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GENOVA. Anfore e resti di navi romane nella vasca degli squali dell’Acquario.

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Resti di una nave romana e anfore antiche custodite nella vasca degli squali dell’Acquario di Genova. La struttura espositiva si arricchisce di nuovi reperti archeologici diventando il primo “museo sommerso” visitabile senza bisogno di immergersi.
Tra grandi esemplari di squalo e di razze, i visitatori potranno ora ammirare i resti dell’albero di maestra di una nave del II secolo d.C. e otto anfore ritrovate sui fondali del porto e che testimoniano i commerci che sin dai tempi più antichi interessavano le coste liguri.
Un’idea nata quando, durante i lavori per la costruzione di parte dell’Acquario, vennero ritrovati preziosi reperti storici sepolti nel fondale dell’area portuale. La necessità di conservare il materiale immerso nell’acqua di mare e la possibilità di esporli al pubblico in una forma particolare, ha spinto ad un accordo tra Soprintendenza e Fondazione Acquario.
I fondali portuali sono infatti una fonte storica eccezionale: in porto si ripulivano le stive delle navi al termine dei lunghi viaggi, si gettavano rifiuti urbani di ogni sorta, si perdevano strumenti ed oggetti d’uso quotidiano. I ritrovamenti, uniti a quelli fatti dalle forze dell’ordine che sventano traffici illeciti di oggetti d’arte e reperti, costituiscono il prezioso materiale che ora è custodito sul fondale della vasca degli squali e la trasforma in una esposizione museale davvero unica.
Stringenti esigenze di conservazione e l’opportunità di valorizzare beni archeologici altrimenti nascosti sono ben coniugate di questa particolare operazione di allestimento che coniuga l’archeologia subacquea e la biologia marina.
Per inserire i reperti archeologici nella vasca degli squali è stato necessario prevedere una complessa serie di indagini e studi. Una fase di analisi preliminare è stata condotta dai tecnici di Arpal (Regione Liguria) per verificare che il legno non rilasciasse sostanze nocive per gli animali, con prelievi settimanali dell’acqua per monitorare l’eventuale presenza di metalli pesanti. Solo dopo due mesi di campionature ripetute si è potuto procedere all’inserimento in vasca.
Per determinare le essenze lignee e la datazione dell’albero, infine, sono state condotte particolari indagini specialistiche da parte dei laboratori del Museo Archeologico del Finale e dell’ISCUM di Genova, enti che rappresentano due realtà liguri di eccellenza nel campo della ricerca scientifica applicata ai beni culturali.
Le parti in legno, conservate in due frammenti accostati, facevano parte della sommità di un albero di maestra che in origine doveva raggiungere 13 m di lunghezza complessiva e 60 cm di diametro alla base.
Su due facce opposte dell’albero sono visibili file parallele d’incastri rettangolari al cui interno, tramite linguette esagonali (tenoni) fissate con perni (caviglie), si inserivano i gradini triangolari di due scale simmetriche, realizzate per consentire ai marinai di salire in testa d‘albero.
L’analisi al microscopio ha stabilito che per l’albero venne usata una quercia decidua, mentre per le caviglie e i tenoni s’impiegò il leccio, un legno durissimo adatto a resistere a forti sollecitazioni.
La datazione al radiocarbonio della parte più esterna del tronco ha restituito l’età di 1955+45 anni fa, che corrisponde all’intervallo compreso tra 54 a.C. e 137 d.C., mentre una seconda datazione dendrocronologica (conteggio e misura delle cerchie di accrescimento dell’albero) ha dimostrato che venne impiegato un albero di circa 120 anni di vita, nato prima del 52 d.C. e abbattuto dopo il 147 d.C.
Le anfore sono i principali contenitori da trasporto del mondo antico: per questo gli archeologi subacquei le studiano per indagare la geografia economica e le rotte commerciali.
Per la vasca sono state scelte tipologie ampiamente attestate nel porto di Genova e più in generale sulle coste e nei relitti liguri. La più antica è una Greco-Italica del III sec. a.C., la prima anfora vinaria prodotta dai Romani; segue una Dressel 1 del I sec. a.C. (n. 1), l’anfora per eccellenza del vino tirrenico, esportata in milioni di esemplari soprattutto nelle Gallie e sostituita, verso la fine del secolo, dalla Dressel 2/4, più leggera della precedente e prodotta in tutto il bacino mediterraneo, a cui si associano i contenitori dei vini siciliani e gallici. Le anfore olearie sono rappresentate invece da un esemplare africano del II secolo a.C. e da una Lamboglia 2 , tradizionalmente attribuita alla costa adriatica, mentre per le salse di pesce (garum) abbiamo un’esemplare spagnolo di Dressel 8 .

Autore: Andrea Carotenuto

Fonte: www.ilsecoloxix.it, 8 ott 2020

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