Archivi

FERENTO (Vt). La città romana con il suo teatro.

ferento

Ferento e’ collocata in un’area dell’Alto Lazio compresa tra Viterbo e Bagnoregio, tra il lago di Bolsena e il fiume Tevere.
Dal punto di vista geologico l’area e’ caratterizzata dai depositi dei tre maggiori complessi vulcanici altolaziali: il Vulsino, il Vicano e il Cimino.
Il paesaggio presenta forme aspre e accidentate, risultato dell’attività’ di deposito dei vulcani e dell’azione incisiva e erosiva dei corsi d’acqua sugli strati sedimentari e sui tufi più facilmente disgregabili. Le pietre da costruzione presenti in quest’area e più ampiamente utilizzate nell’antichità’ e nel medioevo sono quelle di origine vulcanica, in particolare le varie qualità di peperino e di tufo.
Il reticolo idrico e’ costituito da affluenti e subaffluenti di destra del Tevere; i corsi d’acqua (“fossi”) sono di modesta portata, sia per la porosità delle rocce vulcaniche sia per la limitata estensione dei bacini imbriferi.
Il sito archeologico e’ ubicato 8 km circa a nord di Viterbo, nel territorio di questo comune, su un’ampia piattaforma tufacea detta Pianicara (IGM, F. 137 III NE, Viterbo; CTR, n. 345100, Rovine di Ferento; Catasto del Comune di Viterbo, F. 69, part. 42,48 e F. 81, part. 9,10,36), compresa tra il Fosso Guzzarella a nord e il Fosso dell’Acquarossa a sud, corsi d’acqua che confluiscono nel Vezza propriamente detto.
Il pianoro (quote tra m 295 e 305 slm) presenta una forma approssimativamente triangolare, più larga verso est, che si restringe gradatamente verso ovest in una propaggine stretta e allungata. In questo punto il pianoro e’ interrotto da un taglio artificiale che segna il limite dell’abitato quindi si riapre nuovamente verso occidente. Sui versanti nord e sud l’erosione dei corsi d’acqua sugli strati sedimentari di base ha creato scarpate scoscese e, in alcuni punti, verticali. Il dislivello con la valle dell’Acquarossa e’ mediamente di 80 m circa, quello con la Guzzarella varia da 50 a 70 m circa.
ferentoL’insediamento umano sulla collina di Pianicara ha una lunga vita, articolata in diverse fasi, sicuramente tra II a.C. e XII d.C. La città romana di Ferento è erede del centro etrusco di colle S.Francesco/Acquarossa, abbandonato intorno al 500 a.C. Dopo la guerra sociale, Ferento diviene municipio con un’area urbana che, al momento della sua massima espansione, occupò l’intero pianoro (30 ettari). L’esame delle fotografie aeree ha permesso di riconoscere un impianto regolare con assetto per strigas, forse del III secolo a.C., impostato su un asse principale estovest (decumano), costituito dal tratto urbano della via Ferentiensis. Ferento conosce un momento di
particolare prosperità nella prima età giulioclaudia, con la costruzione del teatro, di un grande impianto termale e la ristrutturazione del complesso forense.
La continuità dell’abitato in età tardoantica è testimoniata dall’esistenza della diocesi, documentata dal 487 al 649. Ma le vicende del conflitto grecogotico e la successiva occupazione longobarda, avvenuta poco dopo il 605, determinano per Ferento l’inizio di un periodo di crisi economica e demografica. La sua evidenza archeologica si osserva nella disgregazione del tessuto urbano e nel restringimento dell’area abitata, segnato dalla costruzione di un muro di difesa che taglia il pianoro all’altezza del teatro e dalla mancanza di tracce di vita stabile nell’area ad est del muro. Privata anche della sede vescovile, trasferita già dai primi anni del VII secolo, a Bomarzo, Ferento si riduce al ruolo di postazione fortificata del gastaldato di Tuscania, vicino al confine longobardobizantino.
ferentoQuesto ruolo marginale di Ferento fu in parte superato dal suo inserimento nel IX secolo nei territori della Chiesa; e la città, ricordata come civitas, conserva una certa rilevanza nell’amministrazione del territorio.
