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Giorgia MANCINI. Ara pacis.

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L’Ara Pacis Augustae è un altare dedicato da Augusto nel 9 a.C. alla Pace (intesa come dea romana) e posto in una zona del Campo Marzio consacrata alla celebrazione delle vittorie, luogo emblematico perché posto a un miglio (1.472 m) dal pomerium il limite della città dove il console di ritorno da una spedizione militare perdeva i poteri ad essa relativi (imperium militiae) e rientrava in possesso dei propri poteri civili (imperium domi).
Il monumento è la trasposizione della struttura lignea creata nel 13 a.C. per la cerimonia inaugurale della pace di Augusto e doveva essere un omaggio alla nuova dea e al suo sommo sacerdote, il Princeps che attraverso monumenti come questo cercava la legittimazione nel sentimento popolare.
L’Ara Pacis si trova in una cella cinta da mura, venne rimontata sul Lungotevere Ripetta dove c’era la Tomba di Augusto. Prima era a Campo Marzio sotto un palazzo, per questo motivo per estrarla fu necessario congelare la terra intorno per impedire all’acqua di filtrare rovinandola. Alcuni frammenti sono andati persi e altri sono conservati in alcuni musei stranieri (ad es. al Louvre).
Bianchi-Bandinelli sostiene che l’Ara Pacis sia congelata in uno stile neoclassico di maniera. All’interno è ora conservato l’ALTARE caratterizzato da un piccolo fregio con una scena di sacrificio che riproduceva il sacrificio annuale. Questo tipo di arte è diversa da quella esterna: è quella che si definisce “arte popolare”. La teca dell’Ara Pacis, demolita recentemente, risaliva agli anni 30 ed era caratterizzata da lamelle di vetro che lasciavano penetrare l’aria e lo smog rovinando il monumento. La nuova teca (dell’architetto Meyer) edificata nel 2006 crea striature di luce che non consentono una perfetta visione dell’Ara.
saturnia_tellusSia le pareti esterne che quelle interne del monumento sono decorate con bassorilievi con festoni, decorazioni floreali, teste di animali, scene mitologiche e religiose: predominano i riferimenti alle radici storiche e alle tradizioni religiose di Roma, assieme all’esaltazione della discendenza divina della Gens Julia come mostra il rilievo della Saturnia Tellus (la più antica divinità italica)
Questo è uno dei pannelli conservati meglio infatti è quasi totalmente integro. Si tratta di una complessa allegoria di una mitica terra dell’Età dell’oro. Il rilievo raffigura una figura matronale seduta con in grembo due putti e alcune primizie. Ai lati si trovano due ninfe seminude, una seduta su un cigno in volo (simbolo dell’aria), e l’altra su un drago marino (simbolo del mare); questi due animali rappresentano la serenità della pace, cioè terra marique: la pace in terra e in mare. Anche il paesaggio ha elementi allegorici: a sinistra è fluviale, con canne e un’oinochoe dal quale fluisce l’acqua, al centro è roccioso con fiori e animali (una giovenca sdraiata e una pecora che pascola), mentre a destra è marino.
sat_tellus_illumLa scena ha più interpretazioni: la figura centrale potrebbe essere una Venere Genitrice o una personificazione dell’Italia, o della Pax:  queste interpretazioni erano fuse in un’ideologia ambivalente della Pax Romana. L’ascendenza ellenistica si rivela nella suggestione paesistica anche se manca, quell’abbandono fantastico che contraddistingue i migliori rilievi ellenistici, perché le forme ampie e armoniose si organizzano in una composizione rigorosamente ordinata. Ciò è ancora più evidente nella Processione dedicatoria nel quale l’ordine della sintesi narrativa si anima nella personalità dei volti che discende dalla ritrattistica e nel realismo del panneggio che rispecchia i costumi romani. Notevole è anche la trovata dei due piani successivi che creano un nuovo piano prospettico, e l’abbandono della norma dell’isocefalia (le teste  poste tutte allo stesso piano) mediante l’introduzione di figure di bambini. Così la tradizione etrusco – italica si affianca a quella ellenistica, e il tutto tende a dare un quadro di vita vissuta perfettamente funzionale allo scopo pedagogico e propagandistico cui l’opera era destinata. Questo contribuisce anche a creare un senso di freddezza: l’insieme appare come “messo in posa” per una cerimonia ufficiale e priva di spontaneità. Quest’atteggiamento “letterario”degli scultori dell’Ara Pacis fa sì che le parti più significative siano quelle puramente ornamentali: le fasce a festone con fiori e frutta e i girali le cui volute di acanto si svolgono armoniosamente ampie.

pax_romanaDecorazioni esterne.
Sui lati lunghi è rappresentata la processione della famiglia di Augusto e dei sacerdoti. Mentre sui lati corti sono rappresentati: Romolo e Remo, la Terra (Pax Augusta) e Antonia Minore, il piccolo Germanico, Druso e i piccoli Domizi.

