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TORINO: Che bel giro in quel papiro.

“Questo reperto consente di scrivere pagine nuove nel campo della letteratura greca, della cartografia e della storia dell’arte classica”.

Il papiro figurato cosiddetto di Artemidoro è già conosciuto dagli specialisti, ma ha avuto anche una certa notorietà al di fuori della cerchia di papirologi ed egittologi. Dopo la pubblicazione nel 1999 di un articolo firmato da Barbel Kramer dell’Università di Treviri e da me sulla rivista tedesca “Archiv fur Papyrusforschung”, la più antica e prestigiosa del settore, l’importanza del papiro è stata confermata dall’interesse della stampa italiana e internazionale.

Intorno al papiro si è fatto un clamore che nessun specialista ricordava, paragonabile soltanto alla scoperta dei rotoli del Mar Morto mezzo secolo fa. Ed è un clamore ampiamente giustificato: il papiro è uno di quei pezzi che, ogni quaranta o cinquant’anni, segnano una tappa fondamentale nella conoscenza del mondo antico. Addirittura, consente di scrivere pagine nuove, non in uno, ma in più campi della cultura classica: quello della letteratura greca, della cartografia e, soprattutto, della storia dell’arte. Ma come fa un papiro a contenere tante informazioni e a interessare settori così diversi? La risposta è semplice: c’è tanto ben di Dio in questo papiro perché è stato usato più volte, da persone e per scopi diversi. Hanno cominciato a utilizzarlo poco dopo la metà del I sec. a.C. (all’epoca di Cleopatra), scrivendoci sopra il secondo libro della Geografia di Artemidoro, un geografo che visse tra il II e il I sec. a.C., nato ad Efeso. Dopo molti viaggi compiuti sia nel Mediterraneo sia nella penisola iberica, Artemidoro raccolse i risultati dei suoi studi e compose una descrizione della Terra in undici libri.

Quest’opera monumentale ebbe moltissima importanza per lo studio della geografia alla fine dell’epoca ellenistica e poi ancora in epoca romana, e costituì la base su cui lavorarono i geografi di epoca successiva: Stradone, Plinio, Marciano, lo stesso Tolomeo. Purtroppo l’opera è andata perduta e a noi sono arrivati soltanto circa quaranta frammenti, citazioni brevissime contenute in autori più tardi. Adesso il papiro di Artemidoro ci restituisce tutta la parte iniziale del II libro, a noi noto da altre fonti (Erodiano, Stefano di Bisanzio, Costantino Porfinogenito), e quindi a lui attribuito con certezza. Il testo conservato fornisce una descrizione estremamente dettagliata di tutta la costa meridionale e della costa atlantica della penisola iberica, compresi insediamenti urbani, fiumi, approdi navali, addirittura torri di guardia sul litorale. Un’opera come quella di Artemidoro non poteva evidentemente essere concepita senza carte geografiche. Lo scriba lasciò quindi appositi spazi “in bianco” a professionisti per l’inserimento, in una fase successiva, delle “illustrazioni”. La prima carta è dedicata alla parte meridionale e centrale della penisola iberica, con strade, stazioni di sosta e ovviamente le città indicate con vignette riproducenti gli agglomerati di edifici. Si tratta della più antica carta geografica che ci sia arrivata dal mondo classico, da cui ha origine una tradizione che perdura per secoli, fino al mosaico di Madama in Giordania (V sec. d.C.). Non è la più antica carta geografica in assoluto, ma gli altri esemplari esistenti (tavolette babilonesi del II millennio a.C. e il famoso papiro della fine del II millennio a.C. sulle miniere d’oro del Wadi Al Mammat, al Museo Egizio di Torino) non hanno niente a che vedere con il mondo classico e con la tradizione greca e latina da cui discende tutta la nostra cultura cartografica. Il papiro è stato conservato integro nella sua lunghezza (ora misura due metri e cinquanta per circa 32 centimetri di altezza) e riutilizzato sul verso per realizzarvi una quarantina di immagini di animali di tutti i tipi e di tutte le taglie, risalenti alla fine del I sec. a.C., l’epoca di Augusto: sono rappresentati animali esistenti come la tigre, la lince, la foca, l’elefante, la giraffa, oppure mitici, come il grifone, un serpente crestato, due mostri che lottano insieme e un pesce spada con le zampe. Si tratta di un “cahier d’artiste” che è in realtà una raccolta di modelli o di campioni di cui l’autore si serviva a seconda delle sue esigenze: un caso unico nel suo genere giunto dal mondo classico.

