La presenza umana nel Gargano è attestabile fin dai tempi più remoti. Le tracce sono presenti dovunque. Eppure, Paglicci rappresenta un “unicum” straordinario: altrove nel promontorio è possibile ammirare pitture rupestri a parete (grotta Pazienza e grotta del Riposo, gli esempi forse più eclatanti, ma tanti altri siti mostrano tracce di arte preistorica), ma quelle presenti in questa grotta di Rignano Garganico sono un esempio di creatività di una complessità superiore.
Il sito è stato studiato a più riprese. Paglicci fu scoperta ufficialmente nel 1955. Ci si può stupire che un giacimento così importante possa essere rimasto ignorato fino a quella data. In realtà, Grotta Paglicci, fin dai primi decenni del secolo scorso era ben nota nell’ambito del territorio. Era oggetto di ricorrenti visite da parte di curiosi, di amatori e, specialmente, di cercatori di tesori (c’è una storia molto curiosa di un cercatore di tesori che scavò a Grotta Paglicci).
Nel 1971 ebbe inizio un ciclo importante di scavi archeologici che durò fino ai primi anni del nuovo millennio.

Il giacimento paleolitico di Paglicci (dal nome della Masseria, di proprietà Bramante, nel cui territorio rientra) è ubicato, in agro di Rignano Garganico, sul fianco meridionale del promontorio, lungo la riva sinistra del vallone di Settepende (o Settepenne).
Su questo versante, il Gargano presenta una serie di gradoni nel calcare del Cretaceo, il più basso dei quali, inclinato da nord verso sud tra le quote grosso modo di 150 e 100 metri sopra al livello del mare, è inciso appunto dal vallone ora ricordato, che ospita attualmente una modesta vegetazione arbustiva.
Le cavità carsiche costituenti il riparo esterno e l’attigua grotta di Paglicci, si aprono nella parete calcarea poco al di sotto della superficie del primo gradone. Quest’ultimo, con ripido pendio di roccia brulla, si raccorda al secondo, la cui superficie si eleva a circa 600 m di altezza. Su di essa riposa il paese di Rignano Garganico.
La piana foggiana, il cui margine pedemontano si trova a pochissima distanza dal giacimento, e che era dunque raggiungibile con estrema facilità dagli antichi cacciatori, doveva costituire, nei periodi a clima più arido, un’ampia prateria a steppa popolata da Equidi, quali il Cavallo e l’Asino idruntino e, nelle fasi più umide, anche dal Bove primigenio o Uro.

Lungo i valloni, specialmente ai loro sbocchi in pianura e forse anche sul primo gradone, le oscillazioni climatiche di tipo più temperato dovrebbero aver favorito la diffusione di tratti di bosco e di macchia in grado di ospitare Cervidi (Cervo elafo, Capriolo) e Suidi (Cinghiale).
A nord, la montagna, con i suoi dirupi denudati, d’altra parte, fornì senza dubbio, nel corso delle fasi arido-continentali, un ambiente del tutto adatto allo Stambecco e al Camoscio. Anche la Marmotta che è anch’essa segnalata (almeno in alcuni momenti), sembrerebbe appartenere a questo stesso ambiente montano.
Grotta Paglicci ebbe la “fortuna” di rimanere sede di cacciatori per tanti millenni, soprattutto per la possibilità di disporre di una buona riserva idrica, come proverebbe l’esistenza, in una sala interna (la cosiddetta Grotta dei Pilastri), un tempo collegata con quelle attualmente accessibili, di una cornice di incrostazioni calcaree tutt’intorno, suggerente (secondo l’opinione del geologo Angelo Pasa) un livello piuttosto costante di acqua.
I reperti trovati a Paglicci permettono di ricostruire diversi elementi della vita di quelle prime comunità di esseri umani. I manufatti in selce e in osso o corno, le semplici strutture come i focolari, i resti ossei degli animali abbattuti, tutti questi elementi concorrono a ricostruire la cultura materiale dell’uomo preistorico.
Ma, durante il Paleolitico superiore in particolare, oltre a svolgere le attività quotidiane legate alla sua sopravvivenza, l’uomo andava sviluppando una sua cultura “spirituale”, che è documentata, da una parte, dalla produzione artistica, dall’altra, dalla attenzione religiosa verso i morti. Quest’ultimo aspetto della spiritualità umana ha radici che risalgono a tempi assai remoti; l’arte, invece, risulta essere una acquisizione più recente, e tipica di “Homo sapiens sapiens”.

