Gli opliti — il cui nome deriva dal greco oplon, “scudo” — erano guerrieri dotati di armatura pesante che combattevano fianco a fianco in una formazione serrata, la falange.
L’oplitismo fu un fenomeno politico, militare e sociale sorto in Grecia tra l’VIII e il VII secolo a.C. Esso si basò sulla crisi del potere politico delle aristocrazie e sull’emergere di nuovi ceti sociali — agricoltori, commercianti e artigiani — che potevano permettersi l’acquisto dell’armamento oplitico. L’oplitismo portò alla formazione di un esercito cittadino di eguali, favorendo una progressiva “democratizzazione” della milizia e l’accesso del ceto medio alla vita politica. La tattica oplitica si diffuse in molti paesi del Mediterraneo.
Le rappresentazioni su vasi in ceramica, lastre e monumenti funerari attestano la presenza, anche in Etruria a partire dalla metà del VII secolo a.C., di guerrieri opliti dotati di armatura pesante e della tipica tecnica di combattimento in falange.
L’oplita etrusco indossava un‘armatura bronzea costituita da elmo (di tipo negau, corinzio o montefortino), corazza (pettorale e dorsale), schinieri ed era munito di corta spada, lunga lancia e grande scudo ovale, fornito di un passante centrale e di un’impugnatura lungo il bordo.
Diodoro Siculo riferisce che “in Etruria (…) la falange oplitica fu adottata durante il VI secolo, e gli Etruschi insegnarono ai Romani a combattere con scudi di bronzo” (XXIII,2). Anche Ateneo (VI, pag. 231) precisa che la formazione a ranghi serrati venne adottata dai Tirreni, che attaccavano in falange.
L’affermazione della tattica oplitica in Etruria avvenne però su basi sociali diverse da quelle verificatesi in Grecia; in Etruria, infatti, l’esercito rimase sempre assoggettato al potere della classe gentilizia.
Probabilmente, nella fase iniziale, nelle città etrusche la fanteria pesante professionale era costituita essenzialmente da un’élite minoritaria di estrazione aristocratica; successivamente, anche le classi inferiori entrarono a far parte dell’esercito, che era strutturato in varie classi (analogamente all’esercito etrusco-romano di Servio Tullio), seppur armate in modo più leggero, in proporzione alle proprie disponibilità.
Dionigi di Alicarnasso (IX, 5, 4-5), nel descrivere gli eserciti guidati dai principi etruschi giunti a Veio nel 480 a.C. in aiuto della città etrusca assediata dai Romani, parla di penestai, evidenziandone il ruolo subordinato e servile.
In un deposito rinvenuto presso le mura di Vetulonia sono stati ritrovati una cinquantina di elmi di bronzo schiacciati e contorti di tipo negau (del V secolo a.C.) che recano il gentilizo Haspnas; si tratta con tutta probabilità dei compagni, sodales di un capo.
Diverse testimonianze archeologiche che mostrano schiere di opliti che accompagnano il comandante, rappresentato in sella ad un cavallo oppure in piedi su un carro da guerra (lastra in terracotta architettonica da Veio, tempio di Piazza d’Armi, VI secolo a.C.; terracotta, probabilmente proveniente da Tuscania, conservata al Staatliche Antikensammlungen Monaco), sembrano celebrare non tanto il ruolo paritario dei guerrieri, quanto la potenza del principe e la subalternità degli armati.
Nello stesso senso paiono da interpretare una stele funeraria chiusina del V secolo a.C. (conservata presso il Museo Giovanni Barracco a Roma), che mostra opliti etruschi con elmi crestati, paraguance, corazze e schinieri, che avanzano in battaglia seguiti dai loro attendenti; così come il cippo circolare (degli inizi del VI secolo a.C.) del Tumulo di Poggio Gaiella a Chiusi, con rappresentazione di una processione di opliti con elmo, scudo e asta corta, accompagnati da un suonatore di tibia.
Non mancano però monumenti etruschi che valorizzano il guerriero oplita esaltandone l’individualità. La stele di Aule Feluske (della fine del VII secolo a.C.) da Vetulonia riproduce un guerriero con elmo piumato, grande scudo rotondo ed ascia bipenne, forse un capo.
Nelle stele e nei cippi fiesolani (fine VI – primi V secolo a.C.) inoltre la rappresentazione dell’oplita (munito di elmo, scudo, lancia e schinieri) è piuttosto ricorrente come nei casi del cippo di Montebonello, del cippo di Artiminio I, della stele del Trebbio e della stele di Sant’Agata (perduta, ma nota per un disegno edito da Anton Francesco Gori nel Settecento). Quest’ultimi non sono nemmeno identificati con il nome.
L’oplita con elmo, scudo, lancia e schinieri è attestato anche nelle stele felsinee della metà del V secolo a.C. (serie nn. 62 lato b, 107 lato b e 156 lato b).
Tale tipologia di monumenti sembrerebbe evidenziare l’appartenenza dei guerrieri opliti a una nuova classe sociale di maschi adulti, definita dalla loro funzione militare.
Sull’oplitismo in Etruria cfr., tra gli altri:
– Luca Cerchiai, Lo sviluppo dell’immagine oplitica nell’Etruria arcaica;
– Raffaele D’Amato Andea Salimbeti, Gli Etruschi Una storia militare. IX – II a.C., LG, 2018, pagg. 60 e ss.;
– Sybille Hayners, Storia Culturale degli Etruschi, Johan & Levi editore, 2023, pagg. 190 -191;
– Elisabetta Govi, Il linguaggio figurativo delle stele felsinee in Studi sulle stele etrusche di Bologna tra V e IV secolo a.C., edizioni Quasar, 2015, pagg. 19 e ss.;
– Armando Cherici, Etruria – Roma: per una storia del rapporto tra impegno militare e capienza politica nelle comunità antiche in Annali della Fondazione per il Museo “Claudio Faina”, Volume XVI, Gli Etruschi e Roma Fasi Monarchica e Alto-Repubblicana, Edizioni Quasar, 2009, pagg. 155 e ss..
Di seguito immagini della cd. Olpe Chigi, tomba di Monte Aguzzo (Formello, Veio), di terracotta architettonica dal tempio di Piazza d’Armi (Veio), del cippo circolare di Poggio Gaiella (Chiusi) e della Stele del Trebbio.
Autore: Michele Zazzi – etruscans59@gmail.com













