Negli anni ’20 del XX secolo, fu eseguita una serie di scavi sotto la direzione dei due archeologi britannici, Sir Leonard Woollley ed Henry Hall, nel sito Al Ubaid, che si trova a una manciata di chilometri a occidente di Ur, un’antica città sumerica situata, allora, presso la foce del Tigri e dell’Eufrate sul Golfo Persico; oggi, si trova nell’entroterra ad una quindicina di chilometri dalla stessa, non lontano dalla città di Nasirijah, a sud di Bagdad in Iraq, a causa dell’apporto di detriti solidi.
Durante i lavori venne scoperto il cimitero reale, in cui furono individuate, fra l’altro, le tombe dei sovrani, di cui tre piene di tesori: ciò significa che nel passato nessuno le aveva trovate e, pertanto, svuotate del loro contenuto. E, meraviglia delle meraviglie, fra i reperti faceva bella e luminosa mostra di sé l’elmo d’oro di Meskalamdug, nella sua maestosa ricchezza.
Ma chi era questo Meskalamdug? Appurato che quel nome significa “Eroe del Paese Benedetto”, Meskalamdug è il nome di uno dei primi re sumeri della Prima Dinastia di Ur di 4.600 anni fa, del quale si sa pochissimo, se non che fu il marito di Ninbanda e che ha governato attorno al 2600 a.C.; del resto, non compare nell’elenco dei re sumeri e, per questo, qualcuno lo ritiene un presunto re di Ur. Però, il suo nome compare su un sigillo cilindrico, reperito nel Cimitero Reale di Ur nella tomba di una regina: questo porta incisa la scritta “Meskalamdug lugal”, cioé “re”: il sigillo di conchiglia ha l’anima in lapislazzuli ed è decorato con la scena dello scontro fra due leoni e tori, mentre allo stesso partecipano Eukidu (figura leggendaria della mitologia mesopotamica) ed un uomo nudo visto di profilo. Inoltre, lo si ritrova in un’iscrizione di perline reali trovata a Mari, che lo menziona come Re.
E gli archeologi e gli storici, con le loro ricerche ed impuntandosi testardamente, sono riusciti ad avere qualche notizia in più nei suoi confronti e sono giunti alla conclusione che era il primo figlio del re Namtar, nato dal suo primo matrimonio, e che il regno passò ad Abaraggi, nato dal secondo matrimonio con la regina Shubad. Però, questi morì solamente dopo tre anni da quando era salito sul trono. E infatti, si trova che fra il 2490 e il 2485 a.C. egli sedeva sul trono. Intanto era accusato dal procuratore di razziare nella tomba di Abaraggi per appropriarsi delle sue ricchezze, fra cui il famoso elmo. A quel punto, il consiglio dei sacerdoti si riunì e decise che si doveva organizzare uno scontro per avere la verità: il re, colpito da uno dei suoi oppositori che lo accusavano di aveva eliminato il fratello, fu ferito gravemente e morì.
Il racconto di Leonard Woolley in merito alla scoperchiatura della tomba e del suo svuotamento dalla terra che la ingombrava, è intriso di emozione e di sorpresa per la ricchezza del “bottino”, se così vogliamo chiamarlo: insieme con il corpo adagiato su un fianco, nella posizione di chi dorme saporitamente, era una cintura d’argento rotta, un pugnale in oro e lapislazzuli, una lampada a forma di conchiglia, tre ciotole d’oro, un’ascia d’oro, oltreché gioielli d’oro, orecchini a mezzaluna, anelli in filo d’oro avvolti a spirale, bracciali. Ma ciò che maggiormente attirò, prima l’occhio e poi l’ammirazione, fu uno stupendo elmo d’oro che, a distanza di tanto tempo, poteva riflettere liberamente la luce del sole, appoggiato com’era sul cranio del defunto e con i piatti ne coprivano la faccia.
L’elmo è il prodotto di un artista della lavorazione dei metalli eccezionale. E’ stato ottenuto da una sola lamina d’oro e sagomato in modo da mostrare una capigliatura con ciocche ben delineate che scendono sui lati del capo. E questa rappresentazione risponde a ciò che a quei tempo avveniva in Mesopotamia, dove i capelli erano curati quasi fosse un culto. Infatti, il re si era fata crescere la barba, mentre i capelli, molto lunghi, erano legati sulla nuca a forma di crocchia e le donne, sempre con capelli lunghissimi, li attorcigliavano a chignon che dalla sommità del capo, scendevano fino alle spalle e li decoravano con spille e nastri; questi, nelle persone ricche erano di argento e oro.
Sicuramente, l’elmo di Meskalamdug era la dimostrazione evidente dello status del suo proprietario e, per il materiale usato e per la rifinitura; non era stato costruito per finire in battaglia, ma sicuramente serviva in riti o cerimonie.
Da ricordare che nel mondo dei Sumeri chi governava era spesso considerato un collegamento con le divinità, che era simboleggiato da oggetti di estremo valore.
L’elmo con l’iscrizione, però, non ha le dimensioni adatte per un adulto, per cui, forse, è stato preparato quando Meskalamdug era ancora un bimbo. In ogni modo, l’elmo d’oro di Meskalamdug è un’attestazione dell’importanza cerimoniale dei sovrani sumeri, ma pure di quella militare ed una dimostrazione che la ricchezza era un elemento per far valere il loro potere e la loro autorità.
Autore:
Mario Zaniboni – zamar.22blu@libero.it