Nulla si conosce sull’assetto politico istituzionale di Ferento tra XI e XII secolo, tuttavia un dato certo è rappresentato dall’espansione dell’abitato, con la progressiva rioccupazione degli spazi ad est del teatro e la costruzione di una nuova cinta di mura che racchiude un’area più vasta. La crescita economica e demografica dell’insediamento porta all’attrito con il vicino comune di Viterbo. Il conflitto culmina con la distruzione completa di Ferento da parte dei viterbesi tra il 1170 e il 1172. Con un diploma emanato nel 1174, il legato imperiale in Italia assolve Viterbo dal bando imperiale causato dalla distruzione della città rivale e riconosce l’annessione del territorio di Ferento al contado viterbese.
Nei primi anni del XIII secolo l’abbandono di Ferento doveva essersi completato e i possessi delle due più ricche chiese ferentane sono trasferiti a quelle viterbesi. Le episodiche frequentazioni del sito nei secoli successivi sono legate all’estrazione del ferro e del vetriolo.
La prima notizia di scavi nel sito di Ferento risale al 1588, quando il comune di Viterbo concede a Guglielmo di Domenico Fontana la licenza di “cavare nel castellare di Ferenti, et suo circuito”. Tuttavia, si può presumere che già dalla prima metà del XVI secolo fossero stati effettuati scassi limitati nell’area del teatro,unico monumento rimasto sempre parzialmente in vista (come si evince da un passo dell’architetto Antonio da Sangallo). I primi interventi veri e propri sono compiuti solo nel primo quarto del XIX secolo, per iniziativa di Francesco Orioli e Giacomo Semeria dell’Accademia di Scienze e Arti degli Ardenti di Viterbo e si concentrano nelle necropoli etrusco romane delle località limitrofe al pianoro di Ferento. Le esplorazioni proseguono tra 1850 e 1866 con gli scavi
condotti da Giosafat Bazzichelli, probabilmente intorno al teatro.
Solo nel 1900 prendono avvio campagne sistematiche nelle necropoli e nell’area urbana, per iniziativa del viterbese Luigi Rossi Danielli; inizialmente le ricerche interessano le necropoli di Borgo di Ferento e Pianicara, poi viene intrapreso lo scavo della scena e della fossa scenica del teatro. In questa occasione viene rinvenuto il gruppo statuario delle Muse e del Pothos, che costituiva la decorazione del fronte scena. Tra il 1908 e il 1909 si svolge un massiccio intervento di scavo sul sito di Ferento, condotto dalla “Società archeologica ProFerento”, costituita nel 1906 dallo stesso Rossi Danielli. Vengono portate alla luce le terme e un tratto di basolato del decumano; ulteriori trincee sono aperte a NordEst del teatro (una di queste taglia il settore poi indagato
dall’università di Viterbo). Nel 1909 Edoardo Galli della Soprintendenza alle Antichità dell’Etruria dirige lo sterro del settore orientale della cavea e dell’orchestra del teatro. Ma nello stesso anno la morte di Rossi Danielli segna la fine delle ricerche della Pro Ferento.
Nuove indagini sulle necropoli romane collocate nell’area NordEst del pianoro sono effettuate nel 19191920, mentre gli scavi nel teatro vengono ripresi e completati solo tra il 1925 e il 1928 mediante lo sterro diretto da Pietro Romanelli della Soprintendenza alle Antichità del Lazio. L’ultimo intervento di sterro ha interessato tra il 1957 e il 1960 l’area occidentale del pianoro, con l’apertura di una trincea che ha scoperto l’intero tratto occidentale del decumano e ha messo in luce larga parte di una domus tardo repubblicana ad ovest del teatro.
