Purtroppo nella vita può capitare di incappare in qualche guaio dal quale un arto può risultare menomato o addirittura amputato. E l’uomo, usando la sua intelligenza e la sua manualità, anche in questo caso, ha saputo organizzarsi in modo da ridurre le pene e le difficoltà connesse con il malfunzionamento o la mancanza di una parte fondamentale del suo corpo. E come? Costruendo un qualcosa che, se pure non in toto, potesse aiutare l’infortunato a ridurre il disagio che ne derivava, vale a dire la protesi specifica per il caso in esame.
I primi tentativi per costruire protesi atte a sostituire arti o parti delle stesse, che sono venuti a mancare, risalgono attorno al 5000 a.C. nel Medio Oriente, ma risultati soddisfacenti si sono iniziati a vedere verso il 3000 a.C. in Egitto: questi, nei primi tempi, servivano semplicemente per coprire il vuoto lasciato dalla parte del corpo mancante, senza pretendere che ci fosse anche il relativo funzionamento: insomma servivano solamente per una questione estetica.
I materiali usati potevamo essere – come possono essere ora – legno, ferro, oro, argento, pelle, filo, cartapesta, utilizzati secondo la bisogna. Chiaramente, le protesi che giungono ai nostri giorni sono costituite da materiali resistenti all’usura causata dal trascorrere del tempo; però qualcuno di quelli meno resistenti è giunto fino ai giorni nostri protetto dalle sostanze utilizzate dagli imbalsamatori nel momento in cui i corpi dei defunti sono stati preparati prima di sistemarli nelle loro tombe.
Ma un bel giorno capitò un qualcosa che ha fatto rivedere la convinzione che non sempre si trattasse di oggetti con funzione esclusivamente estetica.
Da molto tempo tutti i territori sono soggetti a studi, ricerche, escavazioni che consentono di conoscere e di approfondire ciò che di buono (e purtroppo anche meno buono) i nostri antenati hanno fatto. E l’Egitto fu uno di quelli che, grazie alla loro storia, hanno maggiormente contribuito a soddisfare la curiosità, e non solo, delle nuove generazioni. E come gli altri, anche il territorio egiziano fu – e lo è tuttora – soggetto a studi e ricerche, naturalmente suffragati da profonde escavazioni controllate, allo scopo di raccogliere e valorizzare quanto di bello e prezioso gli antichi avevano posto nelle tombe in compagnia dei loro cari defunti, affinché potessero affrontare serenamente il viaggio che li avrebbe condotti al mondo dei morti.
Ebbene, che quanto si è detto più sopra abbia una validità che viene molto da lontano, lo dimostra quanto è stato trovato da parte di un gruppo di archeologi durante ricerche e scavi effettuati verso la fine del XX secolo nella necropoli egiziana di Tebe di Sheikh Abd el-Qurna sita a occidente di Luxor, nel sito chiamato “La Valle dei Nobili”: il ritrovamento di un’appendice protesica diversa dal solito in quanto è funzionale, che è stata denominata Cairo toe.
Storicamente è la prima sino ad oggi ritrovata ed era nella sua giusta posizione, appaiata alle altre dita, nel piede destro della mummia del proprietario che, in questo caso, era una donna della quale si conosce il nome: Tabaketenmut, forse figlia di un sacerdote egiziano. E ciò che ha sorpreso i ricercatori è la perfezione con la quale la protesi è stata costruita, la preziosità dei materiali messi in opera e la sua reale utilizzazione; ma in particolar modo ha colpito il fatto che, essa fu realizzata in tre falangi allacciate fra di loro con cordoni di cuoio, in modo tale da consentirne la flessibilità; questo significa che l’alluce non solo aveva la funzione di coprire il vuoto lasciato da quello mancante, ma pure di effettuare la sua funzione durante la deambulazione della persona.
Non è dato sapere quale sia stata la causa della perdita dell’alluce naturale, che poteva essere stata un’amputazione casuale oppure dovuta a una grave malattia; comunque, la protesi trovata significa che si è tentato di ridurre al minimo il danno subito dalla proprietaria, consentendole di camminare normalmente.
Considerata l’epoca in cui la protesi è stata costruita, valutata fra il 950 e il 710 a.C., vuol dire che già molto prima della nascita di Cristo, nell’Egitto il grado di conoscenze e competenze fisionomiche era ad elevato livello. Il manufatto si è dimostrato di grandissimo interesse scientifico, come si ebbe modo di leggere nell’articolo pubblicato nelle pagine della prestigiosa rivista medica The Lancet.
E veramente interessante è il responso degli studi effettuati ai raggi X da studiosi dell’Università di Basilea, giacché da questi si rileva che l’arte artigianale in cui la protesi fu realizzata è intervenuta più volte, probabilmente per fare quelle correzioni che sono state ritenute necessarie affinché l’alluce artificiale funzionasse al meglio, seguendo le indicazioni fornite dalla proprietaria.
Per il fatto che la posizione della tomba di Tabaketenmut fosse situata in una posizione più elevata nei confronti delle altre appartenenti alla stessa necropoli e che la finitura della protesi fosse estremamente accurata, dimostrante la competenza tecnico-funzionale degli artigiani dell’epoca, evidenzia il desiderio di presentarsi nel mondo dei morti nelle migliori condizioni possibili, anche in ossequio ai dettami della religione egizia.
La protesi ora è esposta all’ammirazione dei visitatori nel Museo Egizio del Cairo.
Non c’è alcun dubbio: non manca una volta che, andando a frugare e rovistare in ciò che il popolo egizio ha lasciato, venga scoperta qualcosa che aiuti a comprendere quanto questa civiltà dalle mille sorprese possa offrire ed insegnare.
Autore: Mario Zaniboni – zamar.22blu@libero.it













