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APICE VECCHIA (Bn). Il borgo fantasma, la “Pompei del ‘900”, assolutamente da salvare.

A fondarla, a soli 12 chilometri dall’odierna Benevento, fu probabilmente ai tempi di “Roma caput mundi”, quel Marco Apicio che dal Senato di Roma fu incaricato di ripartire, tra i legionari reduci dalle campagne di guerra, alcune terre del Sannio.

Parliamo di Apice Vecchia, località ‘fantasma’, denominata la Pompei del ‘900, posto che così come per Pompei un drammatico evento naturale ne ha fermato -si dice per sempre- il tempo, la quotidianità di vita. La fine di questo caratteristico borgo, infatti, fu segnata la sera dell’agosto 1962, alle ore 19:30, quando due scosse di terremoto del 6° e 7° grado della scala Mercalli, fecero tremare il Sannio e l’Irpinia, con conseguenti 17 vittime. Apice fu uno dei centri più colpiti, ma non venne distrutto. A far sgomberare i 6500 abitanti, intanto, fu la decisione dei tecnici del Ministero dei Lavori Pubblici che, temendo ulteriori crolli, ne ordinarono l’evacuazione.

Gli abitanti più ‘tenaci’ però, in qualche modo inottemperanti al provvedimento, decisero di restare nelle proprie case, resistenza la loro che durò 18 anni, finché dovettero definitivamente arrendersi alla natura del suolo altamente sismico, su cui è costruito il paese, costretti alla fuga a causa del violento terremoto dell’Irpinia del 1980.

Così il tempo si è come arrestato per due volte ad Apice Vecchia, creando una duplice ‘bolla storica’ che si può riconoscere dai resti del ‘paese che non esiste’.

Non solo sarebbe qui superfluo indugiare sulle informazioni già documentate e facilmente reperibili, ma anche abbandonarsi a racconti evocativi, vista l’inflazione di scritti e di testimonianze che già proliferano in rete. In verità, proprio l’esperienza diretta, ad oggi risente di qualche sovrapposizione tra l’autentico e il fittizio: il paese, da diversi anni chiuso al pubblico con ordinanza comunale, è stato scenario di eventi, spettacoli, riprese cinematografiche e shooting fotografici. Pertanto, non sempre i ritrovamenti di oggetti d’epoca restituiscono l’immagine del passato: talvolta sono semplici residui di scenografie ricostruite. Ciò non basta, tuttavia, a scalfire il fascino di questo borgo ‘solitario’.

Un discorso a parte va fatto per gli edifici nobiliari di pregio storico- architettonico, come il Palazzo signorile che fu dimora del dottor Cantelmo, apprezzato medico nativo di Apice, e quegli edifici di valore artistico – religioso, come la Chiesa dei Santi Bartolomeo e Nicola, che conserva importanti affreschi ottocenteschi.

Basterebbe, in tale ottica di mistero misto a magia, smarrirsi volontariamente tra i vicoli deserti e silenziosi dell’antico borgo, e vagare minuti o persino ore senza una meta, per “poter godere del puro piacere di disporre a proprio piacimento di un intero paese, colmo di ricordi eppure silenzioso e quieto, senza un solo essere umano a frapporsi tra il visitatore e l’ambiente circostante.

La piazza centrale è dominata dalla già menzionata villa nobiliare Cantelmo. Ma qualunque casa, dalla più elegante alla più povera, qui conserva memorie del passato racchiuse negli oggetti d’uso quotidiano, negli affreschi sui soffitti, negli arredamenti e nelle decorazioni. Pur logorati dai decenni di abbandono, razziati dagli sciacalli o vandalizzati da incivili selvaggi, gli arredamenti, ì dipinti, gli utensili, le strutture architettoniche ed i vicoli raccontano la storia di Apice Vecchia e del suo splendido scenario.

<< Le lancette dell’orologio, evidenziano dei visitatori, si sono fermate al 23 novembre dell’1980. Tutto è rimasto com’era. Le insegne dei negozi, l’illuminazione pubblica, le strade ciottolate, le chiese, la scuola. Tutto è immobile, fisso. Le porte sono aperte e dentro le sale c’è un lungo silenzio. C’è nell’aria l’atmosfera dei templi profanati. Le porte sono aperte, i segreti svelati. Le stanze sono piene di oggetti, negli scaffali i libri sono al loro posto, gialli e stanchi da volersi sedere, raccogliere i dettagli e ricostruire le vite di chi ha abitato in quelle stanze. Visitare le case abbandonate diventa presto un rito, una sorta di pellegrinaggio fra le cappelle della memoria. Simbolo ed imponente, il Castello dell’Ettore, lungo il percorso domina la valle, non immune anch’esso al trascorrere del tempo inghiottito dalla serie di eventi che portarono all’abbandono del paese, ma non abbandonando mai quella magia che da sempre le sue mura hanno sprigionato e sprigionano tutt’ora…>>.

È difficile, si sottolinea, definire con le parole il tempo e la storia. Invece qui è tutto incredibilmente evidente: non sono necessari discorsi né lunghe spiegazioni.

Escludiamo, assolutamente, che non siano mancati nel corso di tanti anni, né manchino tuttora, incisivi appelli e altrettante proposte, a cominciare dalla fondamentale messa in sicurezza del suggestivo borgo vecchio di Apice, perché non venga lasciato a marcire e, quindi, cancellato dalla classica cartina geografica.

Il ‘paese fantasma’ non può vivere di ‘resilienza’, perché torni al suo antico splendore e, man mano, si recuperi, si valorizzi, almeno e soprattutto come attrattore turistico in primis di qualità.

La sua storia, il suo singolare patrimonio artistico-culturale e paesaggistico, le sue tradizioni più sane, non possono, non devono essere lasciati a marcire. Il Governo, la Regione, il FAI e le altre istituzioni preposte, ognuna per quanto di specifica competenza, si facciano pertanto carico di intervenire tempestivamente con progetti (non avveniristici!), ma sostenibili.

Si salvi, salviamo Apice, se si vuole che la politica dei territori segni delle scelte serie e tangibili. Prima che sia troppo tardi.

Autore: Gennaro D’Orio – doriogennaro@libero.it

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