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Mario Zaniboni. Carro etrusco. Stupenda opera dell’uomo.

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Monteleone di Spoleto è un piccolo paese abitato fin dall’antichità, come lo dimostrano le necropoli proto villanoviane, villanoviane ed etrusche, con età comprese fra il XII e il I secolo a.C., scoperte nei suoi dintorni. Faceva parte dell’Etruria, un territorio molto vasto che occupava l’Italia centrale, si estendeva verso nord fino all’Emilia Romagna attuale, scendeva verso sud lungo la costa tirrenica e comprendeva pure la Corsica.
La civiltà romana ebbe molto da imparare da quella etrusca, soprattutto a seguito della guerra che scoppiò fra le due, durante la quale la città di Veio fu conquistata nel 396 a.C., e che finì nel 27 a.C., quando Ottaviano divenne Augusto; il contatto fra le due civiltà diede modo a una di loro e uniformarsi.
Si racconta che nel 1902 il contadino Isidoro Vannozzi fosse all’opera con il figlio Giuseppe per la costruzione della loro casa in località Colle del Capitano, a qualche chilometro da Monteleone di Spoleto, in provincia di Perugia, e durante gli scavi necessari per le fondazioni o altro, incontrò una tomba a tumulo, contenente due scheletri umani (un uomo e una donna), bicchieri, due coppe attiche a figure nere (kylix), vasellame di bronzo, tazze e altri oggetti; ma, ciò che fece sgranare gli occhi a padre e figlio, fu uno stupendo carro, carretto o biga che dir si voglia (forse “carro da parata” sarebbe la denominazione più azzeccata), costruito in legno di noce, ricoperto da lamine di bronzo dorato, parti in metallo ferroso e, decorazioni con la tecnica dello sbalzo, arricchite da intarsi in avorio. Nel mondo sono stati trovati circa 300 carri di quel genere in varie zone dell’Italia centrale, ma a parte che di questi solamente sei sono quasi al completo, quello di Monteleone è da ritenere il migliore sia come conservazione, sia come interezza.
Le versioni dei fatti diverse; fra queste è pure la seguente. Il Vannozzi, al quale serviva denaro per completare la casa o per acquistare mucche, dopo aver tenuto nascosto il reperto, per tema che gli potesse essere confiscato, lo vendette. Successivamente, il carro fu acquistato da John Pierpont Morgan a Roma, ma quando questi decise di portarselo negli Stati Uniti, il Parlamento Italiano glielo proibì, perché le leggi del Regno d’Italia vietavano l’esportazione di beni artistici e storici. Così, abusivamente la biga fu trasportata a Parigi, nascosta entro un carro che trasportava grano, e depositata al sicuro nei sotterranei della banca Credit Lyonnais, da dove, più tardi partì per il Metropolitan Museum di New York, che lo acquistò per 250.000 lire. Essendo stato trovato a pezzi, per prima cosa il museo lo fece ricomporre ad opera di Luigi Palma da Cesnola (il direttore) e Charles Billiard e poi, soddisfatto dell’acquisto e del risultato ottenuto, lo pubblicizzò per mezzo della stampa, che in poco tempo lo fece conoscere in tutto il mondo.
Naturalmente, questa faccenda era mal digerita da Monteleone di Fiesole, dove, pur non avendo le prove, si era dell’avviso che il carro fosse partito da là. E il dubbio divenne certezza quando, nel 1907, durante una serie di scavi eseguiti laggiù, furono raccolti frammenti, finiti al Museo Archeologico di Firenze, che dimostravano chiaramente che erano appartenuti al carro di cui trattasi. E, a questo punto, fu spontanea la richiesta da parte delle autorità cittadine di Monteleone di Spoleto di restituzione del reperto, esportato negli USA illegalmente, ma pare che, sino a oggi, la risposta sia stata semplicemente “picche”.
Le dimensioni della biga, costruita, secondo Furtwängler, fra il 560 e il 550 a.C., sono di 209 centimetri di lunghezza e di 130,9 di altezza. La una struttura non è tanto robusta, per cui si ritiene che fosse utilizzata solamente durante cerimonie oppure per partecipare a sfilate o, magari, costruita affinché accompagnasse il suo ricco proprietario nel viaggio nell’aldilà al momento del decesso. Che appartenesse a una persona ricca lo dimostrano la bellezza e la ricchezza dell’oggetto.
