Una monumentale opera pubblica risalente agli ultimi decenni del IV secolo a.C. e ai primi di quello successivo è indagata a Spina (Comacchio – Fe) dall’Università Alma Mater Studiorum di Bologna, sotto la direzione di Andrea Gaucci in coordinamento con Carolina Ascari Raccagni (Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara). Alle ricerche collaborano diversi altri atenei ed enti di ricerca italiani e stranieri, tra i quali l’Université de Strasbourg e il Cnrs.
Le indagini si sono concentrate su un’opera d’ingegneria imponente, individuata già in un’indagine precedente. Si tratta di un terrapieno monumentale costituito da terra e legno per delimitare e proteggere la città, che arrivò a rappresentare uno dei porti maggiori del Mediterraneo tra i decenni finali del VI e il III secolo a.C.
Ho utilizzato l’aggettivo monumentale non a caso, dato che la larghezza del terrapieno è stata calcolata tra i 15 e i 16 metri mentre la sua lunghezza si estendeva per centinaia di metri. Il nucleo centrale era in terra, la fronte esterna in direzione della laguna era armata ricorrendo a fili di pali ricavati soprattutto da alberi di quercia, olmo e frassino. Del legno di quest’ultimo si apprezzava, in particolare, la flessibilità.
Un calcolo preciso dei pali utilizzati non può essere fatto, ma erano sicuramente migliaia e migliaia e già questo suggerisce l’organizzazione complessa del grande cantiere anche in considerazione che l’opera sembra essere stata progettata in un’unica soluzione.
L’impegno straordinario profuso nella sua realizzazione, in un quadro ambientale complesso, suggerisce che Spina continuava ad essere una tappa terminale delle rotte adriatiche e di rotte terrestri che dal settore tirrenico dell’Etruria, attraversando l’Appennino, si dirigevano verso l’area padana e il mondo transalpino pur in un quadro di difficoltà per il mondo etrusco pressato dai Celti e dai Romani.
Si ricordi, in proposito del peso politico di Spina e delle sue relazioni politiche e commerciali, che la città aveva un suo «thesauros» (donario) a Delfi.
L’attenzione degli archeologi si è indirizzata, in particolare, sui pali lignei, sui resti botanici, sulle conchiglie e, più in generale, sull’ambiente lagunare che caratterizzava la città e già questo segnala il carattere innovativo delle ricerche in corso, di cui si è appena conclusa la sesta campagna di scavo.
Al centro dell’interesse, come ha dichiarato Andrea Gaucci: «è il farsi della storia partendo dalla vita quotidiana della comunità, dal suo lavoro e dai problemi che doveva affrontare».
Autore: Giuseppe M. Della Fina
Fonte: www.ilgiornaledellarte.com 7 ott 2025