I due pannelli del lato principale rappresentano il Lupercale e il Sacrificio di Enea ai Penati. Del Lupercale  restano solo pochi frammenti, ma che permettono di ricostruire la fondazione di Roma: si riconosce il dio Marte armato, padre dei gemelli Romolo e Remo e divinità protettrice dell’Urbe, e il pastore Faustolo; essi assistono, presso il Ficus ruminalis, all’allattamento dei gemelli da parte della lupa, tra i resti di piante palustri che caratterizzano lo sfondo. Sulla destra si trova il Sacrificio di Enea ai Penati: si riconosce Enea col figlio Ascanio presso un altare rustico, assistiti da due giovani camilli.
L’altare è avvolto da festoni e vi vengono sacrificati primizie e la scrofa bianca di Laurento. Il sacrificio è dedicato  ai Penati, i protettori di Lavinio, che assistono alla scena affacciandosi da un tempietto sulla roccia, posto sullo sfondo in alto a sinistra. Enea ha il capo velato e ha un mantello che gli lascia scoperto parte del busto. In mano porta lo sceptrum. Ascanio è dietro di lui (secondo alcuni potrebbe essere Acate) e ci è pervenuto solo nel frammento della mano destra appoggiata a una lancia e di una parte delle vesti, all’orientale.
Sull’altro lato si trovano i rilievi della Personificazione di Roma, quasi completamente perduto, e della Saturnia tellus. Del rilievo della Personificazione di Roma si può riconoscere solo una personificazione di Roma in abito amazzonico, seduta su una catasta d’armi.
Sui lati lunghi è raffigurata la processione per il voto dell’Ara, divisa in due parti: una ufficiale, coi sacerdoti, e l’altra con la famiglia di Augusto. L’identificazione dei personaggi non è certa: l’insieme rievocherebbe le Panatenee del fregio continuo del Partenone di Atene. La scena non và interpretata come un reale corteo perché Augusto divenne pontefice massimo nel 12 a.C., né può essere la processione del 9 a.C., perché Agrippa era già morto mentre Tiberio e Druso erano impegnati nelle campagne militari nell’Illirico e in Germania. Si tratta quindi di una raffigurazione politica ideale. Sul lato sud la scena più importante e meglio conservata è sul fianco meridionale, con i personaggi della famiglia imperiale. La successione delle figure ricalca un rigido schema legato alla successione al trono come era concepita da Augusto attorno al 10 a.C. La processione ha inizio con la raffigurazione di littori (che in base alla tradizione dovevano essere dodici), un camillo che porta la cassetta sacra del collegio pontificale (l’acerra) e il lictor proximus, che cammina all’indietro perchè secondo la tradizione non volge le spalle al magistrato e al sommo sacerdote. Seguono una serie di togati tra cui ‘imperatore Augusto col capo velato nella veste di pontefice massimo. Chiudono il corteo ufficiale i quattro flamines maiores (dialis, martialis, quirinalis e iulialis).
Il Flamine iulialis è quello con un vera e propria fisionomia perché era realmente un parente di Augusto, Sesto Appuleio. L’ultimo personaggio religioso è il flaminius lictor, col capo coperto e l’ascia sacra sulla spalla. Dopo un netto stacco, inizia la processione della famiglia imperiale, coi personaggi disposti secondo la linea dinastica. Per primo c’è Agrippa con il capo coperto, posto di profilo, seguono il piccolo Gaio Cesare (nipote e figlio adottivo di Augusto), Giulia maggiore, figlia di Augusto, o Livia, sua moglie e Tiberio, suo figlio; sconosciuto è il personaggio in secondo piano; la donna dopo di lui è Antonia minore, che tiene per mano il piccolo Germanico, il figlio avuto da Druso maggiore che si trova subito dopo. Subito dopo ci sono Antonia maggiore con i figli Gneo Domizio Enobarbo (il padre di Nerone) e Domizia Longina, seguiti dal marito Lucio Domizio Enobarbo; il personaggio che fa cenno di silenzio ai bambini secondo alcune interpretazioni potrebbe essere uno degli Appulei, forse Marco console nel 20 a.C., figlio di una sorellastra di Augusto e fratello del Flamine iulialis.
Il lato nord è quello peggio conservato e ha quasi tutte le teste dei personaggi rifatte nel XVI secolo. In alto prosegue la processione secondo l’ordo sacerdotum, con gli auguri e i quindecemviri sacris faciundis, riconoscibili dal camillo con l’acerra, seguono i septemviri epulones, anch’essi identificabili dai simboli dell’acerra del secondo camillo. Riparte poi, in parallelo con la processione del lato sud, la sfilata dei personaggi della casa imperiale, aperta da Lucio Cesare e da Giulia maggiore, segue un fanciullo vestito come un camillo, forse il figlio di Iullo Antonio. Dietro c’è Claudia Marcella maggiore col console Iullo Antonio, e la piccola Giulia minore; poi Claudia Marcella minore, il figlio e il marito Sesto Appuleio.

Decorazioni interne.
La superficie interna del monumento riporta in basso scanalature verticali simulanti una palizzata, riproduzione di quella provvisoria eretta alla constitutio dell’ara. Questo steccato veniva costruito per i templi augurali che precedevano il luogo sacro vero e proprio. In quello superiore si trovano festoni sorretti da bucrani (crani di buoi con ghirlande), con al centro ghirlande e phialai. Anche questo motivo deriva dalla costruzione provvisoria lignea del 13 a.C. tra i due ordini corre una fascia a palmette e fiori di loto.

Elementi decorativi.
I Festoni rappresentati internamente
Il motivo dello zoccolo che circonda l’Ara

Bibliografia:
Piero Adorno, L’arte italiana G. d’Anna, 1985.
R. Bianchi Bandinelli e M. Torelli, L’arte dell’antichità classica, Etruria-Roma, Utet, Torino 1976.

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