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Dott. Luca BASILE. Il ritratto d’epoca romano. Faustina Minore e l’exemplum della statua di Liternum (estratto).

L’antica colonia marittima di Liternum fu dedotta nel 194 a. C. insieme alle colonie di Volturnum, Buxentum, Salernum e Puteoli (la futura Delo minor!). La ratio di questo provvedimento da parte del Senato Romano fu dettata dalla volontà di porre dei caposaldi di controllo lungo la malsicura costa campana. A tale scopo per Liternum furono mandate 300 famiglie di veterani reduci dai duri ma vittoriosi combattimenti della seconda guerra punica. La cittadina, appena al di fuori del grandioso circuito commerciale e turistico dei Campi Flegrei (si trova infatti a sole 6 miglia da Cumae), non ebbe mai alcuna rilevanza particolare nell’economia della regione, e la sua fama principale fu legata alla figura di Scipione, il vincitore di Zama, che ivi partì in esilio volontario nella sua villa costruita appositamente (“Ingrata patria ne ossa quidam mea habebis!”). In età augustea, in linea con il programma politico ed economico di rinnovamento del primo Princeps, e poi maggiormente alla fine del I sec. d. C., in concomitanza con l’apertura della via Domitiana, Liternum visse un periodo di relativo splendore che portò un certo benessere alla popolazione della cittadina. Del I sec. a. C. è la famosa testimonianza dello scrittore Valerio Massimo che definisce Liternum “ignobilis vicus in ignobilis et deserta palus”, cui Livio  “poeticamente” aggiunse: Literni arenas stagnaque, perhorrida situ. L’odierna Lago Patria, frazione del comune di Giugliano in Campania (NA), conserva nel sottosuolo le antiche vestigia della colonia che anno dopo anno sono riscoperte dalla Soprintendenza Archeologica di Napoli e Caserta. Simbolo di quest’attività, anche se legato agli scavi compiuti durante il ventennio fascista, è l’unica colonna superstite del Capitolium, il classico tempio di tipo italico su alto podio dedicato alla sacra triade divina che ogni città romana doveva avere (si veda a tal proposito il Capitolium di Cuma). Gli scavi dell’ultimo decennio hanno fatto compiere passi da gigante per la comprensione della topografia della città antica con il rinvenimento di ville, tratti della via Domitiana, e con la scoperta di ampie zone sepolcrali a est e ovest dell’anfiteatro. Ancorché di qualità e corredo estremamente povero, le molte sepolture rinvenute alla cappuccina, con uno-due oggetti di corredo (essenzialmente lucerne monolicni e ollette acrome), sono da ritenersi di estrema importanza per avere uno spaccato della società di Literno quasi duemila anni fa. Tra i materiali rinvenuti nei vari anni di scavo e controllo del territorio di Liternum uno in particolare ha colpito la mia attenzione per l’aspetto qualitativo e per la problematica attribuzione cronologica. Parlo nella fattispecie della famosa statua ritratto femminile attribuita a Faustina Minore proveniente dagli scavi eseguiti nel Foro nel quinquennio 1932 – 1937 (Su vecchi e nuovi scavi nell’area di Liternum si veda ad esempio: P. Gargiulo 2000, pp. 115 – 117).