Qui di seguito, faremo un sunto descrittivo. Per comodità di studio, le manifestazioni d’arte (comprendenti la scultura a tutto tondo, in basso e alto rilievo, la pittura e il disegno inciso) sono state suddivise in “parietali” (cioè praticate sulle pareti di grotte o ripari) e “mobiliari” (vale a dire pertinenti a oggetti mobili, come lastrine di pietra, ciottoli, frammenti di osso, etc). I soggetti di tale arte sono, sia zoomorfi, sia antropomorfi, sia anche di tipo schematico o geometrico.
Come arte parietale menzioniamo qui gli elementi principali.
I due cavalli completi sono raffigurati con uno stile piuttosto arcaico, che richiama quello del ciclo più antico dell’Arte franco-cantabrica. Gli animali appaiono statici, le teste piccole ed un po’ reclinate, i dorsi sensibilmente incavati ed i ventri voluminosi e rigonfi, tanto da far pensare a delle giumente gravide. Nel cavallo in posizione normale sono indicati alcuni particolari anatomici, come l’occhio e la narice. In entrambi, il colore – un bel rosso intenso – non riempie totalmente lo spazio entro le linee di contorno, ma risparmia il ventre, probabilmente ad indicarne il diverso tipo di pelame di questa parte del corpo.

In quanto alle mani (almeno cinque sicuramente riconoscibili), di esse alcune sono “positive”, ottenute cioè per diretta impressione delle mani stesse spalmate di colore, altre sono “negative”, vale a dire realizzate spruzzando il colore attorno a esse. Da osservare in particolare un paio di mani accostate, in apparenza almeno di tipo positivo, il cui colore contrasta rispetto ad una zona bianca circostante.
In questo caso non si riesce chiaramente a stabilire se la colorazione bianca suddetta sia artificiale o appartenga a una velo calcareo della parete stessa che sia stato ritagliato, e così pure se il rossiccio delle impronte delle mani non sia piuttosto il colore della patina della roccia sottostante.
Interessanti anche altre due mani, poste una al di sopra dell’altra e con prolungamento di colore fino al polso (quasi fossero inguantate). Una mano singola, infine, per la sua posizione topografica, sembra essere in qualche relazione con la figura del cavallo verticale (di cui sfiora la curva del ventre).
Anche l’arte mobiliare risulta assai interessante. Qui di seguito i dati principali.
Se per le manifestazioni d’arte parietale di Paglicci la cronologia resta sempre un po’ approssimativa, per quelle d’arte mobiliare possiamo disporre di tutta una serie di dati crono-stratigrafici che ci permettono grosso modo (compatibilmente cioè col numero dei documenti finora reperiti) di seguire l’evolversi dei moduli stilistici; ciò nel corso di un periodo assai lungo compreso fra il Gravettiano evoluto e la fine dell’Epigravettiano.
Il più antico oggetto d’autentica arte mobiliare di Paglicci è rappresentato da una porzione di “osso lungo” di grande mammifero, che mostra tutta una complessa serie di graffiti.

Inoltre, la Grotta Paglicci ha fornito tre sepolture e numerosi resti umani singoli. L’attenzione religiosa verso i morti, non meno dell’arte, costituisce un aspetto importante della cultura spirituale dell’uomo.
Essa non nasce con il Paleolitico superiore, ma è bensì documentata, sebbene in forme più semplici, fin dal Paleolitico antico, si sviluppa chiaramente nel corso del Paleolitico medio per poi assumere, nel Paleolitico più recente, aspetti ancora più evidenti e complessi.
I resti fossili umani di Grotta Paglicci comprendono gli scheletri di un giovinetto e di una donna, di età gravettiana e quello incompleto dell’Epigravettiano finale che, insieme ai denti, i frammenti di cranio e di mandibola e le ossa lunghe degli strati sia gravettiani che epigravettiani, sono stati oggetto di analisi antropologica da parte dell’Università di Padova e dell’Università di Pisa. I dati finora emersi concorrono all’attribuzione dei resti di Paglicci al tipo umano di Crô-Magnon, largamente diffuso in Europa durante il Paleolitico superiore.
Foto e descrizioni tratte da: Paglicci ed il paleolitico del Gargano, Arturo Palma di Cesnola, Claudio Grenzi Editore, 2003.
Archivio foto da: Centro Studi Grotta Paglicci.
Fonte: Gargano da scoprire – Amici del rupestre, Gianluigi Vezoli 25 marzo 2024
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