Gli scavi nella città di Ferento sono ripresi nel 1994 per iniziativa del Dipartimento di Scienze del Mondo Antico della Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell’università della Tuscia.
ferentoIl teatro romano di Ferento si trova nella area occidentale del colle di Pianicara, si inseriva perfettamente nell’assetto urbanistico regolare della città, al centro del lato Ovest dell’abitato, nello spazio compreso tra le mura e il decumano sul quale dava il muro della cavea con le entrate al teatro. Il teatro è orientato N/S, in parte è addossato al pendio naturale del terreno, in parte sostruito: infatti presenta l’ima cavea direttamente scavata nella roccia, con 13 gradini di restauro, mentre l’ordinesuperiore delle gradinate, oggi non più visibile, poggiava su sostruzioni artificiali, costituite da una serie di camere radiali in muratura. Queste, percorse da un corridoio comunicante con l’esterno tramite 27 arcate a tutto sesto, circondano completamente la cavea, sono formate da
grossi blocchi di peperino e si impostano su pilastri a pianta quadrata leggermente rastremati verso l’alto.
Si accedeva al secondo ordine attraverso alcune scale ricavate nelle camere radiali; di tali gradinate non resta nulla. Le scale a piano inclinato e fiancheggiate da muri in opera reticolata immettevano nell’orchestra, lastricata in peperino, divisa in due settori per delimitare la parte riservata ai seggi dei magistrati e dei sacerdoti. Lungo il primo gradino della cavea è ancora visibile il canaletto semicircolare che convogliava l’acqua piovana nella fognature sottostanti, attraverso alcune aperture tra i lastroni del pavimento. Conserviamo poche tracce del muro di sostegno del pulpitum che doveva raggiungere un’altezza di circa cinque piedi, doveva essere decorato con nicchie colonnine e bassorilievi marmorei. E’ ancora visibile tra la scena e l’orchestra il fossato largo 5 metri e
profondo 1,50 metri, che durante le rappresentazioni veniva coperto da tavole di legno. Sul suo lato Nord sono visibili 10 pozzetti in opera reticolata, che servivano probabilmente per ospitare i macchinari che muovevano il sipario.
La scena, parzialmente conservata, è nella parte inferiore in opera quadrata, nella parte superiore in opera laterizia, presenta tre porte rientranti, (al centro la regia, ai due lati le hospitalee, dalle quali entravano gli attori).
Lungo la fronte sono disposte lenicchie, che ospitavano le statue. Delle probabili 11 porte del postscenium ne restano oggi 7, di cui quattro danno su ambienti di servizio e tre sulla scena. Si possono distinguere due fasi cronologiche: la prima, caratterizzata dall’impiego dell’opera quadrata nella parte inferiore dell’edificio scenico, nelle arcate esterne della cavea e delle scale, con paramenti in reticolato è collocabile nei primi due decenni del I sec. d. C., presumibilmente contemporanea alla costruzione del Foro e dell’Augusteo eretti tra il 12 e il 17 d.C., come attesta un’iscrizione. A questa fase appartengono alcuni capitelli ionici e coronamenti di lesene, varie colonne e un ritratto di fanciullo della dinastia giulioclaudia (Firenze, Museo Archeologico).
La seconda fase, caratterizzata dall’impiego dell’opera laterizia nella ricostruzione dell’edificio, è attribuita alla seconda metà del II sec. d.C., nell’età Severiana, come attestano i bolli impiegati nelle murature della scena, diffusi quasi esclusivamente nel viterbese databili per la forma lunata al 150170 a. C. Appartengono a questa fase la decorazione scultorea del frontescena,con il ciclo delle Muse, il Pathos, il ritratto di Caracalla giovinetto e vari elementi architettonici della trabeazione, lastre con fregi vegetali e colonne.
Ai primi due decenni del IV sec d. C. sembrano risalire gli ultimi restauri, in opera vittata documentati nella parte meridionale della fossa scenica. Nel periodo altomedievale, in seguito alla restrizione dell’abitato, una serie di piccole abitazioni e botteghe furono costruite addossate alle arcate e alle altre strutture del teatro, mentre nel suo interne furono scavate alcune tombe . L’intero edificio fu trasformato in fortezza.
