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ROMA: L’intervista – “I miei affari con il Getty”.

Alla vigilia del processo contro l’ex “curator” per l’archeologia del grande museo, parla Giacomo Medici. Condannato in primo grado a 10 anni di carcere, boss del mercato clandestino, avrebbe venduto all’istituzione Usa capolavori rubati.

Per gli inquirenti, è “uno dei dieci maggiori venditori al mondo di antichità”: s’intende scavata, o commerciata, in modo illegale; per la cronaca, è l’unico condannato a 10 anni di carcere, e deve rifondere allo Stato 140 milioni di euro, di cui 10 versati come provvisionale; per il nostro Paese, è uno da cui guardarsi; per il Getty Museum, invece, uno dei più assidui procacciatori di capolavori; Giacomo Medici, 67 anni ben portati e una villa a Santa Marinella con piscina, due campi da tennis e vista stupenda sul mare, blazer blu e cravatta con racchette, sembra il manager, educato e colto, che probabilmente è.

Dice della Galleria che, dal 1970 al ’78, aveva a via del Babuino, e dell’altra a Ginevra, la Hydra, Grande Rue numero 12. Logicamente, si protesta innocente. Talora, tuttavia, eccede: spiega d’aver conosciuto Marion Trae, l’ex curator per l’archeologia del Getty Museum contro cui si apre domani il processo a Roma, soltanto nel 1986; ma agli atti, c’è la prova di precedenti compravendite tra il commerciante ed il museo.

Medici spiega che “se uno ha successo, è subito malvisto”; dice che “possedevo tante foto d’oggetti antichi non perché li avessi venduti, bensì perché, essendo io uno studioso, me le mandavano da ogni angolo della terra”; giura d’essere “molto sicuro” di sé, d’aver “smesso di lavorare ormai da cinque anni”, d’aver fatto tanta fortuna “perché so capire la psicologia degli uomini ricchi; vorrebbero un oggetto, non se lo aggiudicano all’asta perché la quotazione supera il “tetto” che s’erano prefissati, e, dopo un po’ di mesi, ti vengono a cercare, per acquistarlo ad un prezzo ancora maggiore”.

Ricorda quando, nel 1993, Stavros Niarchos si chiedeva: “Chi è quel cane che, a furia di rilanci, mi ha fatto pagare cinque miliardi un vaso?”; logicamente, quel “cane” era lui.

Di lei, sa quale ingegnosità si racconta? Che gli oggetti di dubbia provenienza li mettesse all’asta da Sotheby’s, per poi riacquistarli, ormai con provenienza immacolata; 110 reperti antichi venduti solo tra il 1984 e il 1994.

“Ma no, mai successo. A parte un caso. Un mio cliente che si era comperato 14 pezzi per 39 mila sterline. Che vuole: due lire, robetta”.

E lei, che cosa c’entrava?

“A Ginevra, dove avevo la mia galleria al Punto franco in quanto spesso comperavo e rivendevo estero su estero, gli avevo preso in subaffitto un locale, poiché i miei non mi bastavano più; e lui, appunto, aveva lasciato lì quei 14 pezzi. Quando me l’hanno perquisita, e m’hanno sequestrato tutto, non ci hanno creduto che fosse andata così”.

Ma se ne racconta anche un’altra. Che quando Robert Hecht acquista da quattro tombaroli a Cerveteri, per 80 milioni di lire del 1971, il Vaso di Eufronio ora al Metropolitan, lei fosse presente: quasi come “garante” dell’operazione.

Medici sorride, ma nemmeno una sillaba.

Perché, nella sua zona, a Vulci o Cerveteri, un affare di tale portata era impossibile che le sfuggisse; o sbaglio?

Sorride di nuovo. Poi: “Le dirò di più: mi accusano perfino perché il terreno in cui si vuole sia stato trovato quel vaso, era di mia proprietà”.

E in un suo diario trovato a Parigi, Hecht scrive che fu proprio lei a venderglielo. “No, con quell’affare, io direttamente non c’entro”.

Hecht però lo conosce bene, vero? “Incontrato la prima volta nel 1974, a una vendita di monete a Zurigo”.

Ma come ci si sente ad essere l’unico mercante d’arte condannato a 10 anni di carcere e 140 milioni di euro da rifondere allo Stato?

“Mi vede: sono sereno, dormo tranquillo. Sono un pazzo, o un innocente. Se no, non potrei giocare a tennis e battere sempre chiunque. Spero nell’appello, se la giustizia c’è”.

Ma l’hanno condannata anche per tre pezzi provenienti da un furto al Circeo, no? “No. Di due, non si parla più; e il terzo è diverso da quello dichiarato rubato: altre misure, altri soggetti”.

E nei pasticci, chiamiamoli così per essere buoni, del Getty Museum, lei non c’entra davvero nulla? Facevano finta perfino d’aver ricevuto delle antichità in dono, per poter poi dissimulare la loro provenienza.

“Sono stato condannato per aver procurato loro 42 oggetti; un po’ li hanno restituiti; ne saranno rimasti al massimo una trentina, su cui spero d’aver ragione in appello. E là storia delle donazioni, è vero che non è del tutto chiara: per incoraggiarle, facevano perfino lievitare i prezzi, mi diceva qualcuno, aumentando così la detrazione fiscale”.

Il più bell’oggetto che le sia passato per le mani?

“Forse l’Hydra ceretana, etrusca, del Getty Museum; per la cui vendita, in Italia, sono stato assolto. Proveniva dalla collezione di un conte inglese; l’ho acquistata nel 1982 da Christie’s per 150 mila sterline, e rivenduta sei mesi dopo a 400 mila dollari”.

E c’è qualche acquirente che ricorda con gioia e piacere?

“Oh, sì che c’è; ma non gliene dico il nome. Se no, domani i carabinieri vanno a fargli una perquisizione. Ma lo sa che a casa mia ne hanno fatte 25, tutte negative?”.

Positiva però quella a Ginevra: 10 mila pezzi sequestrati. “Quelli di provenienza non italica, mi sono stati già tutti restituiti; ne restano ancora tremila, di cui però solo 200 circa avranno qualche valore. Io non dispero di riaverli”.

Si parla ancora di tanti studiosi: li conosce tutti. Per il giudice che l’ha condannato, era complice di chi sarà sotto processo da domani: boss del mercato clandestino, che non ha mai scavato direttamente. La sua sentenza parla di diverse decine di reperti, ceduti a una dozzina di musei del mondo, oltre alle centinaia confiscategli, o bloccate in due sedi della casa d’aste Sotheby’s; e gli sequestra la villa e una Maserati, perché “ha portato avanti per vari decenni una condotta criminale di ricettazione e esportazione”: oggetti “spesso d’eccezionale rilevanza storica e artistica”.

Medici, adesso le toccherà anche l’assalto del fisco? “La rogatoria in Svizzera esclude che le prove raccolte possano essere usate per un simile scopo”.

Un sospiro di sollievo, una stretta di mano.

Fonte: Il Messaggero 15/11/2005
Autore: Fabio Isman

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