Neppure chiusa questa fase il papiro viene buttato via, ma conservato nell’atelier e utilizzato per la terza volta: dopo il libro di geografia e il “cahier d’artiste” era rimasto ancoro molto spazio vuoto. Lo stesso titolare e alcuni componenti l’atelier ne approfittarono per farci i loro esercizi, copiando parti di statue. Nello specifico, troviamo le copie di due teste di sculture e una serie di teste, di piedi e di mani, di fronte e di profilo. Questi sono pressoché gli unici esercizi di disegno “professionale”, che ci sono arrivati dal mondo classico. Il papiro, entrato in una collezione egiziana all’inizio del Novecento, è poi arrivato in Europa dove, nel 1999, è stato finalmente reso noto. Attualmente è al laboratorio di Papirologia dell’Università di Milano dove stiamo ultimando i restauri, prima di procedere alla riproduzione digitale ad altissima definizione, sia a colori sia all’infrarosso. Nel frattempo Salvatore Settis, la professoressa Kramer e io continueremo le nostre ricerche sul papiro in vista di un’apposita pubblicazione, che mi auguro sarà pronta a fine 2005.

Claudio Gallazzi

Settis: L’antico in tempo reale.
Il papiro di Artemidoro acquistato dalla Fondazione per l’Arte della Compagnia di San Paolo, e concesso in comodato gratuito alla neonata Fondazione “Museo delle Antichità Egizie di Torino”, è un “robot” utilizzato da diversi soggetti in tempi successivi, a partire dal I sec. a.C. La presenza sul recto e sul verso del rotolo (oggi in frammenti, ma lungo complessivamente due metri e mezzo, e alto fino a 32,50 cm.), di un testo scritto in caratteri greci (parte del II libro di Artemidoro tratto dalla sua Geografia), e dell’abbozzo di una carta geografica e, infine, di disegni di animali, reali e fantastici, e i successivi schizzi di teste e parti di statue, rendono il reperto una fonte straordinaria per gli studi futuri, consentendo di scrivere pagine nuove in settori diversi della cultura classica, tra loro non sempre direttamente comunicanti, come la letteratura, la topografia e la storia dell’arte. Salvatore Settis, protagonista insieme al papirologo Claudio Gallazzi alla presentazione del 6 ottobre a Torino del “papiro di Artemidoro”, ne ha confermato l’importanza sottolineando come “solo raramente le scoperte papirologiche abbiano un qualche significato per la storia dell’arte. Questo ritrovamento costituisce un exploit straordinario: oltre a consentirci di leggere Artemidoro per la prima volta “dal vero” e a fornirci la prima carta geografica di epoca tardo-classica, il papiro contiene ben due “taccuini d’artista”, oltretutto di dimensioni considerevoli”. Soprattutto la terza fase, quella dei volti, mani, braccia e piedi forse schizzi tratti da sculture e realizzati nel I sec. a.C., benché “di qualità inferiore a quella del repertorio animalistico”, costituisce “una novità assoluta per la storia dell’arte antica, presentando un apparato iconografico costituito di “ritratti di persone” finora a noi noto solo a partire dal Rinascimento”. Il papiro è stato a lungo studiato da Salvatore Settis: “Oggi è stato raggiunto l’obiettivo a mio parere prioritario: che sia in una collezione pubblica perché possa essere studiato e soprattutto divulgato”. Quello che oggi vediamo e che attualmente è sottoposto a restauro presso il laboratorio di papirologia dell’Università di Milano, “è frutto dello smontaggio di una maschera funeraria di cartapesta, di cui facevano parte anche una ventina di documenti in lingua greca del I sec. d.C., il tutto proveniente dalla città egiziana di Antaeupolis. Dopo essere appartenuto alla collezione di Khashaba Pascià, costituita ai primi del ‘900 ad Alessandria e poi dispersa tra anni Sessanta e Settanta fino alla sua esportazione legale dal paese nel 1972, il papiro viene riconosciuto da un collezionista: solo allora si realizza lo smontaggio della maschera di cartapesta”. Ora tutto questo è a disposizione degli studiosi. “Quel che ancora auspico, conclude Salvatore Settis, è il ricongiungimento del papiro con il suo unico “contesto archeologico”: i venti papiri documentari che, ancora in mano privata, forniscono informazioni insostituibili su luogo di provenienza e datazione”.

Alessandro Martini
Fonte: Il Giornale dell’Arte Vernissage – novembre 2004
Autore: Claudio Gallazzi – Alessandro Martini
Cronologia: Egittologia

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