Possiamo leggere in Vitruvio (De Architectura, 5) un’interessante testimonianza dell’importanza del luogo delle terme: “ …stabilito un luogo adatto e salubre, per il teatro, sarà d’uopo scegliere un altro ben riparato dall’Aquilone per le Terme e ciò perché il tempo di bagnarsi è dal mezzogiorno al tramonto”. Lo scavo delle terme di Ferento ebbe inizio nel 1908 ad opera della società archeologica
viterbese “Pro Ferento”, diretto dal Rossi Danielli, e continuò fino all’anno successivo. Le terme sono situate ad est del teatro, di fronte al decumano della città. Doveva trattarsi di un edificio molto grande ed imponente, che occupava una vasta area rettangolare di circa 60×37 m. ed un’altezza non inferiore ai nove metri, come testimonia il rudere in opera laterizia conservato in un angolo ad est
dell’edificio termale. Si accedeva, scendendo due gradini, dal decumano massimo al primo dei numerosi ambienti, in un’ampia sala di aspetto (19×19 metri). L’ingresso principale era, dunque, sul lato estovest della città, ad una quota inferiore a quella della strada, ma si poteva accedere anche tramite altre due porte laterali della larghezza di due metri. Al centro della prima sala è visibile una
grande vasca rettangolare di 8,25×4,95 metri e profonda un solo metro, per la qual cosa è probabile che avesse funzione ornamentale. Era rivestita da lastrine di marmo bianco e doveva avere colonne di marmo cipollino che sostenevano la copertura. Ai lati di una porta centrale c’erano due piccole fontane anch’esse ornamentali. Le sale erano circa trenta in laterizi con specchi in opera reticolata.
Secondo alcune ipotesi il complesso termale era diviso in due parti: una esposta a Nord, la seconda esposta a Sud, comprendente le camere per il bagno e una serie di ambienti accessori. Questa sarebbe, secondo Vitruvio, la migliore esposizione dei caldari e dei tepidari. Altri studiosi hanno visto l’edificio diviso in una parte riservata alle donne, più piccola e posta sul lato orientale, ed una per gli uomini. Dall’atrio si accedeva all’ambiente del frigidarium, abbastanza grande, con i due lati occupati da due piccole sale con tre gradini, usate come vasche da bagno. Dalla stanza del frigidarium, mediante corridoi, si passava nell’apodyterium, locale adibito a spogliatoio, ad un altro ambiente interpretato dal Rossi Danielli come unctorium e, infine, nel tepidarium. Quest’ultimo presenta pareti
in operalaterizia, dove si possono vedere i tubuli di terracotta per la diffusione dell’area calda, con il pavimento rialzato. Anche nel calidarium è presente lo stesso tipo di struttura, con le suspensurae, che permettevano all’aria calda di riscaldare i bagni attraverso le tubature in terracotta. Era presente ad ovest la sala del forno alimentato da un piccolo ambiente detto praefurnium. Lungo le pareti delle sale sono presenti una serie di banchine utilizzate per le abluzioni. Tutti gli ambienti, pavimentati a tessere di mosaico bianche e nere, dovevano essere adornati da statue e lastre di rivestimento in marmo. L’ultima sala verso il lato Sud era l’esedra, ampia stanza rettangolare, decorata con tessere di mosaico colorate.
Vista l’assidua frequentazione delle terme da parte dei cittadini, esse erano normalmente dotate di una serie di ambienti accessori in cui trascorrere ore piacevoli. Le terme risalenti all’età augustea subirono ampliamenti e riutilizzazioni in varie epoche, fino all’età medievale, quando divennero un caseggiato di abitazioni private. All’interno del complesso, per esempio, il ritrovamento di un’iscrizione ricorda la ristrutturazione delle terme da parte di una famiglia importante, gli Hortensi, vissuta nel corso dell’età giulioclaudia (I secolo d. C.). Rinvenute anche tombe a cassone altomedievali.

Segnala la tua notizia