Annia Galeria Faustina Augusta, figlia dell’imperatore Antonino Pio e di Faustina Maggiore, sposò il giovane Marco Aurelio nel 145 d. C. Nel 161, a circa 30 anni, divenne imperatrice quando lo sposo assunse la porpora imperiale. Al 175 dovrebbe risalire la data di morte e la consacrazione da parte del Senato romano mediante i titoli di diva, pia, mater castrorum. Queste le poche notizie della sua vita. Artisticamente la nobildonna incomincia a comparire su conii monetali a partire dal 147 (quindi durante il regno del padre). In scultura è facilmente riconoscibile per la peculiarità dell’acconciatura dei capelli composta da accennate ondulazioni a forma di “S”. Tale particolarità è riscontrabile già nei primi ritratti noti databili al pari delle prime emissioni monetali al 147 (B. M. Felletti Maj 1960, pp. 661-663). Famosa e di ottima qualità la testa marmorea conservata a Roma al Museo Nazionale Romano. Nell’opera, la corta acconciatura che arriva alle orecchie è conformata a mo’ di pesante casco solcato da sinuose ondulazioni dettagliate in maniera calligrafica. Il volto pare molto giovanile, con guance piene e bocca carnosa; gli occhi, rivolti verso destra con le pupille scolpite, sono coperti da pesanti palpebre. La statua-ritratto da Liternum, segue una tipologia molto simile a quella della testa del Museo Nazionale Romano, ma rappresenta Faustina avanti negli anni. La statua, sulla quale è possibile ricavare pochissime notizie, raffigura l’imperatrice ritta stante coperta dalle caviglie al collo da un ricco panneggio. Il ginocchio destro è flesso e sporto in avanti con il sottostante piede che poggia sulla base con le sole punte delle dita; la gamba sinistra è per converso ritta, a puntellare l’equilibrio della figura ed il piede, scolpito frontalmente verso l’osservatore, poggia con tutta la palma sulla base. Sul tronco di media corporatura si dipartono le due braccia, la destra è piegata a 90 gradi sul petto con la mano semichiusa che afferra una porzione del mantello, mentre la sinistra stringe e solleva leggermente un lembo della veste riccamente scolpito da pieghe. Il capo, al quale dobbiamo con attenzione rivolgerci per inquadrare cronologicamente  l’opera, è rivolto verso sinistra. Gli occhi sono lavorati incidendo la pupilla che netta si staglia sul volto segnato dai tratti della vecchiaia; il naso, leggermente adunco, taglia in due sezioni verticali distinte l’ovale del volto. La raffigurazione dei tratti somatici si conclude nella lavorazione della bocca che viene resa cadente come se fosse senza vita. Discorso a parte è invece da fare sull’esecuzione del corpo della statua. In questo caso, come da prassi, lo scultore applicò una testa ritratto che replicava le fattezze reali ed individuali del committente su un corpo derivato dalla tradizione scultorea greca. Il fenomeno ampiamente attestato e studiato (l’Augusto di Prima Porta ne è un esempio illuminante) comporta la conoscenza da parte dell’artista dell’ampio patrimonio artistico greco che, almeno dalla metà del  II sec. a. C., era a Roma imitato ed oggetto di grande interesse. In sostanza potremmo affermare che l’arte romana, e quindi i suoi committenti ed esecutori, sono vincolati alle immagini e al loro significato precipuo universalmente conosciuto ed apprezzato dalle classi colte. Nel nostro caso pare si possa postulare una diretta ascendenza di modelli scultorei dell’inizio del III sec. a. C. collegati, almeno per l’Attica, ad un primo e sommesso nostalgico tentativo di ritorno alla grandezza del passato. In particolare, è possibile trovare un significativo termine di paragone con la statua di Musa (?) appartenente al noto gruppo conservato nei Musei Vaticani (la statua è stata visionata attraverso una riproduzione fotografica contenuta nel volume sull’arte ellenistica di J. Charbonneaux-R. Martin-F. Villard, ed. italiana del 1999). La statua presenta la figura ritta stante sulla gamba destra, mentre la sinistra si flette arcuandosi con un leggero scatto verso destra. La veste, ricoperta da un leggero e morbido mantello, ripropone in maniera quasi identica lo schema ravvisato nella statua di