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Mario Zaniboni. Chimera di Arezzo, stupenda opera etrusca.

arezzo

Il 15 novembre 1553, durante i lavori affrontati per la costruzione di fortificazioni di difesa della città di Arezzo al di fuori della Porta San Lorentino, fu rinvenuto, insieme a tanti oggetti in bronzo, interrati affinché si conservassero, un manufatto veramente bello e singolare. Si tratta di una eccezionale statua etrusca, pure bronzea, ritenuta prodotta a cavallo fra il V e il IV secolo a.C.
Sembra di poter asserire che la statua fosse opera di artisti aretini, che si erano riferiti alle conoscenze stilistiche etrusche in loro possesso. La statua, lunga 129 centimetri e alta 78,5, è il simbolo di Porta del Foro, uno dei quattro quartieri che partecipano alla Giostra del Saracino di Arezzo; dal 1718, è conservata, sotto gli occhi ammirati del pubblico, nel Palazzo della Crocetta dove si trova il Museo Archeologico Nazionale di Firenze.
Due copie bronzee, leggermente più grandi, sono state fuse verso la metà del XX secolo e poste ad adornare le fontane della stazione di Arezzo.
La statua rappresenta una bestia fantastica, appartenente alla mitologia antica: infatti, è la cosiddetta Chimera (in greco Khimaira, cioè capra), un mostro fantastico, nato da Echidna e Tifone, pure mostri, che, secondo la mitologia greca, furono pure i genitori di Cerbero, dell’Idra di Lerna e della Sfinge. Si racconta che questa bestia vivesse nei territori della Licia, attorno al Monte Chimera, dove terrorizzava tutti e tutto bruciava con le fiamme che uscivano dalle sue fauci. E qui si trova pure il racconto di come questo strano essere sia stato ucciso da Bellerofonte con l’aiuto del suo cavallo alato Pegaso: al giovane riuscì di conficcare la punta del suo giavellotto nella gola infuocata, dove il fuoco che ne usciva fuse il metallo dell’arma, che fu la causa della sua morte.
La Chimera ha il corpo snello e agile. Ha la testa di leone, attorniata da una ricca criniera, a significare stagione calda, con la sua forza, il suo calore, il grano maturo, in un atteggiamento più di attacco che di difesa, con gli artigli estroflessi e la minacciosa bocca spalancata. La coda è un serpente che, al contrario, indica la stagione fredda, la neve, il gelo, l’oscurità, la vecchiaia, la fine della vita; il rettile, il cui torso esce dal dorso del leone, con le sue fauci spalancate attacca un corno della capra; essa indica il passaggio da una stagione alla successiva.
Quando fu rinvenuta, la Chimera era priva della coda, ma poi questa fu trovata da Giorgio Vasari, e pertanto si comprese che non si trattava di un felino. La coda fu sistemata al suo posto solamente nel XVIII secolo, però non solo in un modo per nulla professionale, con fusioni di bronzo affrettate (lo stesso vale pure per il restauro delle zampe), ma anche in modo ritenuto errato: infatti, non si capisce perché, con il restauro, il serpente si debba avventare contro la testa della capra che non rappresenta il nemico, mentre la minaccia proviene dal giovane Bellerofonte; pertanto, la logica direbbe che il rettile dovrebbe essere rivolto, in maniera difensiva e aggressiva, contro il giovane.
Nella zampa anteriore destra della bestia è incisa la scrittura, NSCVIL o TINS’VIL, che è stata così interpretata: “Non sia da meravigliarsi quindi che al sommo dio degli Etruschi, principio cangiante di ogni cosa, venisse dedicata la multi aspetto velocissima Chimera”; si parlava del re degli dèi Tin.
Il duca Cosimo I de’ Medici, quando la vide, lo ritenne un buon segno per il suo governo, giacché si riconobbe in lei, come detentore delle forze del bene, atte a combattere e annientare i nemici ed ogni male.
Egli ne affidò il restauro nientepopodimeno che a Benvenuto Cellini che, com’è ben noto, quando si trattava di lavorare sui metalli, non aveva rivali; basti ricordare la famosa “saliera” da lui costruita e regalata al re Francesco I di Francia, durante un suo soggiorno alla corte francese. Secondo il Cellini, la Chimera era talmente nelle grazie del duca che provvedeva personalmente a tenerla pulita. E, infatti, egli non esitò a inserirla nella sua collezione di oggetti rari e costosi e sistemarla a Palazzo Vecchio, di fianco al suo trono; ma, poiché ci fu qualcuno, evidentemente uno iettatore, che gli fece intendere che la sua presenza era sinistramente maleaugurante, preferì trasferirla nella sua villa di Castello.
Come si è anticipato, oggi la Chimera è esposta al pubblico nel Museo Archeologico di Firenze, dove è uno dei pezzi maggiormente ammirato; non a caso risulta al primo posto – N. 1 – nell’inventario delle collezioni dell’istituzione.

Autore: Mario Zaniboni – zamar.22blu@libero.it

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