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ROMA. Il primo miglio della Via Appia, un luogo strettamente connesso con le origini mitiche dell’Urbe.

Chi oggi percorre la Via Appia Antica – una delle meraviglie assolute di Roma – uscendo dalla città, dalla Porta San Sebastiano, oltrepassata la copia della colonna miliaria – quella del primo miglio – murata dopo poche decine a destra (in realtà si tratta di una copia, l’originale è al Campidoglio) si accorgerà anche che, poco più avanti, all’altezza della chiesetta del Domine Quo Vadis, la via svolta repentinamente verso sinistra, per proseguire poi la sua corsa, da lì in poi, in un rettilineo assoluto per molti e molti chilometri.
Questo particolare ha da sempre attratto la curiosità di archeologi e studiosi di Roma Antica. È infatti noto che gli ingegneri romani, per quanto possibile, realizzavano su linee rette i tracciati delle loro strade. Perché dunque una eccezione così vistosa, e proprio al primo miglio della strada più importante di Roma? Un libro pubblicato di recente da Rachele Dubbini, Il paesaggio della Via Appia ai confini dell’Urbs. La valle dell’Almone in età antica (Edipuglia, Bari, 2016) aiuta a svelare l’arcano, chiarendo come questo luogo famoso nel mondo sia strettamente legato alle origini mitiche dell’Urbe.
In realtà il conteggio dei chilometri era anticamente diverso, a seconda se il calcolo fosse effettuato a partire dalle Mura Serviane, fatte costruire da Tarquinio Prisco nel VI secolo a.C. oppure a partire da quelle Aureliane, edificata otto secoli più tardi dall’imperatore Aureliano tra il 270 e il 275 d.C. Ecco perché sulla Via Appia il primo miglio viene contrassegnato alternativamente dalla pietra miliare subito dopo Porta San Sebastiano e al contempo dal Santuario del Domine Quo vadis, che si trova circa ottocento metri dopo, all’altezza della nostra curva a sinistra.
E questo spiega l’arcano, perché era tradizione di Roma Antica che al primo miglio delle vie consolari si trovasse sempre un santuario o un luogo di culto, che avevano anche la funzione di assicurare voti propizi al viaggio che si andava ad intraprendere.
Ben prima del Santuario del Domine Quo vadis, legato all’apparizione di Gesù Cristo a San Pietro, subito prima del martirio di quest’ultimo, raccontati negli apocrifi Atti di Pietro, proprio in quel luogo esisteva una zona paludosa, visto che la Via Appia superava in quel tratto la valle del ruscello Almone. In questa palude, secondo la leggenda, era avvenuto nientemeno che l’incontro tra Rea Silvia e il dio Marte, dal quale furono generati Romolo e Remo, i fondatori della città.
A causa di questa persistente leggenda, in questo luogo fu eretto un grande santuario dedicato a Marte, il dio della guerra, presso il quale si svolsero, per molti secoli, riti propiziatori per i giovani che dovevano recarsi in battaglia, danze sacre e ginniche; qui ci si fermava a ringraziare il dio dopo essere tornati dalle lunghe campagne militari; sempre qui il simulacro della dea Cibele fece il suo ingresso a Roma. Resti del tempio antichissimo del dio Marte sono stati trovati in scavi archeologici degli anni ’70 a poca distanza dal bivio con la Via Ardeatina, nei pressi della chiesa attuale.
Quando alle antiche mitologie si sovrappose anche la devozione cristiana nell’episodio del Quo Vadis, fu ancora più legittimato il fatto che in quel punto la strada deviasse leggermente verso la zona sacra. Non bisogna dimenticare infatti che poco più avanti si trova un altro importante edificio religioso, il Santuario del Dio Redicolo, in realtà la Tomba della nobildonna romana Annia Regilla, morta nel II secolo d.C. e divenuto nei secoli XVII e XVIII – interpretando erroneamente Plinio – un tempio che accoglieva i pellegrini e i romani che facevano ritorno in città dopo lungo tempo.

Autore: Fabrizio Falconi

Fonte: www.capitolivm.it, 3 agosto 2017

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