Il 15 giugno 1962, un gruppo di archeologi stava scavando nei pressi della località Derveni, nella necropoli che, forse, apparteneva all’antica Lete, nella Macedonia, ad un pugno di chilometri da Salonicco, nella Grecia settentrionale. Il ritrovamento si è verificato nei pressi della nuova capitale Pella, il centro dove Archelao, verso il 400 a.C., dopo aver lasciata la vecchia capitale macedone Aigai (attualmente Verghina), si era trasferito.
Si stavano studiando ed analizzando due tombe, i cui inquilini indubbiamente erano stati personaggi di prestigio, dell’alta aristocrazia, considerati il sontuoso corredo funebre e l’affrescatura delle pareti. In esse, furono rinvenuti vasi con all’interno le ceneri dei defunti, giacchè erano stati cremati.
Durante quei lavori, in una di queste furono trovati frammenti parzialmente combusti, di un antico papiro macedone, fortunatamente ancora leggibili, che adeguatamente studiati hanno dimostrato di trattarsi di essere parte di un trattato di contenuto filosofico, religioso, rituale, di origine orfica. Non essendo stato rinvenuto insieme con le ceneri, si è compreso che esso, insieme con altro materiale, era finito nel rogo della pira che cremò i corpi degli inquilini delle tombe, e – fortunatamente per i posteri – non era stato totalmente arso.
Per la sua datazione ci fu la comoda sorpresa di trovare, nel corredo di quella tomba, una moneta di Filippo II, che consentì di datare il seppellimento fra il 340 e il 320 a.C. e logicamente non dopo; e, con tali date, non fu difficile pensare che quello fosse il più antico fra i manoscritti finora reperiti in tutti i siti archeologici d’Europa; infatti, è più antico dei rotoli di Ercolano, sepolti dalla lava del Vesuvio nel 79 d.C., che li ha preservati dalla distruzione; i suoi scritti partono dal III secolo a.C. per arrivare al I secolo d.C.
Forse, in origine il papiro era lungo sui tre metri, ma ciò che resta non è più di una trentina di centimetri, con gli scritti distribuiti in senso verticale su tre colonne, ognuna delle quali contiene tra le 11 e le 16 righe, con una decina di parole ciascuna.
Lo scritto è in dialetto ionico con interventi attici. Che l’origine sia di natura orfica non ci sono dubbi, essendo presente il nome di Orfeo per ben due volte in una delle colonne. In merito al contenuto del papiro, si può affermare che esso non fosse indirizzato a tutti, ma solamente agli iniziati e l’argomento trattato riguardava le opere che sono da attribuire al dio Zeus, eseguite seguendo i suggerimenti della Nera Nyx (Notte).
A proposito dell’autore, si ritiene possa essere Eutifrone da Porspalta, località nei pressi dell’attuale Kalyvia nell’Attica. Secondo alcuni filologi, l’incognito autore aveva attinto alla opere del filosofo Anassagora, vissuto ad Atene nel V secolo a.C.
Il papiro è stato oggetto di parecchi studi ed approfondimenti di carattere scientifico da parte di studiosi specialisti in quel campo. E fu proprio grazie a loro, e specialmente a quelli del Center for Hellenic Studies alla Harvard University di Cambridge nel Massachusetts che molte organizzazioni internazionali furono attratte dal ritrovamento, tanto che fu organizzato recentemente il Comitato Consultivo Internazionale (IAC) ad Abu Dhabi, capitale degli Emirati Arabi Uniti.
Comunque, pur essendo stati fatti passi in avanti di un certo peso, non si è giunti all’interpretazione completa del contenuto del papiro, anche per la mancanza di una sua buona parte.
Ciò che rimane di quel papiro oggi si trova esposto al pubblico nel Museo Archeologico di Salonicco.
Autore: Mario Zaniboni – zamar.22blu@libero.it













