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Giuliano CONFALONIERI, Archeologia dell’arte cristiana.

cippo

Tuttora si susseguono nuove scoperte archeologiche per merito dell’incessante aggiornamento delle metodologie tecniche e scientifiche.
Roma in particolare detiene il primato dei reperti – specialmente quelli funerari sotterranei – che però rischiano l’oblio per l’abbandono totale nel quale sono lasciati (torna spesso alla ribalta della cronaca anche Pompei con tutti i relativi problemi irrisolti). Gli smottamenti e le frane sono fenomeni dovuti all’incuria delle istituzioni e alla mancata presenza su molta parte del territorio delle vecchie famiglie patriarcali. L’estensione urbanistica – spesso devastante – ha contribuito a coprire le vestigia degli antenati (pitture e architetture secolari) malgrado gli sforzi di chi è preposto alla loro tutela, come la Commissione Pontificia di architettura sacra e l’Istituto archeologico germanico che hanno provveduto al restauro e all’apertura pubblica di molti siti. I rilievi sul campo hanno permesso di ricostruire il contesto delle ambientazioni e quindi dei progetti originali: affreschi e manufatti (cimiteri, parrocchie, dimore patrizie) sono ancora disponibili per ulteriori dettagliate indagini. Sono emerse mura degli edifici primitivi (chiese romane risalenti al IV / V secolo d.C.) così come le catacombe situate in centri minori. Affreschi e sepolcri con decorazioni a mosaico testimoniano la presenza di antiche comunità cristiane in vari territori (i cimiteri spesso fanno capire il modus vivendi delle popolazioni).
In Francia è stato analizzato il passaggio dalle città romane a quelle medievali, con particolare interesse per l’impatto urbanistico e rurale degli edifici di culto. L’archeologia medievale europea ha il grande merito di ricostruire i fenomeni storici, dai villaggi abbandonati agli scavi nelle città tuttora vissute.
Anche le ricerche subacquee contribuiscono a rilevare le antiche strutture subacquee, sia portuali sia con il ricupero delle navi affondate. Victor Hugo considerava la nave una dimostrazione delle capacità dell’uomo di confrontarsi con il mare, simbolo della potenza del Signore. La difficoltà di fare il punto nave e la dimensione ridotta degli scafi hanno fatto privilegiare agli antichi il traffico di piccolo cabotaggio.
Tremila anni fa gli Egizi costeggiavano il Mediterraneo trasportando droghe, cosmetici, avorio; i Fenici stivavano mobili, gioielli, tessuti; i Greci, secondo la leggenda, attaccarono Troia dal mare; i Romani, esperti nel tracciare strade, usarono le navi per trasportare ceramiche, cereali e merce alla rinfusa.
I fondali finora esplorati hanno rivelato giacimenti più o meno accessibili, più o meno conservati, ma sempre interessanti per la loro testimonianza. Le prime operazioni di ricupero in mare furono compiute in maniera disordinata e con l’unico scopo di portare a terra oggetti di valore. Solamente più tardi ci si preoccupò di rilevare e studiare ciò che una nave affondata rappresenta, un mondo unico e irripetibile dal quale dedurre le tecniche dell’ingegneria navale del tempo nonché l’attività militare o mercantile a cui il relitto era legato.
Le prime cronache di ricuperi risalgono al XVII e XVIII secolo. Gioielli o il bronzo ed il ferro dei cannoni, ancore e materiale vario furono strappati al mare con enorme fatica, con l’aiuto di campane subacquee artigianali e di provetti tuffatori. All’inizio del Novecento gli scavi sui fondali di Mahdia hanno riempito molte sale del Museo di Tunisi: candelabri, recipienti, bronzi e marmi raffiguranti simboli e personaggi mitologici. Nella stessa epoca una nave da guerra greca era all’ancora a ridosso di un’isola tra Creta e il Peloponneso; un palombaro aveva identificato a 50 metri di profondità statue in bronzo e in marmo, alcune nascoste dai sedimenti, altre liberate con pochi colpi di piccone e issate a bordo: tra questi ricuperi primeggiava la statua ‘Atleta’ esposto al Museo Nazionale ateniese. In ambedue i casi il lavoro fu eseguito da palombari coadiuvati dagli stessi pescatori che avevano for-tuitamente localizzato i resti. Il prezzo pagato per i ricuperi era allora molto alto, dalla perdita irrimediabile di oggetti eccezionali per la mancanza di una precisa metodologia di scavo alla strage di uomini che si immergevano senza alcuna nozione dei problemi connessi alla decompressione.    

Autore: giuliano.confalonieri@alice.it  

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