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VULCI (Vt): La scoperta della Tomba Francois.

L’ipogeo dei Saties, universalmente noto come Tomba François, venne scoperto nella primavera del 1857 dall’archeologo fiorentino Alessandro François che, in società con Noël des Vergers, letterato francese e membro dell’Instituto di Corrispondenza Archeologica, e con il principe Alessandro Torlonia, aveva dato inizio ad una campagna di ricerche nelle proprietà del Principe a Cerveteri e a Vulci.

Le indagini dovevano iniziare il 16 marzo alla Cuccumella, ma poiché tutta l’area circostante era coltivata a grano, non si poté procedere allo scavo del tumulo per cui i lavori furono indirizzati sulle altre aree ove peraltro era stato già previsto che si intervenisse.

Così il 19 marzo ebbero inizio dei saggi in diverse località fra cui una collinetta sovrastante il Prataccione. Alessandro François, prima di iniziare i lavori di scavo, era solito effettuare una serie di ricognizioni per individuare sul terreno tracce riconducibili a presenze archeologiche. Fu proprio nel corso di una di queste perlustrazioni che “…arrivai ad un poggio di travertino, alle cui falde furono ritrovati da S.A. il principe Luciano molti e ricchi sepolcri. Salito sulla sommità di esso…in non lieve lontananza scopersi una lunga fila di annose querce, la di cui verdeggiante chioma era prova evidente di vegetazione floridissima, la quale non poteva derivare che da una polpa di terra assai profonda”.

Era appena trascorsa la prima metà del mese di aprile del 1857 e la sua perseveranza stava per essere ricompensata dal ritrovamento di uno fra i monumenti più importanti e famosi della cultura etrusca: l’ipogeo della famiglia dei Saties, passato alla storia con il nome del suo scopritore. Alessandro François aveva infatti intuito che la presenza di alberi così rigogliosi su questa parte del costone, ove lo spesso strato di travertino affiorante non permette la vita se non a piccoli arbusti, e il loro perfetto allineamento erano conseguenti alla presenza di una profonda cavità dovuta all’intervento umano. Si trattava infatti del lungo corridoio di accesso all’eccezionale ipogeo.

Egli ordinò che si procedesse all’individuazione del perimetro di quella depressione; “Poche zapponate bastarono a darci la certezza del mio pensiero…e dopo due giorni di lavoro si poté desumere la lunghezza della strada in palmi 150 (m 33,60 ca), e la di lei larghezza in palmi dieci. (m 2,40 ca)”. Poiché le dimensioni del dromos della tomba erano imponenti, risultò evidente che si doveva trattare di un sepolcro di grande importanza. Durante le fasi in cui le maestranze si adoperarono per rimuovere il terreno che riempiva la strada della tomba, dalle lettere che inviava ai suoi soci si avverte con quanta trepidazione il François seguisse il procedere di questi lavori. Anche dopo la scoperta al di sopra dell’ipogeo della tomba vuota da dove le spoglie degli antenati della famiglia Saties erano state traslate per essere deposte con i dovuti onori nella cella V dell’ipogeo non appena realizzato, François mantenne il suo entusiasmo: “L’allegrezza che in quel momento invase l’anima mia fu tale, che non vi può esser penna né talento atti a descriverne l’estensione”. Quando finalmente arrivò alla “…porta larga quattro palmi (m 0,90 ca)…ed alta dodici (m 2,70 ca)…chiusa da una doppia lastra di nenfro, la quale abbattuta si poté penetrare nell’interno dell’ipogeo”. certamente grande dovette essere lo stupore davanti alle pitture che si presentarono alla sua vista, anche se egli nel suo resoconto riserva loro soltanto pochi cenni precisando “al benigno lettore che io intesi soltanto descrivere la parte storica dello scavo,…essendovi incaricato il mio chiarissimo amico e socio sig. cav. des Vergers della descrizione scientifica di questo grande ipogeo”. Egli comunque annota che le pareti “erano coperte di eccellenti pitture” che gli ricordavano “i bei tempi del Botticelli e del Perugino”. Soltanto i nomi in etrusco apposti presso le figure gli chiarirono che ci si trovava di fronte ad un’opera antica e non del Rinascimento.

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