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Mario Zaniboni. Coppa di Warren.

Un ritrovamento, che ha fatto parecchio scalpore e che ha attirato sopra di sé l’attenzione di un pubblico vario, è la cosiddetta Coppa di Warren, detta pure Calice di Warren, costruita da un artista sconosciuto ed unica nel suo genere.
Non è nota la località del suo ritrovamento, anche se sembra che il sito più plausibile sia quello di Battir, villaggio poco distante da Gerusalemme, e che la coppa sia stata trovata durante l’effettuazione di scavi insieme con monete riportanti il volto dell’imperatore Claudio. La data della sua fabbricazione sembra si possa fissare nell’epoca romana, fra il 5 e il 15 d.C., cioè nel primo secolo, quando regnava la Dinastia giulio-claudia.
Non si può sottacere il fatto che non tutti siano d’accordo in merito all’autenticità della coppa: infatti, in ambienti accademici italiani si è ritenuto che sia un falso portato a termine nel XX secolo.
Ma perché era sotto terra? I Romani avevano occupato Gerusalemme nei primi anni del I secolo d.C., ma il malcontento era giunto ad un punto tale che nel 66 era scoppiata la rivolta dei Giudei Zeloti, estremi difensori dell’indipendenza del Regno di Giudea, che raggiunse il suo intento di cacciare gli invasori. E forse, per mettere la coppa al sicuro contro le razzie, il proprietario l’aveva interrata. Questa è l’ipotesi formulata dal Direttore del British Museum di Londra, Neil MacGregor.
La coppa d’argento, che oggi si può ammirare in quel museo, ha l’altezza di 11 centimetri e la bocca di 9, ed è decorata da due scene omosessuali. A parte la scelta delle scene, che può non trovare il consenso di tutti, c’è da rilevare che si tratta di un capolavoro artistico che ha una qualità veramente eccezionale ed impressionante.
La coppa è finemente cesellata dall’interno e scolpita in bassorilievo; porta gli attacchi di due maniglie, purtroppo andate perdute.
Su uno dei suoi lati è un uomo, attivo, o erastès, con la barba che pratica il sesso anale su un ragazzo passivo, o eromenos, mentre sull’altro avviene lo stesso fra un giovane ed un ragazzino. Un guardone spia da una porta quanto sta avvenendo sotto i suoi occhi, cioè scene di sesso intercrurale. Ci sono letti, tessuti bene ripiegati, strumenti musicali e gli uomini indossano corone di alloro: tutto questo scenario fa ritenere che a Roma fosse una specie di normalità, un modus vivendi dell’aristocrazia locale.
Non si sa come la coppa sia giunta a Roma, dove nel 1911 fu acquistata da un antiquario per 2.000 sterline, una cifra elevatissima per quei tempi, dal collezionista d’arte statunitense, Edward Perry Warren, vissuto a cavallo fra il XIX e il XX secolo, le cui preferenze per arricchire la sua collezione di reperti antichi erano orientate verso l’acquisizione di oggetti a tema a sfondo omosessuale.
Il reperto ebbe un successo straordinario fra i suoi amici e divenne il pezzo più pregiato dell’intera collezione di opere artistiche di Warren, che ne era teneramente innamorato al punto che, con i suoi amici, lo chiamava “Santo Graal”.
Per la prima volta, la coppa fu posta all’attenzione del pubblico nel 1921, a seguito della pubblicazione di un libro sull’erotismo nei tempi passati scritto da Gaston Vorberg; le foto scattate in quell’occasione mostrano che la coppa era piena di sporcizia ed in un brutto stato di conservazione.
Pure Warren, sotto lo pseudonimo Arthur Lyon Raile, nel 1928 scrisse in merito al suo oggetto, inserendolo nel volume A defence of Uranian Love. Più tardi, Warren prestò la coppa per l’esposizione fatta al Martin von Wagner Museum di Würzburg.
