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ROMA. Le mura difensive erette dai romani furono l’inizio della loro fine.

Il territorio di Roma era delimitato da uno straordinario sistema di barriere naturali e artificiali: muraglie, fiumi, fortezze nel deserto, torri di guardia in cima alle montagne. Al culmine della sua potenza, nel II secolo d.C., l’Impero inviava i suoi soldati a pattugliare un fronte che correva dal Mare d’Irlanda al Mar Nero e attraversava tutta l’Africa del Nord.
Il Vallo di Adriano, in Inghilterra – probabilmente il tratto meglio conosciuto del limes – è stato proclamato Patrimonio dell’umanità dall’Unesco, a cui nel 2005 sono stati aggiunti 550 chilometri di frontiera in territorio tedesco. Nel futuro si spera di includere altri tratti sparsi in 16 paesi diversi. Questo impegno internazionale aiuterà forse a trovare la risposta a una domanda meno scontata di quanto si pensi: perché i Romani costruirono queste mura? Per proteggersi dall’assedio dei barbari o solo per definire i confini fisici del loro impero?
Non è solo una questione accademica. La delimitazione e la difesa delle frontiere sono temi di grande attualità, basti pensare al dibattito sulla costruzione di un muro anti-clandestini tra Stati Uniti e Messico o alla terra di nessuno minata che divide le due Coree.
Capire l’ossessione dei Romani per i confini, e il ruolo che questa ossessione ebbe nel loro declino, può servire a capire meglio anche noi stessi.
(Leggi tutto l’articolo di Andrew Curry sul numero di settembre di National Geographic Italia)

Fonte: http://www.nationalgeographic.it, 31 ago 2012

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