Nelle collezioni del Museo Egizio di Torino è presente un esempio massimo, in termini museologici, del concetto stesso di unicità e rarità: non una singola opera d’arte, ma un’intera cappella rupestre della XVIII dinastia intitolata a Thutmosi III. Si tratta del celebre tempio di Ellesiya, offerto all’Italia dal governo egiziano in segno di gratitudine.
Il trasferimento si era reso necessario a causa dell’imminente completamento della diga di Assuan (1960-1970), voluta dal presidente Gamal Abdel Nasser, la cui infrastruttura minacciava di sommergere un vasto ed inestimabile patrimonio archeologico della Nubia. In risposta, l’Unesco lanciò una missione internazionale di salvataggio: l’Italia, e in particolare il Museo Egizio di Torino sotto la direzione di Silvio Curto, si distinsero per l’impegno profuso in operazioni di recupero di numerosi edifici, incluso quello monumentale di Abu Simbel.
In segno di riconoscenza il governo egiziano destinò il tempio di Ellesiya all’Italia, destinandolo proprio al Museo Egizio.
Il monumento giunse nel capoluogo piemontese nel 1966, dopo un lungo viaggio via nave e treno, smembrato in 66 blocchi di arenaria. Grazie alla perizia di maestranze locali, fu attentamente ricomposto e restituito al pubblico già nel 1970.
Nel 2024, nell’ambito del rinnovamento per le celebrazioni del bicentenario dalla sua fondazione, la direzione ha scelto di rendere gratuito l’accesso alla sezione del museo dove è custodito, con un ingresso indipendente su strada. Questa iniziativa è stata supportata dall’ultima campagna di restauri, condotta dal Centro Conservazione Restauro La Venaria Reale, e dal nuovo riallestimento multimediale ideato dai curatori e realizzato dal team del Museo e dai suoi collaboratori.
Ne parliamo con Alessia Fassone, curatrice del Museo Egizio.
Un anno dopo la sua restituzione al pubblico ci traccia un bilancio sulla nuova fruizione della cappella di Ellesiya?
«Direi un bilancio molto buono. L’apertura dell’ingresso su via Duse è stata concepita specificamente per garantire che l’area museale che ospita la cappella sia accessibile direttamente da Piazza San Carlo e Piazza Carignano. L’accesso è gratuito, per onorare la donazione del tempio al popolo italiano; naturalmente l’affluenza è regolamentata e contingentata, ma è sempre prenotabile sui canali del museo o si può verificare al momento, direttamente sul posto, la possibilità di visita. Inoltre, grazie ai fondi del Pnrr, abbiamo reso l’area multisensoriale con pannelli visio-tattili, audiodescrizioni, tracce in LIS e IS, e descrizione in CAA».
Qual è l’importanza storica e archeologica del tempio?
«La cappella, risalente al 1425 a.C. e fondata dal Faraone Thutmosi III, è un eccezionale esempio di edificio rupestre, scavato direttamente nella roccia, ricco di iscrizioni. Era situato in Nubia, un territorio nodale per l’Egitto, avamposto strategico e fonte di oro. Il monumento fungeva da manifesto politico e religioso: i suoi rilievi raffigurano il Faraone mentre onora le divinità nubiane ed egizie, cercando un dialogo tra le due culture ed affermando il proprio ruolo di garante dell’equilibrio cosmico. La sua storia è proseguita ben oltre l’epoca faraonica: in un’evoluzione culturale significativa il tempio fu convertito in un luogo di culto cristiano. Lo si nota dalla presenza di simboli come le croci fiorite (tipiche della tradizione copta) che si possono osservare sulla facciata e dalle iscrizioni che testimoniano l’adattamento del luogo alla nuova religione».
La logistica del trasferimento fu un’impresa eccezionale, considerando il periodo storico e le distanze.
«L’operazione di salvataggio si trasformò in un’epopea logistica di enorme complessità, protrattasi per anni: il tempio, letteralmente un pezzo di montagna, fu meticolosamente sezionato in 66 blocchi di dimensioni variabili, ognuno numerato e catalogato per la successiva ricostruzione. Vennero quindi caricati su chiatte sul Nilo e trasportati sino al porto di Alessandria. Da qui si compì il trasbordo sulla motonave “Esperia” che, attraversando il Mediterraneo, li condusse al porto di Genova, per poi passare sotto la responsabilità delle Ferrovie dello Stato, viaggiando su treni merci fino allo scalo di via Nizza. L’ultimo, delicato miglio, fu coperto via terra: i blocchi vennero caricati sui camion della ditta Gondrand, che ne curò il trasporto finale lungo una blindatissima via Roma fino al cortile del Museo Egizio. L’arrivo effettivo avvenne il 24 aprile 1966. Un elemento essenziale dell’operazione era rappresentato dall’onere finanziario: il governo egiziano non si assumeva il costo della movimentazione e della successiva ricostruzione. La città di Torino, in attesa dei fondi del ministero della Cultura italiano, si fece carico integralmente dell’anticipo della spesa, un atto di responsabilità civica che culminò con il gesto dell’allora sindaco, Giuseppe Grosso, che ipotecò la propria abitazione al fine di garantire i fondi necessari».
L’opera di ricostruzione non era poi così semplice…
«Come ricorda il collega e curatore Beppe Mosio, preziosa memoria storica del museo e presente all’evento, trovare una ditta capace di rimontare il monumento, pur con le istruzioni degli archeologi e restauratori, fu un problema enorme: ditte specializzate nella ricomposizione di un tempio antico non ce n’erano, nessuno voleva prendersi carico di una responsabilità così grande».
Il tempio di Ellesiya del Museo Egizio: i 66 blocchi da ricomporre. Per gli alti costi del trasporto il sindaco di Torino ipotecò la casa
E qui si racconta un aneddoto straordinario nella sua semplicità…
«Un pranzo di nozze sul Lago Maggiore! Sempre secondo i ricordi di Mosio, il direttore Silvio Curto, che ebbe un ruolo cruciale in quest’operazione, e Virginio Vaio, un capomastro di Aramengo, in provincia di Asti, si trovarono allo stesso tavolo. Ascoltando le preoccupazioni di Curto sulla difficoltà di trovare una ditta, Vaio si interessò alla questione e, dopo qualche giorno, si propose con la sua squadra. La ricostruzione iniziò nell’autunno del 1968 con la direzione dell’architetto Cesare Volpiano. A lui si affiancò il team di archeologi ed il laboratorio di restauro Nicola di Aramengo, che provvide al consolidamento dei singoli blocchi in tenera arenaria, per poi proseguire con integrazioni e sigillature. La volta, rimasta in Nubia, venne sostituita da una scocca leggera in alluminio realizzata presso il reparto carrozzerie della Pininfarina, da sempre grande sostenitrice del museo. Il 23 novembre del 1970 il tempio venne inaugurato ufficialmente alla presenza delle massime autorità italiane ed egiziane: l’impresa di ricostruire a Torino l’unico luogo di culto rupestre al mondo fuori dall’Egitto era finalmente compiuta».
Autore: Paola Stroppiana
Fonte: www.torino.corriere.it 18 dic 2025