Literno, ed anche il movimento del braccio destro, che si piega ad angolo retto sotto la veste, che con una moltitudine di piegoline lo fascia a mo’ di guaina, ricorda in maniera diretta l’opera oggetto dello studio. Identiche osservazioni si possono produrre per il resto del corpo ed, in maniera specifica, per il movimento e la struttura del braccio sinistro. Tutte queste similitudini non sono certamente casuali, anzi, registrano la ricezione di modelli ben noti e conosciuti dell’arte greca da parte dell’artista che produsse la nostra statua. Questa serie di influssi, provenienti dall’arte greca e in seguito dalla casa imperiale, produssero il ben noto fenomeno di imitatio da parte dei ceti più ambienti dell’impero. E’ noto universalmente (P. Zanker sulla questione ha fatto scuola, si legga ad esempio un suo contributo del 1988, pp. 1-13, presente nei Papers given in Memory of Jocelyn Toynbee, e un altro del 1992, pp. 9-24, sull’annosa problematica delle copie romane) che la nobiltà romana della capitale e delle province, in una sorta di spirito emulativo, modaiolo oserei definire, tendeva ad assumere pose ed atteggiamenti riscontrati nella ritrattistica ufficiale della famiglia imperiale. A tal proposito, in ambito della “borghesia” romana della capitale e delle città dell’impero, si nota un chiaro appiattimento stilistico che conduce ad una certa uniformità soprattutto per quanto riguarda l’acconciatura delle chiome. Si tratta a tutti gli effetti di una moda emulativa che, con il passare degli anni, perde il motivo principale per la quale era cominciata, divenendo così vuota ripetizione di un archetipo di grande appeal. Il tipo di acconciatura di Faustina veniva ad esempio già adoperato in età flavia e traianea. Credo che a tal proposito sia utile creare un interessante parallelo con le sculture presenti sul monumento sepolcrale della famiglia degli Haterii (oggi conservato ai Musei Vaticani). Se si osserva il busto femminile collocato in una delle edicolette del monumento funerario degli Haterii (il cui sepolcro si trova al terzo miglio della via Labicana), si noterà una sorprendente somiglianza con  la statua della nostra disamina. A tal proposito pare illuminante riportare parte della descrizione di Mario Torelli del pregevole pezzo: “I tratti del volto sono eseguiti con grande finezza, ma sempre nel solco della tradizione, i passaggi, molto delicati e attenti, riprendono caratteri del ritratto aulico flavio tuttavia distaccandosene, si osservi soprattutto l’esecuzione della capigliatura pettinata secondo la moda delle classi medie dove si pone una cura dei dettagli visibile nel trattamento di superficie delle striature orizzontali dei capelli” (R. B. Bandinelli-M. Torelli 1975). In particolare, si noterà come le chiome delle due dame siano modellate pressoché allo stesso modo. Si tratta di un tipo di acconciatura denotato da capelli corti alla nuca che assumono una tipica conformazione ad “onda” attraversata orizzontalmente da piccoli solchetti poco profondi e paralleli fra di loro. L’impressione per l’osservatore è di vedere quasi una sorta di parrucca minuziosamente dettagliata che aderisce alla perfezione alla calotta cranica, lasciando scoperto solo il collo e parte delle orecchie. Le sculture degli Haterii, sulla scorta dei monumenti raffigurati su uno dei rilievi del monumento sepolcrale, si datano comunemente nei primi anni di regno di Traiano quindi intorno al 100 d. C.. Quest’ultimo dato, e l’evidente anzianità della persona raffigurata nella statua di Liternum, pongono l’interrogativo se quest’ultima debba realmente essere interpretata come ritratto di Faustina Minore. Personalmente ritengo stimolante ma improbabile che, in accordo al ben noto fenomeno delle acconciature d’epoca, la statua di Liternum raffiguri piuttosto una notabile (si veda ad esempio la figura di Eumachia a Pompei) della cittadina, la quale volle farsi acconciare secondo la moda imperiale della prima metà II sec. d. C. proprio come nel noto exemplum traianeo proveniente dal sepolcro degli Haterii.


Autore: Dott. Luca Basile

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