Archivi

NEMI (Roma). Museo delle navi romane.

nave-a-secco-1
Posto sulla riva del lago, costruito negli anni ’30 per proteggere i preziosi scafi appena estratti dalle acque, è una costruzione interessante già di suo, perché offre un rarissimo esempio di struttura concepita appositamente in funzione del contenuto e condizionata da quest’ultimo nelle soluzioni architettoniche: in effetti il museo delle navi di Nemi è un doppio hangar di calcestruzzo delle dimensioni esatte delle due navi, che erano lunghe circa settanta metri. Il progetto fu realizzato gratuitamente dall’architetto L. Morpurgo.
Il museo venne costruito tra il 1933 e il 1939 sulla riva settentrionale del lago per ospitare le due gigantesche navi imperiali appartenue all’imperatore Caligola (37-41 d.C.) ricuperate nelle acque del bacino tra il 1929 e il 1931.
Ingresso_museoE’ stato quindi il primo museo in Italia e forse in Europa ad essere costruito in funzione del contenuto: due scafi dalle misure rispettivamente di m. 71,30 x 20 e m. 73 x 24, purtroppo distrutte insieme all’edificio a causa di un incendio nel 1944.
Il Museo fu inaugurato nel gennaio del 1936. Dopo il malaugurato incendio, rimase chiuso a lungo. Recentemente è stato ristrutturato dalla soprintendenza archeologica del Lazio, ed ospita i modelli in scala delle due navi, le ancore, le sculture, e tutto ciò che, non essendo di legno o trovandosi a Roma, si salvò dalla furia delle fiamme.
Riaperto nel 1953, il museo venne nuovamente chiuso nel 1962 e definitivamente inaugurato nel 1988. Nel nuovo allestimento tuttora in via di completamento, l’ala sinistra è dedicata alle navi, di cui sono esposti alcuni materiali salvatisi dall’incendio, come la costruzione del tetto con tegole di bronzo, due ancore, il rivestimento della ruota di prua, alcune attrezzature di bordo originali o ricostruite (una noria, una pompa a stantuffo, un bozzello, una piattaforma su cuscinetti a sfera).
interno_vave_1Sono inoltre visibili due modelli delle navi in scala 1:5 e la ricostruzione in scala al vero dell’aposticcio di poppa della prima nave, su cui sono state posizionate le copie bronzee delle cassette con protomi ferine.
L’ala destra è dedicata al territorio dei Colli Albani, vi è esposto un grosso blocco travertinoso proveniente dall’area tiburtina contenente n fossile di leptobos. Una sezione pre e protostorica espone materiali litici, reperti della media età del bronzo (XVI sec. a.C.) e dell’età del ferro (XI-VIII sec a. C.), tra cui alcuni oggetti ceramici e macine in pietra provenienti dal villaggio palafitticolo “delle macine” rinvenuto sulle rive del Lago di interno_nave_2Castel Gandolfo, corredi da necropoli di Ciampino, Colonna, Rocca di Papa, Lariano.
Una sezione è dedicata al popolamento del territorio albano in età repubblicana e imperiale, con particolare riguardo ai luoghi di culto. Vi sono esposti materiali votivi provenienti da Velletri (S. Clemente) e dai recenti scavi al Santuario di Diana a Nemi, tra cui i materiali provenienti dalla Collezione del Castello Ruspoli di Nemi, recentemente acquistati dallo Stato italiano.
str_romanaUn tratto di basolato romano inglobato nel museo (il clivus Virbii che da Ariccia conduceva al Santuario di Diana) separa quest’area da quella riservata alle mostre e alle esposizioni temporanee, che attualmente ospita materiali ceramici provenienti dalle stipi votive di Satricum, Campoverde (Latina) e Ardea.
All’esterno del museo è visibile il profilo ligneo della prima nave, che fa parte di un progetto di ricostruzione dello scafo in corso di realizzazione.

Storia delle navi

Il primo a raccogliere le voci sulle Navi di Nemi fu, attorno alla metà del XV secolo, il Cardinale Prospero Colonna, il quale affidò a Leon Battista Alberti il compito del recupero. Il tentativo fu effettuato con l’ausilio di una grande zattera e l’intervento di nuotatori genovesi. Furono recuperate alcune fistole di piombo che permisero una datazione più precisa dell’epoca di costruzione delle navi. Quasi un secolo dopo, il 15 luglio 1535, il bolognese Francesco De Marchi fece un tentativo avvalendosi di una specie di campana.
Nel 1827, a opera del Cavalier Annesio Fusconi, si riprese l’esplorazione del fondo del lago con una campana di Halley. Vennero recuperati pezzi di pavimento in porfido e serpentino, smalti, mosaici, frammenti di colonne metalliche, chiodi, laterizi e tubi di terracotta. Il 3 ottobre 1895 un provetto palombaro individuò una delle navi e recuperò una bellissima testa di leone in bronzo. A condurre l’operazione è l’antiquario Eliseo Borghi autorizzato dai Principi Orsini. Su indicazione dei pescatori, il 18 novembre, venne localizzata anche la seconda nave che fornisce altro abbondante materiale. La presenza dei reperti testimonia come il lago fosse sede di riti sacri e battaglie navali simulate.
Il recupero delle navi vere e proprie, avvenuto per volere del governo fascista, fu un’opera mastodontica che richiese, in un tempo di quasi 5 anni (Ottobre 1928 – Ottobre 1932), l’abbassamento del livello del lago per mezzo di idrovore. Dopo quell’intervento, anche dopo il successivo riempimento del lago, il livello dell’acqua non tornò mai più ad essere quello originario. Per fare defluire le acque aspirate dalle idrovore fu utilizzato un preesistente emissario artificiale, risalente all’epoca romana, restaurato proprio in occasione del recupero delle navi.