Sopra il pianale sono tre pannelli con il bordo arrotondato (uno anteriore, alto 84,5 centimetri, e due laterali, alti 47), la cui decorazione si ricollega ad temi della mitologia greca; infatti, vi sono istoriate le vicende di un guerriero antico, che potrebbe essere l’eroe greco Achille, secondo il parere di diversi studiosi. Così, sarebbe lui l’uomo raffigurato con barba, capelli lunghi e ricciuti e indossante un vestito lungo, durante la sua elevazione agli onori divini, pur essendo un mortale, insieme con la dea Teti, sua madre, che indossa un lungo chitone e un mantello. Sotto il volo di due uccelli, Teti gli offre un elmo corinzio, con la testa di un ariete, sotto il quale è lo scudo, dovuto al lavoro di Efesto, che separa i due personaggi; su questo sono rappresentate due teste, di Medusa sopra e di un leone nella parte inferiore. Al di sotto, un cerbiatto morto, forse per un sacrificio. Su un pannello laterale, è il combattimento fra Achille e Memnone, sopra il corpo morto e senza armatura dell’amico di Achille Antiloco: il colpo di lancia di Memnone è deviato da un uccello e Achille ne approfitta per colpire l’avversario al cuore. Sull’altro pannello è il corpo morto di Achille che, trainato dai due cavalli alati Balio e Xanto, sale come semidio verso l'”Isola dei Beati”, mentre sotto le loro zampe una figura femminile, forse la figlia di Priamo Polissena, tenta di evitare di essere calpestata. Al di sotto, un fregio con animali che lottano, figure che corrono e grifoni, copre i tre lati anteriori. Due giovani nudi (kuros) con i capelli lunghi sono al contatto fra i tre pannelli. Il timone del carro, lungo un paio di metri, termina con la testa di un uccello e presenta un protome di cinghiale. L’attacco per i cavalli, il giogo, ha due anse nastriformi terminanti con teste di serpenti, mentre il mozzo delle ruote finisce con teste di leone. Le ruote, del diametro di 67 centimetri, in legno di noce e ricoperte con lamine di bronzo, hanno nove raggi, e qualcuno ha fatto notare che di una novità si tratti, perché si è riscontrato che le ruote dei carri greci avevano quattro raggi, gli egiziani sei, gli assiri e i persiani otto e i celtici ancora di più, fino a dodici.
Nel 2002, ci si rese conto che nella ristrutturazione erano stati commessi alcuni errori, per cui si è proceduto allo smontaggio e alla ricostruzione eliminandoli.
In merito al destino della biga, si sta rimuginando a come muoversi.
Come ricordato più sopra, le autorità comunali di Monteleone di Spoleto hanno chiesto la restituzione del carro al Metropolitan Museum, senza aver soddisfazione, ma a questo punto sembra che sia il Ministero dei Beni Cuilturali italiano intenzionato ad agire direttamente, anche perché non sembra che esso sia innocente come un bambino in fasce e che l’acquisto della biga non sia stato il solo fatto oltre il limite della legalità. Infatti, studiosi, a seguito di quanto contenuto in certe lettere hanno appurato che le autorità del museo erano al corrente che quello che stavano acquistando non era nei limiti della legge. Seguiremo con attenzione il prosieguo di quanto sta avvenendo.
Tanto per gettare benzina sul fuoco, non è mancato chi abbia ritenuto il carro un falso costruito fra il 1890 e il 1902; si tratta dello storico di arte antica Jerome Eisenberg, allievo di Otto Brendel, che ha espresso tutti i suoi dubbi sulla rivista britannica “minerva”.
Quindi, restano in ballo queste questioni, mentre il carro di parata continua a fare bella mostra di sé, attirando di orde di turisti e di ammiratori a New York e non a Monteleone di Spoleto come sembrerebbe giusto.

Autore:
Mario Zaniboni – zamar.22blu@libero.it

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