La Cultura, senza muri e confini, torna dopo un lungo viaggio, a casa propria, tra gli Scavi, più che inclusiva che mai ed essere, così, esposta ed ammirata, più sorprendente e suggestiva di prima, da studiosi e visitatori.
A cura del Comando Carabinieri Tutela del Patrimonio Culturale, è stato infatti restituito, dopo 80 anni, al Parco Archeologico di Pompei, un mosaico d’epoca romana, depredato da lì nel 1944 e portato in Germania dalle truppe tedesche, per essere oggi “posto in vetrina” nell’Antiquarium di detto pregevole sito.
Il pannello in parola, raffigurante una coppia di amanti in una “scena erotica delicata”, è databile tra la metà dell’ultimo secolo a.C. e il I secolo d.C. Rimpatriato dalla Germania, attraverso una spedizione diplomatica predisposta dal Consolato Generale d’Italia a Stoccarda, il mosaico, su lastra in travertino, decorava con ogni probabilità la pavimentazione di un ambiente privato, riservato al padrone di casa. L’opera, secondo studi mirati, proviene verosimilmente dall’area vesuviana, forse da una villa del suburbio pompeiano. Donato da un Capitano della Wehrmacht, addetto alla catena dei rifornimenti militari in Italia durante la Seconda guerra mondiale, a un cittadino tedesco, il mosaico è stato restituito dai suoi eredi, come detto, ai carabinieri del Nucleo TPC di Roma che, a loro volta, dopo gli accertamenti necessari per stabilirne l’autenticità ee il contesto di provenienza, lo hanno reso al Parco.
<<La riconsegna di oggi, ha dichiarato il Generale di Divisione Francesco Gargaro, conferma ancora una volta il grande impegno che il Comando carabinieri Tpc profonde nella riacquisizione del patrimonio culturale nazionale impropriamente presente all’estero. Questo lavoro viene quotidianamente svolto grazie ad una fitta rete di relazioni internazionali, consolidate negli anni, che ci consentono di poter operare con precisione e rapidità>>.
“Ogni reperto depredato che rientra è una ferita che si chiude, per cui esprimiamo la nostra gratitudine al Nucleo tutela per il lavoro svolto”, ha affermato il direttore del Parco archeologico di Pompei, Gabriel Zuchtriegel, che aggiunge: “La ferita non consiste tanto nel valore materiale dell’opera, quanto nel suo valore storico; valore che viene fortemente compromesso dal traffico illecito di antichità. Non conosciamo l’esatta provenienza del reperto e probabilmente non la conosceremo mai; faremo ulteriori studi e analisi archeometriche per accertarne l’autenticità, per ricostruire la sua storia fin dove possibile. Lo studio, la conoscenza e la fruizione pubblica del patrimonio sono i fiori di loto che crescono sul fango dei trafugamenti mossi dalla brama del possesso e dell’egoismo di chi sottrae reperti archeologici alla comunità”.
«Queste pietre sono state prese illegalmente, negli anni settanta, dal sito di Pompei dal compianto zio Bob», e poi conservate nella sua soffitta. Poche parole, scritte a mano su un biglietto di carta, all’interno di una scatola fatta recapitare nel Parco su indicato, hanno fatto compagnia per oltre cinquant’anni a cinque pietre trafugate dal Parco archeologico di Pompei dal su menzionato turista inglese. Insomma, un certo alone di mistero che si accompagna, inevitabilmente, al rinvenimento di tale, straordinario, “scrigno della memoria”, per il quale il tempo sembrava essersi fermato.
Ma, oggi come oggi, stiamo a raccontare di un’altra storia. Di valori aggiunti e di sviluppo sostenibile.
Autore: Gennaro D’Orio – doriogennaro@libero.it












