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Carla LANFRANCHI: Ulpia Athenaide distesa sulla kline.

Quando fu trovata la sua sepoltura millenaria fu per caso, come spesso accade in archeologia. Era il pomeriggio del 9 ottobre 1975. Immagino una giornata ancora serena, di autunno appena annunciato ma già umida verso sera. La fretta di finire il lavoro aveva fatto fare al contadino solchi geometrici precisi sul campo del podere Setta, dopo la raccolta del granoturco. Ma non riuscì a finire, il trattore trovava continui ostacoli nella terra facendolo sobbalzare. Finchè, d’improvviso, qualcosa di resistente bloccò la punta dell’aratro che non volle fermarsi. E con uno strappo spezzò la stele funeraria di Ulpia Athenaide, lì sepolta dall’anno 100 dopo Cristo.

La grande inondazione della rotta del vecchio Po del III° secolo d. C. aveva sigillato con fango e detriti le tombe di questa necropoli, preservandole fino a noi.

La sepoltura di Ulpia Athenaide era costituita da una cassa in mattoni contenente i resti di una cremazione, sormontata da un lastrone in pietra veronese, una stele con dedica e immagine e il pozzetto votivo, dove il suo corpo era stato cremato.

La stele nella parte superiore raffigura la defunta, mollemente sdraiata su una kline. E’ un divano di foggia ellenica con un alto schienale, di bellissimo aspetto e dal design moderno. Lo si immagina rivestito di fresco lino d’estate o ricoperto di morbida lana d’inverno. Le sue linee aggraziate ben si addicono a raccogliere il corpo sinuoso di Ulpia, allungata di fianco sui cuscini, il braccio sinistro ripiegato perché la mano possa reggere il capo, la mano destra appoggiata in grembo stringe una coroncina di fiori.

Il panneggio della veste è accurato, leggere pieghe sfiorano la figura snella che tiene le gambe leggermente ripiegate. Nella pettinatura s’intuisce una treccia che incornicia la fronte. Il viso rotondo ci osserva con occhi vivi, aperti, un po’ sporgenti.

Ulpia sta in posa per il riposo eterno e guarda, tranquilla, come ad osservare chi passa per la strada, verso ovest, oltre il sepolcreto.

La sua tomba, come le altre 12 rinvenute in quella lontana campagna di scavi, stava a circa due metri di profondità, dentro recinti funerari in muratura. L’uso del marmo pietra di Verona per queste sepolture testimonia l’opulenza della famiglia.

Ulpia Athenaide che è stata raffigurata sul suo bellissimo divano doveva essere una donna ricca, moglie di un ricco liberto della gens Ulpia, un librarius.

Le epigrafi suggeriscono che nel II°secolo d.C. si fossero insediati in quest’area di saltus (latifondi) deltizi imperiali molti liberti della famiglia dell’imperatore Traiano e molti militari che, cessato il servizio di ferma svolto in gran parte sulla flotta di Classe, ottenevano come compenso vaste terre coltivabili sul grande delta del PO.

I corredi ritrovati nelle tombe testimoniano che Voghenza era al centro di traffici commerciali importanti, come la produzione di laterizi, facilmente esportati al nord per la presenza di comode vie d’acqua e di terra.

In quasi tutte le sepolture sono stati trovati oggetti molto interessanti: vetri, gioielli d’ambra, monete (l’obolo di Caronte, mitico traghettatore delle anime nell’ADE) e lucerne votive.

Anche accanto alla cassa di Ulpia il giorno della sepoltura avevano deposto una bella lucerna di argilla rossa, per illuminare i suoi passi nell’aldilà.

Molti oggetti rinvenuti nella necropoli sono di pregevole fattura, alcuni di rara bellezza, come uno splendido porta profumi in onice scuro dello spessore di qualche millimetro, importati dall’oriente. I vetri venivano da Aquileia e dal Baltico, l’ambra. A questa si attribuivano poteri taumaturgici, poteva preservare la salute della gola: per questo alle bambine, ma anche ai bambini, era opportuno regalare collane e oggetti d’ambra.

Nella sepoltura di Ulpia sono stati trovati alcuni fra i pochissimi oggetti d’oro della necropoli: un ciondolo con lavorazione a sbalzo e due orecchini a forma di scudo greco, forse un rimando a quel nome Athenaide?

Dalla necropoli di Voghenza non sono emerse armi né strumenti di lavoro, pochissimi e simbolici gli aghi e le fusarole. Ciò fa pensare a gente economicamente benestante, che si poteva permettere ricche sepolture in marmo e, soprattutto, che non sentiva il bisogno di portare nelle tombe strumenti di lavoro, segno di fatica manuale, perché altri lavoravano per loro, altri che non potevano essere sepolti in questo cimitero riservato ai notabili.

Ulpia, giovane matrona romana di campagna vuole essere ricordata per il suo divano sontuoso e la veste leggera sul corpo ancora snello, per il suo sguardo sereno-indagatore e per queste semplici parole:

Agli Dei Mani

Ad Ulpia Athenaide
dal marito Clemente,
servo del nostro Cesare come Librario,
ed il figlio Ulpio Festo
perché ben meritò

Bibliografia:
Ottorino Bacilieri, Storia archeologica di Voghenza e del suo territorio, edizione Arstudio C, Ferrara 1994;
AA.VV., Voghenza – una necropoli di età romana nel territorio ferrarese, edito da Banca di Credito Agrario di Ferrrara, 1984.

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Autore: Carla Lanfranchi
Cronologia: Arch. Romana

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