L’attuale tracciato della via di Boccea, a Roma, segue in parte, quello dell’antica via Cornelia. Quest’ultima faceva parte di un complesso sistema viario che comprendeva la via Trionfale, la via Aurelia Nova, la via Aurelia Vetus che collegava Roma con l’Etruria. La via Cornelia attraversava l’Ager Vaticanus, transitando da Valcannuta, Montespaccato, Santa Rufina e Boccea; giungeva infine a Santa Maria di Galeria. L’andamento della strada seguiva le accidentalità dell’agro romano e, per attenuare le pendenze, transitava nelle tipiche “tagliate” etrusche, da cui derivò il toponimo di “Montespaccato”, che denota la zona nei pressi della villa Fogaccia.
Notevoli testimonianze della Cornelia furono ritrovate, in diverse occasioni, durante gli anni della bonifica effettuata dal conte Fogaccia. A volte si trattava di semplici reperti: murature, marmi, mattoni forati, tubi in piombo, travertini lavorati, cisterne rivestite di cocciopesto; reperti che si facevano sempre più rari allontanandosi dalla città. In alcuni casi sono stati ritrovati anche elementi preziosi: vasi lacrimatoi, mosaici, un piede in terracotta, urne cinerarie, lampade in coccio, un’ara votiva. Da ricordare in particolare un sarcofago, forse cristiano, oggi addossato alla villa e trasformato in fioriera.
Dalla tenuta di villa Giovannelli Fogaccia, inoltre, proviene una scultura egizia: si tratta di un frammento di statuetta del dio Ptah, di pregevole lavorazione. La piccola scultura, in basalto nero, rappresenta il dio avvolto in una guaina a rete lavorata accuratamente e può essere datata ad epoca tarda, tolemaica o romana. Sul pilastro dorsale è visibile un frammento di iscrizione che, pur ricalcando una formulazione usuale, presenta alcune particolarità. Questa iscrizione, inoltre, è rovinata nella parte inferiore della figura e, pertanto, rimane incerto il senso degli ultimi segni. L’iscrizione sembra rivelare una scarsa abilità da parte dell’esecutore che potrebbe essere dovuta a una copia eseguita da un testo il cui andamento poteva essere diverso. La traduzione dell’iscrizione sarebbe la seguente: “Dire le parole da parte di Ptah che è a sud del suo muro, Signore di Ankhtauy (Menfi), il padre degli dei”.
Dopo la parte iniziale, tipica delle formule sacre, si trova il nome del dio Ptah, seguito da titoli che precisano l’ambito geografico, e cioè l’antico tempio dedicato al dio in Menfi. Sembra plausibile ipotizzare che la statuetta sia stata portata a Roma proprio da Menfi, forse come ricordo di una visita all’antichissimo tempio di Ptah.
Il grande archeologo Massimo Pallottino, che pubblicò la scultura nel 1936, si è soffermato sulla particolarità dell’abito, che doveva caratterizzarsi per una reticella sovrapposta alla guaina vera e propria che avvolge il dio Ptah, questa rete trova un confronto in quelle impreziosite da perline che erano applicate anche alle mummie.
La provenienza da villa Giovannelli Fogaccia di questo prezioso reperto della civiltà egizia e, forse, anche di un’altra statuetta in pietra verde raffigurante una scimmia, può far ipotizzare la presenza in loco di un ambiente di culto, probabilmente privato e risalente al periodo imperiale romano; sono scarsi dei dati precisi ma sappiamo che la villa fu realizzata sull’area di un’antica villa romana.
In ogni caso queste testimonianze sono importanti al fine di ricostruire il quadro della presenza dei culti egizi nell’antica Roma. È importante sottolineare che, a oggi, non si hanno più informazioni sulla collocazione dell’antica statuetta. Dopo essere stata esaminata e pubblicata da Massimo Pallottino è stata probabilmente sistemata in qualche ignoto magazzino o deposito del quale non si hanno ulteriori notizie.
Autore: Roberto Giordano – Roberto.giordano@aruba.it













