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Archeologia Subacquea. Dalla passione alla professione.

Scoprendo l’affascinante realtà dell’archeologia subacquea, non è difficile appassionarsi e decidere di farne una professione vera e propria. Sorge allora la domanda: come si diventa archeologi subacquei?
In Italia corsi di laurea con specifico indirizzo in archeologia subacquea sono realtà formative di istituzione davvero recente, perlopiú concretizzate sotto forma di corsi specifici inseriti all’interno di facoltà come Archeologia o Beni Culturali.
Corsi di archeologia subacquea sono stati attivati da numerose università all’interno dei percorsi di laurea biennale e triennale.
In particolare, l’Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa di Napoli, nel corso triennale di laurea in Conservazione dei beni culturali offre un iter formativo specialistico in Archeologia nel mare (www.unisob.na.it).
Altri atenei dei quali si possono valutare, anche attraverso il web, l’offerta e la disponibilità di corsi in archeologia subacquea sono:
 – l’Università di Palermo, presso la sede distaccata di Agrigento (www.unipa.it);
 – l’Università di Bari (www.uniba.it);
 – l’Università di Foggia (www.unifg.it);
 – l’Università del Salento di Lecce (www.unile.it);
 – la Seconda Università degli Studi di Napoli (www.unina2.it);
 – l’Università degli Studi di Napoli «L’Orientale» (www.unior.it);
 – l’Università di Pisa (www.unipi.it);
 – l’Università degli Studi Roma Tre (www.uniroma3.it);
 – l’Università di Venezia (www.unive.it);
 – l’Università degli Studi della Tuscia di Viterbo (www.unitus.it).
Quasi tutti questi corsi sono tenuti e coordinati dai maggiori specialisti dell’archeologia subacquea italiana, e offrono agli allievi la possibilità di studiare relitti e siti sommersi, tecniche di rilievo e scavo subacqueo, apprendendole direttamente da protagonisti della ricerca come Claudio Mocchegiani Carpano, Giuliano Volpe, Gianfranco Purpura, Roberto Petriaggi e Piero Gianfrotta.
Teoria e pratica
La maggior parte dei corsi associa un classico percorso didattico di tipo teorico a quello che è invece il vero elemento distintivo di questa branca dell’archeologia, ossia l’attività in acqua. Per poter operare sui siti sommersi è infatti necessario possedere adeguati brevetti di immersione, che si acquisiscono con i relativi corsi, ma soprattutto una notevole «acquaticità», termine con il quale viene definita in gergo la capacità di stare e muoversi sott’acqua con assoluta disinvoltura e padronanza dei gesti e delle reazioni.
Per riuscire a dedicare le proprie energie e le risorse mentali al compito che si sta svolgendo sul cantiere subacqueo, è infatti fondamentale che tutte le attività legate all’immersione siano ormai acquisite come gesti naturali e automatici, e non richiedano invece concentrazione particolare. E la dimestichezza con l’acquaticità si acquista solo con l’esperienza.
L’aspirante archeologo subacqueo dovrà provvedere a dotarsi della necessaria attrezzatura composta da elementi fondamentali come le pinne, la maschera, l’erogatore, il profondimetro, il manometro, il GAV (giubbotto ad assetto variabile), la cintura dei piombi e la muta.
Per chi volesse specializzarsi all’estero dopo la laurea italiana,  esistono importanti istituti di ricerca stranieri operanti nel settore dell’archeologia delle acque, spesso legati alle università, presso i quali si possono acquisire interessanti esperienze scientifiche e operative.
L’Università di Haifa (Israele), con il suo Leon Recanati Institute for Maritime Studies (http://maritime2.haifa.ac.il), il Woods Hole Oceanographic Institution del Massachusetts (www.whoi.edu), e il francese DRASSM – Département des recherches archéologiques subaquatiques et sous-marines (www.culture.gouv.fr/culture/archeosm/fr/fr-act-org1.htm) –, con sede a Marsiglia, rappresentano altrettanti punti di contatto per verificare la possibilità di seguire stages e corsi di approfondimento post laurea, o anche solo per un’esperienza didattica e formativa di alto livello.

Autore: Giovanni Lattanzi

Fonte: www.archeo.it , maggio 2008

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