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ROMA. Paladini dell’arte.

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Migliaia di reperti, alcuni veri e propri tesori dell’arte e dell’archeologia, sono stati strappati dal loro contesto ed “esportati” fuori dall’Italia. L’operato dei Carabinieri per riportarli a casa. Ce lo racconta Fabio Isman in un suggestivo libro-inchiesta.

Nel terzo episodio della fortunata serie cinematografica che vede protagonista l’irresistibile professore Indiana Jones, durante un’escursione con i boy scout, l’allora adolescente Indy scopre una banda di scavatori di frodo che stanno trafugando un prezioso oggetto: la Croce di Coronado. Mosso già a quei tempi da un impeto archeologico («Quella croce dovrebbe stare in un museo!»), ruba l’oggetto e fugge a cavallo. Dopo un inseguimento in cui sembra avere la meglio, il ragazzo si trova invece costretto a restituire il reperto al “legittimo proprietario”, che in realtà non lo è affatto. Vent’anni dopo, riesce finalmente a riprendersi la Croce e a riportarla nell’Istituzione deputata ad accoglierla.

Ma passando dalla fiction alla realtà, quale sarà, in vero, il museo o l’Istituzione con tutte le carte in regola? Per Fabio Isman, ad esempio, c’è museo e museo: alcuni ospitano reperti acquisiti in modo illegale e quindi anche gli oggetti più straordinari, fuori dai loro contesti, pur non perdendo la loro bellezza, diventano “muti”. Infatti l’opera d’arte, come sosteneva l’archeologo, filosofo e critico d’arte francese Antoine-Chrysostome Quatremère de Quincy (1755-1849), «... è legata in modo indissolubile al contenuto dentro e per il quale è stata prodotta (…), e scindere questo legame comporta la grave diminuzione della fruibilità culturale dell’opera stessa, l’irrimediabile caduta della sua universalità, e quindi del suo valore in ogni tempo…» (Antonio Pinelli, Storia dell’arte e cultura della tutela: le “Lettres à Miranda”, in Lo studio delle arti e il genio dell’Europa, Bologna, Nuova Alfa, 1989).

Di questo e di molto altro ancora si legge nell’avvincente libro-inchiesta del giornalista de “Il Messaggero”, I Predatori dell’arte perduta. Il saccheggio dell’archeologia in Italia. 25.000 opere ritrovate e fotografate. I personaggi inquisiti, i musei coinvolti. Un milione di oggetti trafugati e ricettati (Skira, 224 pagine; euro 19,00).

Inviato speciale per il quotidiano romano, Isman è stato per diversi anni anche titolare della rubrica La pagina nera su “Art e Dossier”.

Sulla base di documenti giudiziari e di puntuali interviste a quanti combattono l’infame commercio, viene ricostruito, come non era mai stato fatto prima, l’impressionante saccheggio d’arte e cultura che ha fatto scempio dell’Italia. In più, con un approccio da vero detective, Isman è riuscito a far parlare anche i personaggi coinvolti nel traffico illegale di reperti archeologici che ha raggiunto, dagli anni Settanta del Novecento ad oggi, dati impressionanti. Come impressionante è il numero di persone che ruotano attorno a questo mercato, che ha diverse caratteristiche in comune con quello della droga, ma è decisamente meno pericoloso per chi vi è coinvolto: il rischio di essere presi in flagrante è basso e le pene, quando previste, sono ridicole.

Così il generale B. Giovanni Nistri, Comandante del Tutela Patrimonio Culturale dei Carabinieri: «Occorre adeguare e rafforzare la tutela penale; elevare a delitto le forme più gravi di offesa al patrimonio culturale: sarebbe opportuno che il furto d’arte diventasse una aggravante, con una pena fino a quattro anni, elevabile fino a sei se il reato avviene nel contesto di uno scavo clandestino».

Per avere un’idea della portata del fenomeno che si è consumato in Italia e che Isman definisce “la Grande Razzia”, si scopre che sono milioni i reperti, spesso autentici tesori, scavati clandestinamente e migliaia i “tombaroli”, gli intermediari, i grandi mercanti e, purtroppo, come si accennava prima, direttori e curatori di grandi musei e studiosi di fama internazionale, che hanno letteralmente tradito la loro missione culturale. Perché, se dei mercanti e dei tombaroli si intuiscono, anche se non si giustificano, le motivazioni e le vocazioni economiche che li spingono a determinati comportamenti, rispetto ai cultori d’arte il giudizio e la riprovazione diventano, se possibile, ancora più pesanti.

Comunque oggi, grazie anche all’opera dei Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale, una parte di questo tesoro è stata restituita e molto si sta facendo per recuperare il resto. Purtroppo, però, la strada da percorrere è ancora decisamente lunga e, soprattutto, gran parte della decontestualizzazione dei pezzi trafugati che è stata compiuta nei nostri siti archeologici non sarà più risarcibile. Come sosteneva il grande critico d’arte Roberto Longhi: dalla Cappella Sistina a un vaso greco, l’opera d’arte è «un capolavoro squisitamente “relativo”. Non sta mai da sola, è sempre un rapporto». Ed è proprio questo rapporto, unico e irriducibile, che i razziatori, come conclude Isman, hanno cancellato per sempre.
Claudia Colombera

Fonte
: Il Carabiniere, agosto-settembre 2009

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