rimasto solo il telaio.
Chiunque può entrare facendosi beffa dei cartelli che prescrivono le modalità di accesso e che rimandano per la visita del sito alle prescrizioni del personale della vigilanza, di cui però non c’è traccia. Ci sono invece, all’interno del teatro, una ruota di un trattore, alcuni rifiuti e un materasso.
«Sembra che qui lo Stato abbia alzato le mani – spiega Tsao Cevoli, presidente dell’associazione nazionale archeologi – E dove non c’è lo Stato, avanzano le organizzazioni criminali. Questo posto è completamente abbandonato, nonostante siano stati spesi dei soldi. Quando è stato effettuato lo scavo, gli archeologi erano scortati dai carabinieri perché questo è un territorio in cui la camorra fa quel che vuole e innanzitutto ruba le opere. Questi reperti poi finiscono o in casa dei boss o nella maggior parte dei casi in circuiti internazionali, vengono venduti a mercanti d’erte o addirittura nelle aste. Qualche volta capita anche di rivederli in musei all’estero».
Ipotesi confermata dalle indagini dei carabinieri del nucleo tutela patrimonio, guidati dal comandante Carmine Elefante: «Alcune settimane fa abbiamo eseguito diverse ordinanze di custodia cautelare e indagato 51 persone, molte delle quali provenienti da Casal di Principe, dedite al traffico di reperti archeologici. Alcuni degli arrestati avevano precedenti in quanto collegati al clan dei casalesi. E’ capitato spesso che nelle case dei boss fossero ritrovate anfore, vasi e statuine di grande valore, provenienti da Cales: questi reperti sono simboli di prestigio e potere e spesso vengono donati ai capiclan in segno di rispetto».
E infatti in casa di Gesualda Zagaria, sorella del boss Michele Zagaria, sono stati trovati quattro preziosi vasi probabilmente provenienti da Cales.
C’è anche un pentito del clan Domenico Frascogna, ex tombarolo che sta facendo rivelazioni sul commercio clandestino di reperti archeologici.
«Il traffico di opere comunque di solito prende vie internazionali», precisa il comandante Elefante che ha seguito per mesi le tracce dei tombaroli riprendendoli anche di notte con telecamere a raggi infrarossi. Nel video che mostriamo li vediamo in azione con metal detector e i cosiddetti spilloni, degli attrezzi che vengono conficcati nel terreno per capire se sotto ci sono case, tombe o decorazioni. «Il traffico di reperti archeologici è secondo gli esperti di antimafia la terza voce nel business delle principali organizzazioni criminali», aggiunge Cevoli mentre mostra uno dei cunicoli dell’antico acquedotto, che servito per scavare nel terreno e tirare fuori statuine e anfore.
«Qui certamente hanno portato via vasi di ceramica nera, (caratteristici di queste zone) perché è pieno di cocci, anche grandi risalenti al quinto secolo», osserva Tommaso Conti presidente di Ana Campania.
Lungo il cammino ci imbattiamo nel Ponte delle Monache di epoca etrusca, tagliato nel tufo e secondo per importanza solo al Ponte Sodo di Veio. Peccato che sia colmo di pneumatici. Ce ne erano migliaia, come se fosse una discarica abituale. Negli spazi residui scorreva una densa e maleodorante schiuma. Sul Ponte un frigorifero usato come bersaglio da aspiranti pistoleri.
Dopo il ponte una enorme distesa di zolle, cocci, tessere di mosaico e pezzi di muro. Un vero tesoro archeologico deturpato. Un paesaggio lunare su cui campeggia solitario e impotente un foglio A4 attaccato ad una canna di bambù: «Area sottoposta a sequestro».
In calce la firma del comandante dei carabinieri Tpc, Carmine Elefante.
«Mentre i tombaroli (che altro non sono che la manovalanza delle organizzazioni criminali) in alcuni punti agiscono come talpe, – commenta Cavoli – qui, dove i reperti affiorano, si comportano come quei pescatori che lanciano le bombe e poi aspettano che i pesci salgano a galla. Così loro passano, scavano e distruggono tutto quello che per loro non è utile. Ciò che resta è una specie di campo minato. Eppure questo è territorio sottoposto a vincoli e tutela. Una tutela che è completamente svuotata di significato. Basterebbe poco per invertire la situazione e togliere dalle mani dei clan questo florido business: basterebbe investire negli scavi e nella cultura, creare un enorme parco archeologico realizzare iniziative teatrali, musicali consentendo lo sviluppo dell’indotto. In questo modo lo Stato si riprenderebbe queste città, creerebbe lavoro e darebbe davvero filo da torcere alla camorra».

Autore: Amalia De Simone

Fonte
: www.corriere.it, 14/03/2012

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