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TORINO. Sposi di duemila anni fa. Il riposo di Coelia e Quintus.

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Coelia e Quintus erano due sposi torinesi di quasi duemila anni fa. Benestanti, non ancora cristiani, ma timorati degli dei, avevano buon gusto e una certa cultura. Vissero attorno al secondo secolo dopo Cristo. Facevano parte della tribù «Stellatina», nella quale erano registrati i cittadini romani residenti ad Augusta Taurinorum.
La città aveva già le sue mura, belle case patrizie, con pavimenti a mosaico, per lo più in prossimità delle Porte Palatine. Vi erano anche casette a schiera nei suoi squadrati rioni. Era abitata dalla nona generazione di coloni romani. Convivevano con galli, immigrati greci e forse anche germanici.
Una delle famiglie più influenti fra i coloni di Roma era quella dei Glizi, che generò il generale Quinto Glizio Agricola, conquistatore della Britannia. Ma anche Coelia e Quintus non se la passavano male.
Furono uniti finché la morte non li divise. Quintus fu il primo ad andarsene. Perché fu Coelia che provvide alla tomba che li riunì, a tempo debito, di nuovo insieme. Lo dice la loro raffinata e ricca stele funebre, da poco ritrovata in via Ancona, angolo corso Palermo. E’ venuta alla luce durante opere condotte per collocare nel terreno cavi elettrici. La Soprintendenza, guidata da Egle Micheletto, è intervenuta sul posto con scavi archeologici, diretti da Luisella Pejrani e Stefania Ratto, eseguiti da specialisti coordinati da Marco Subbrizio.
E’ apparso subito chiaro che la stele di Coelia e Quintus era già stata intercettata un secolo fa da altri interventi urbanistici, che la ribaltarono senza riconoscerla. La abbandonarono nel terreno a quota superficiale. Ma a un metro e mezzo di profondità sono stati rinvenuti anche le gambe e i piedi scheletrici di due persone. Sono i due sposi? «E’ difficile dirlo – spiegano Pejrani e Ratto – perché le due sepolture sono risultate prive del corredo funebre che potrebbe datarle. I resti umani potrebbero essere meno antichi, seppelliti in una fossa poi coperta con la stele, così riutilizzata, ma che certo risale all’epoca imperiale romana».
Il suo ritrovamento fa seguito a sepolture e frammenti di iscrizioni sepolcrali affiorati in zona, a partire dal 1887, quando un’epigrafe fu rintracciata in via Foggia. Nel 1888 si intercettarono tombe fra le vie Modena e Ancona, nel 1894 in via Pisa e nel 1928 di nuovo in via Modena, con la scoperta di un sarcofago in piombo. Era custodito in una tomba a camera, in mattoni, rivestita di lastroni di pietra. L’insieme identifica la presenza di una necropoli che doveva estendersi nell’ansa della Dora, a 800 metri dalle mura, fra gli odierni corsi Regio Parco e Verona.
Era forse collegata alla città da una strada che usciva dalle Porte Palatine e attraversava i quartieri artigiani extra-urbani a ridosso della Dora. La valicava su un ponte e puntava verso Est, nei terreni oltre-Dora che accoglievano la necropoli, a Sud dell’odierno Cimitero Generale. Fu l’ultimo viaggio di Coelia e Quintus.
La decorazione della stele fa intuire la loro religiosità. Pregano ancora gli antichi dei. Sul timpano un altorilievo mostra l’aquila di Giove che rapisce Ganimede. Evoca il passaggio dell’anima nell’oltretomba. Sotto giacciono due leoni accovacciati. Devono spaventare gli spiriti maligni ed eventuali profanatori. Ma i due defunti hanno la coscienza in pace. Lo dice un Ercole che lotta contro l’idra. Rappresenta le avversità della vita, che gli sposi hanno contrastato fino ad elevare lo spirito a una meritata ascesi.

Autore: Maurizio Lupo

Fonte: La Stampa.it, 20-02-2012

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