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TORINO. Nella chiesa inferiore del Duomo una «Mappa del mondo» riassume l’universo medievale, da Augusta Taurinorum alla misteriosa Thule.

Nella navata centrale della chiesa inferiore della Cattedrale di Torino, oggi sede del Museo Diocesano, è stato recentemente ricomposto un raffinato pavimento musivo di circa 54 metri quadrati, databile al XII secolo: si tratta del pavimento del presbiterio della chiesa di San Salvatore, una delle tre chiese parallele in cui si articolava, a partire dal IV secolo, il complesso cattedrale della romana Julia Augusta Taurinorum, divenuta poi Civitas Taurini. Le chiese furono abbattute nel 1491 per fare posto all’attuale Duomo intitolato a San Giovanni Battista, voluto dal Cardinale Domenico della Rovere.
Frammentario ma ancora leggibile, dedicato alla «Fortuna» ed alla «mappa mundi» — la mappa del mondo —, il mosaico si offre come una straordinaria summa figurativa in cui si intrecciano, con notevole efficacia narrativa, elementi di cosmografia enciclopedica alto-medioevale, allegorie morali e motivi iconografici tratti dalla letteratura classica e dalla teologia cristiana.
I frammenti dell’opera, solo parzialmente sopravvissuta, furono scoperti fortuitamente nel 1909 durante gli scavi dell’area romana nei pressi di Palazzo Reale, e successivamente documentati, smontati e conservati grazie all’intervento dello storico dell’arte Pietro Toesca. Dopo lunghe e complesse vicende, culminate nel recente intervento di restauro e riallestimento finanziati dalla Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino, l’opera è oggi accessibile al pubblico in una nuova collocazione che ne valorizza la potenza visiva e simbolica.
La tradizione dei «tappeti di pietra» medioevali è ben documentata in Piemonte: si ricordano altri importanti pavimenti musivi — parimenti collocati nelle aree presbiteriali e prossimi per datazione al nostro — come quelli della cattedrale di Acqui Terme (oggi conservato al Museo Civico di Arte Antica a Palazzo Madama di Torino), Aosta, Ivrea, Novara e Casale Monferrato. Come spiega l’archeologa Marianna Ceppa: «Il mosaico di San Salvatore, pur frammentario, restituisce una visione cosmografica complessa e articolata, iconografia unica nel suo genere, ispirata in parte a passi delle Etymologie e del De natura rerum di Isidoro di Siviglia (VI-VII sec). Ai quattro angoli sono rappresentati i venti, forze cosmiche che muovono il mondo, quattro principali e otto minori.
Alcuni di essi sono ancora leggibili: tra questi il Septentrio, in tessere bianche, intento a soffiare in un doppio corno, ed un secondo vento, forse Corus, in tessere nere. Le figure dalla parte opposta, in tessere nere e rosse, in terracotta, alludono ai venti meridionali che spirano dall’Africa. I venti sono posti ai lati di un grande cerchio ondulato, simbolo dell’Oceano, sul quale compaiono le isole, segnalate da semplici iscrizioni: tra queste si individuano la Britannia, le Orcadi, la Scozia e la leggendaria isola di Thule. All’interno del cerchio del mondo si dispongono altri otto cerchi minori ad indicare le terre conosciute dei continenti di Europa, Africa e Asia, rappresentate da animali allegorici: grifoni, leoni (verosimilmente a significare l’Africa), un elefante con torre sul dorso (l’India) e un toro, forse simbolo di Europa o allusione a Torino».
Non mancano altre figure mitologiche, tra cui una sirena, ad indicare tutti gli abitanti del cosmo, inclusi quelli fantastici. Al centro si erge la figura della Fortuna, chiave di lettura dell’intero mosaico. Parola ambigua e duplice, al tempo stesso benevola e minacciosa, legata al latino fors (il caso), evoca esiti incerti e mutevoli, talvolta propizi, talvolta funesti. Raffigurata nella scultura ed onorata in santuari a lei consacrati, questa divinità era oggetto di culto: è il fatum latino, destino ineluttabile e imperscrutabile; è la tyche dei Greci, principio non solo di casualità ma anche di necessità, anch’essa venerata nel mondo romano. In questo caso è posta al centro della macchina del mondo e ne condivide il moto. Questa figura femminile, coronata e con i capelli fluenti, ammantata e autorevole, persino sorridente, indossa abiti alla moda del XII secolo, elemento che ha consentito di datare l’opera con buona approssimazione. Con la mano muove la ruota e, simbolicamente, i destini dell’uomo: in alto un sovrano coronato rappresenta la gloria, in basso figure sempre più spoglie simboleggiano il decadimento.
Alla base del mosaico si legge, in parte conservata, un’iscrizione nella quale sono state identificate le parole: «Quisquis gradiens super…» («Chiunque tu sia che sali più in alto…») verosimilmente ispirata ad un brano di Boezio: un monito rivolto a chi si avvicinava all’altare, posto all’estremità opposta dell’intera pavimentazione; l’ascesa fisica diventa metafora di un percorso spirituale, un invito a meditare sulla fragilità della vita ed a cercare salvezza in Dio.
Tra le presenze più intriganti del mosaico l’allusione alla leggendaria terra di Tule (o Thule), estremo confine del mondo settentrionale. Citata da autori antichi come Plinio il Vecchio e Tacito, Tule incarnava il concetto terra remota e irraggiungibile, collocata ai limiti della navigazione umana: celebre l’espressione «oltre l’ultima Thule» di Pitea di Marsiglia, autore greco vissuto del IV secolo a.C. Pitea fu il primo viaggiatore, di cui si abbia notizia, a circumnavigare l’Europa verso settentrione, toccando la Gran Bretagna, il Baltico, la Scandinavia, fino al confine boreale del mondo. Vale la pena ricordare come, nel Medioevo, questa geografia dell’ignoto assumesse i contorni di una vera e propria geografia morale: Tule diventava il luogo dove si annullavano le coordinate ordinarie dello spazio e del tempo, punto di transizione tra il mondo terreno e quello escatologico.

Il mosaico di San Salvatore non è l’unica attrattiva del Museo Diocesano, dal novembre 2024 diretto da don Gianluca Popolla: il percorso espositivo illustra gli importanti resti archeologici delle tre chiese paleocristiane e degli edifici romani che un tempo occupavano l’area. L’allestimento, pensato su diverse aree tematiche, presenta inoltre numerose opere di rilievo di epoche diverse, sculture lapidee e pitture di pregio come il Battesimo di Cristo di Martino Spanzotti e persino il trattato di architettura di Leon Battista Alberti.

Info:
Nel biglietto di ingresso è inclusa la salita alla torre campanaria della cattedrale: un’ascesa di 210 scalini che regala una vista unica sulla città, e una prospettiva insolitamente ravvicinata sulla Cappella della Sindone del Guarini, capolavoro dell’architettura barocca.

Autore: Paola Stroppiana

Fonte: torino.corriere.it 13 novembre 2025

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