Warren era un uomo molto colto, essendosi laureato nel 1883 all’Harvard College ed avendo ottenuto poi il Master in Lettere Classiche al New College di Oxford; comunque la sua passione accademica fu l’archeologia classica. Ad Oxford fece una duratura amicizia con l’archeologo John Marshall.
Dal 1888, Warren e Marchall trascorsero la loro vita alla Lewes House in una grande abitazione a Lewes, nell’East Sussex in Gran Bretagna. Qui, misero insieme una specie di congregazione, nella quale accolsero altri membri come loro, cioè persone ricche, amanti del lusso, dedite all’omosessualità e amanti dell’arte e dell’antichità.
I due erano entrambi esperti di archeologia e diedero l’incarico al direttore del Museum of Fine Arts di Boston di cercare in giro per il mondo opere di quel genere per conto dell’istituzione. La coppa, comunque, restò sempre il suo reperto preferito fra i tantissimi ed importanti della sua intera collezione.
L’amicizia fra i due si dimostrò inossidabile, superando lo scoglio, che poteva essere insuperabile, dovuto al matrimonio di Marschall del 1907, anche se all’inizio si dimostrò sconcertato e scioccato.
Quando nel 1928 morì, secondo i suoi desideri le ceneri di Warren furono tumulate nel cimitero di Bagni di Lucca e la coppa entrò in possesso del suo segretario, Asa Thomas, in diversi affari suo socio, che la mise all’asta della Lewes House, dove rimase invenduta, per cui finì nella sua soffitta fra oggetti in disuso e tanta polvere. E finalmente, nel 1931, si pensò di liberarla dello sporco che la copriva e facendo, questa volta, delle fotografie decenti.
Nel 1952, nel mese di novembre, lo storico dell’arte Harold W. Parsons, che fu amico di Warren, tentò di vendere la coppa a Walter Baker, un amante delle antichità newyorkese, il quale, dopo aver tentennato, l’anno successivo prese la decisione di acquistarla e di portarla negli Stati Uniti. Ma ebbe l’amara sorpresa di vederle rifiutare il passaggio alla dogana, essendo stato riconosciuto il suo contenuto come pornografia bella e buona, non certo gradita da tutti, perché avrebbe offesa la sensibilità degli americani che la pensano diversamente da Warren & C. E qui rimase bloccata in attesa dell’autorizzazione dell’ingresso da parte di Washington, ma poiché la risposta tardava a giungere, fu rispedita in Inghilterra. E nel frattempo ci fu la morte di Thomas.
Si tentò di venderla ad altri musei, ma nessuno la volle sempre per le stesse ragioni, sicché la sua vedova la vendette a John K. Hewett, che provò a cederla al dipartimento greco-romano del British Museum attraverso il suo direttore Denys Hayes, il quale, sentito il parere negativo dell’amico Lord Crawford, uno dei finanziatori del museo, decise che era un’operazione da non fare.
Nel 1966 ci fu un compratore straniero che la pagò 6.000 sterline e nel 1998, dal Metropolitan Museum of Art dov’era finita, passò nelle mani di un acquirente inglese privato, che nel 1999 la vendette al British Museum per la bella somma di un milione e ottocentomila sterline, grazie alle elargizioni delle fondazioni Heritage Lottery Fund, National art Collections Fund e The British Museum Friends; il museo non aveva mai speso tanto per l’acquisto di un singolo pezzo antico da collezione.
Ma, come era da immaginare, anche qui, e sempre per la stessa ragione non è esposta al pubblico e chi fosse interessato a vederla deve fare i passi giusti.
Ma, tornando per un momento sull’autenticità della coppa, se il British Museum l’ha acquistato per l’enorme somma di un milione e ottocentomila sterline, significa che i suoi funzionari hanno elementi che danno loro la garanzia che non si tratti di un falso del XX secolo, bensì un’opera realizzata nei primi anni del I secolo d.C., se non al 100%, almeno al 99,99%.

Autore: Mario Zaniboni – zamar22blu@libero.it

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