L’incendio che distrusse le navi
Un incendio scoppiato la notte dal 31 maggio e durato fino al 1 giugno del 1944 distrusse le due navi e gran parte dei reperti che erano custoditi con esse. L’incendio, di origine quasi certamente dolosa, fu opera, si disse subito, dei tedeschi che avevano piazzato una batteria di cannoni a 150 metri circa dal museo che conteneva le navi. Venne istituita una commissione d’inchiesta composta da autorevoli esperti italiani, ed esteri, che giunse alla conclusione, di seguito riportata, tratta da un brano del libro indicato in calce: “con ogni verisimiglianza l’incendio che distrusse le due navi fu causato da un atto di volontà da parte dei soldati germanici che si trovavano nel Museo la sera dei 31 maggio 1944…” (Giuseppina Ghini, Museo delle Navi Romane- Santuario di Diana – Nemi, Ministero per i beni culturali e ambientali, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 1992, pp.3, 5.).
Un’altra teoria è che l’incendio sia stato causato non dai tedeschi ma da persone senza scrupoli al fine di recuperarne il bronzo fuso a causa dell’incendio e poi rivenderlo visto l’alto valore – in tempo di guerra – del metallo.

La statua di Caligola

caligola_statua_ritrovata_2--400x300Si mostra al pubblico in tutta la sua monumentalità: una statua alta 2,5 metri , la prima ritrovata dell’imperatore Caligola in trono. Trafugata da tombaroli durante uno scavo clandestino nell’agro del comune di Nemi (RM), è stata recuperata dalla Guardia di Finanza, in località Ostia Antica, lo scorso mese di gennaio durante un controllo stradale. La scultura, in pregiatissimo marmo greco, è frammentata e stava per essere stivata in un container e portata all’estero.
Giuseppina Ghini, funzionario della soprintendenza per i Beni archeologici del Lazio, ha spiegato, nel corso della presentazione della statua alla stampa, avvenuta oggi al ministero dei Beni culturali, che «si tratta di un’opera monumentale con un particolare molto interessante: il sandalo del piede sinistro, che è una tipica “caliga”. E le “calighe” erano le calzature dei ricognitori dell’esercito che l’imperatore utilizzava, tanto da valergli il soprannome con il quale è poi passato alla storia».
Ghini ha quindi aggiunto che il recupero della statua è stato molto importante anche perché ha consentito alla Guardia di Finanza di individuare il luogo del trafugamento, dove è stato avviato, nel mese di aprile, uno scavo scientifico d’urgenza. Operazione che ha portato alla scoperta di una vera e propria struttura, risalente al I secolo d.C., che si trova sul lago di Nemi, precisamente sul lato opposto a quello della Villa di Caligola.
«All’inizio pensavamo che si trattasse di un mausoleo», ha rivelato la soprintendente Marina Sapelli Ragni, «poi, però, la presenza di vasche e altre strutture ci ha indotti a ipotizzare che fosse un ninfeo facente parte della residenza dell’imperatore». Sapelli Ragni ha anche sottolineato che la testa della statua è stata ritrovata nel corso dello scavo. In merito al «contesto archeologico» in cui si trovava la scultura, Sapelli Ragni ha aggiunto: «stiamo capendo molte cose grazie allo scavo, finora finanziato da privati. Speriamo di poter continuare e per questo chiederemo 200mila euro al ministero».
Il restauro della statua è già iniziato con una prima ripulitura e quando sarà finito l’opera verrà inviata al Museo della Navi Romane di Nemi, dove il pubblico potrà ammirarla. Massimo Rossi, comandante del gruppo Tutela Patrimonio Archeologico delle Fiamme Gialle, ha spiegato che i due responsabili dello scavo clandestino sono stati deferiti all’autorità giudiziaria per violazione degli articoli 175 (violazione in materia di ricerche archeologiche) e 176 (impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato) del cosiddetto Codice Urbani.

Info:
Via di Diana, 13, Nemi – tel. 069398040
E’ visitabile a pagamento tutti i gironi tranne il pomeriggio della domenica. L’orario è 9,00-18,30; la domenica 9,00-13,00.
Per visite guidate per comitive, contattare il G.A.L. (Gruppo Archeologico Latino), Tel. 069419665.

Segnala la tua notizia