Archivi

Mario Zaniboni. Elmo di Agris.

agris

Nel maggio 1981, un gruppo si speleologi entrò, per la prima volta, nella grotta Parrats, situata nel territorio di Agris in Francia, nel dipartimento di Chalente, presso La Rochefoucauld, per fare le prime osservazioni, essendo stata scoperta appena una settimana prima.
All’interno della grotta, su di un cumulo di terreno, formato sicuramente dalle manovre di escavazione di tassi per prepararsi la tana, insieme con frammenti di ceramica furono individuati dei piccoli residui metallici che, all’aspetto, sembravano denunciare un’origine antica, e che, osservati attentamente, furono individuati come appartenenti alla calotta di un elmo di origine celtica. Smossero il terreno, per trovare eventuali altri suoi pezzi, ma inutilmente.
Solamente tra il 1982 e il 1986 durante una serie di ricerche e scavi scrupolosamente programmati ed eseguiti sotto la direzione dell’archeologo José Gomez de Soto, con l’aiuto di Stéphan Verger e con l’autorizzazione dall’addetto all’archeologia regionale Monsieur Papinot, fu trovata una parte dei pezzi mancanti: questi erano una paragnatide (cioè una di quelle parti dell’elmo, fisse prima e mobili più tardi, che servivano a proteggere le guance durante le battaglie), la parte d’attacco dell’elmo e vari pezzi ornamentali; purtroppo, malgrado le attente e accurate ricerche, in seguito non furono rintracciate né la seconda paragnatide, né la parte superiore della calotta.
Per la cronaca, si ricorda che le operazioni archeologiche furono condotte dal de Soto fino al 1994 per essere riprese da lui, insieme con l’antropologo Bruno Boulestin, ricercatore associato del CNRS (Centre national de la recherche scientifique) dal 2002 al 2008.
Esaminando la successione dei livelli del suolo di terreno, si è poi appurato che, a partire dal periodo Mesolitico fino al periodo romano quella grotta era stata occupata, e solamente in seguito, fino al Medioevo, il sito fu adibito a santuario, forse dedicato agli dei degli inferi.
Quando i pezzi dell’elmo furono ritrovati, ci si rese conto che sia gli antichi utenti della grotta sia gli animali scavatori li avevano spostati da dove erano stati depositati: solamente due pezzi si trovavano dove, presumibilmente, erano stati deposti.
Gli studi approfonditi fatti hanno chiaramente dimostrato che il sito non era stato destinato a sepoltura, bensì a una specie di santuario frequentato dalla popolazione.
I pezzi dell’elmo, dopo un attento e approfondito studio, furono soggetti a una serie di restauri eseguiti nei laboratori del Römisch-Germanisches Zentralmuseum (Museo Centrale Romano-Germanico) di Mainz da László von Lehóczky.
L’elmo è stato ritenuto da parata, cioè assolutamente inadeguato al campo di battaglia, anche perché, a parte la natura preziosa del materiale messo in opera, l’accuratezza nella sua esecuzione e l’impegno artistico riscontrato sono tali da non ritenerlo sacrificabile in scontri armati. E pure il suo destino, con la deposizione dove si è trovato, forse era parte di una specie di rito che lo ha portato al danneggiamento prima della sepoltura riscontrato dagli archeologi al ritrovamento dei pezzi dispersi in giro.
Il reperto, con un aspetto artisticamente apprezzabile, è in un pezzo unico a forma di mezzo uovo, a parte il paranuca che gli è unito mediante rivetti, e in ferro martellato, rivestito di placche di bronzo; queste sono state ornate per fusione e successivamente rifinite a sbalzo, e su di loro è stato stesa la sottilissima lamina d’oro che, pressata sulle stesse, ne riproduce le decorazioni. Lo studio della composizione chimica dell’oro fu affidato alla Direzione dei Musei di Francia, che venne effettuato su alcuni frammenti dei reperti: il risultato fu che la lamina è in oro fino, quasi puro, al 99%, mentre il resto è in argento e rame.
Tutte le parti costitutive dell’elmo riportano decorazioni a viticci e a foglie, suddivise in alcune fasce orizzontali, e sono arricchite dalla presenza di piccoli inserti di corallo tagliati a cabochon, tenuti in sito da colla o da rivetti bronzei con testa decorata in argento. La paragnatide ha la superficie interrotta da fori che sono in parte ostruiti da filamenti granulati d’oro a formare motivi ornamentali.
Il reperto è l’unico trovato in quella zona, però alcuni elementi lo fanno riconoscere come un’opera realizzata con gli stilemi dell’arte italo-celtica.
Che l’elmo sia stato considerato un pezzo di grande valore artistico prodotto dagli esponenti dell’arte celtica e che abbia alimentato un grande interesse fra i suoi intenditori e amatori lo hanno dimostrato l’invito a esporlo nella grande mostra internazionale sui Celti, allestita a Venezia nelle sale del Palazzo Grassi nel 1991, e in quella denominata “Arte dei Celti” (Kunst del Kelten), tenutasi a Berna nel 2009 in quest’ultimo caso, l’elmo di Agris faceva bella mostra di sé in una fotografia che riempiva la copertina del catalogo.
Oggi è esposto nel Museo di Belle Arti di Angouleme, dopo che lo Stato lo ha acquistato dal proprietario del suolo.

Autore: Mario Zaniboni – zamar.22blu@libero.it

Segnala la tua notizia