Quando si scava in siti archeologici non si sa mai, a meno che non si abbia qualche indizio riportato da documenti che provengono dal passato, cosa si avrà il piacere di ritrovare; ma ciò che capitò ai tre fratelli bulgari, Pavel, Petko e Michail Deikovs, l’8 dicembre 1949, non lontano dalla cittadina di Panagjurište, nella Bulgaria nord occidentale, è stato qualcosa di veramente eccezionale; forse era stato sepolto per metterlo al sicuro quando, nel III secolo a.C., ci fu l’arrivo dei Celti.
Quei tre ragazzi si sono trovati fra le mani un vero e proprio tesoro, costituito da nove oggetti d’oro: si trattava precisamente di sette rhyta (contenitori per versare liquidi, in particolare vino), un’anfora ed una phiale (un antico recipiente rituale greco). Non è noto chi siano stati gli autori di quelle meraviglie, però, essendo stata trovata sulla phiale una misura usata nella città di Lampsaco, forse furono opera di suoi artisti traci. Il tesoro potrebbe essere stato di proprietà del re Odrisio Seute III.
Il peso totale del tesoro, datato fra il IV e il III secolo a.C., probabilmente avente la funzione di un gruppo cerimoniale al servizio di un re della Tracia, è notevole ed è d’oro a 23 carati; e, oltre tutto, gli oggetti sono stupendamente lavorati e decorati con scene riguardanti la vita, i costumi, le tradizioni, il folclore dei Traci.
Tre rhita sono molto simili fra di loro; la forma è quella di teste femminili con elmo, appartenenti a dee, quali Atena, Artemide o Era, oppure ad Amazzoni, e manico con in fondo una sfinge. Una è alta 20,5 cm, con una bocca di 12,5 e un peso di 387 grammi; la seconda, alta 21,5 cm e bocca di 13,5 cm, pesa 461 grammi; infine, la terza è alta 22,5 cm, ha l’apertura di 10,5 cm, mentre il suo peso è di 467 grammi. Gli altri quattro rhita sono descritti qui, di seguito: due, a forma di testa di cervo, sono alti 12,5 cm e pesano 689 grammi; uno, a testa di ariete, è alto 12,5 cm ed è pesante 505 grammi; il quarto, senza manico, è a corpo di capra ed è alto 14 cm, per un peso di 440 grammi.
La phiale ha un diametro di 25 cm e pesa 845 grammi. In rilievo, mostra quattro cerchi concentrici rappresentanti 24 figure ciascuno, sempre più piccole mentre ci si avvicina al centro; sono composti da teste di etiopi e quello centrale riporta la forma delle ghiande. Al centro, sopra un umbone (una placca) è segnato il valore della phiale: 200 stateri, mezza dracma ed un obolo di Lampsaco.
Infine, l’ultimo pezzo del gruppo di reperti archeologici, è l’anfora, alta 29 cm e del peso di 1.690 grammi, che raffigura una scena di battaglia; i manici sono a forma di centauri.
Fu un ritrovamento che fece epoca, sia per l’abbondanza dei pezzi di grande pregio, sia per la natura del materiale, che non è disponibile tutti i giorni.
Varrebbe la pena, avendone la possibilità, di poterli ammirare direttamente: sarebbe veramente una marcia in più per la comprensione, a parte il valore materiale, di ciò che gli orafi di allora, con i mezzi che si trovavano a disposizione, pochi e forse tecnicamente ancora rudimentali, riuscivano a produrre.
Autore: Mario Zaniboni – zamar.22blu@libero.it













