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ROMA. E’ qui il futuro del passato.

Nel Nord Africa o nel Vicino Oriente, avviati a trasformazioni geopolitiche di esito ancora incerto, qual e’ il futuro del passato?
In un quadro di instabilita’ chi difendera’ l’eredita’ fragile della loro storia?
La tutela del patrimonio archeologico nei Paesi del Mediterraneo e’ il tema di un convegno che si svolge oggi a Roma nell’ambito di Diplomacy, secondo Festival internazionale della diplomazia. Oltre il fascino romantico delle avventure alla Indiana Jones, le missioni archeologiche sono un «avamposto» nel campo delle relazioni diplomatiche: basti pensare che attorno al Mare Nostrum si effettuano ogni anno 800 operazioni, che coinvolgono 14 mila «attori» locali e 2 mila studiosi in missione.
«La cooperazione internazionale vive un momento difficile ma eccezionale. – commenta Sergio Ribichini dell’ISCIMA-CNR, responsabile italiano dei lavori ad Althiburos, in Tunisia, una delle 157 missioni italiane in corso -. E’ fondamentale incrementare gli scambi culturali con questi Paesi, anche per favorire l’evoluzione della democrazia».
Le parole vincenti per affrontare le sfide future sono cooperazione, conservazione e sviluppo tecnologico. La missione archeologica, infatti, e’ un fenomeno complesso, che richiede indagini multidisciplinari: archeologia in senso stretto, ma anche epigrafia, numismatica, archeo-antropologia, archeo-zoologia, archeo-botanica, storia politica e artistica, storia economica e storia delle religioni, ricostruzioni virtuali e altre tecnologie applicate ai Beni culturali. Inoltre, coinvolge vari livelli culturali, sociali ed economici, perche’ un sito archeologico non e’ solo un oggetto di ricerca, ma anche una meta turistica.
Il valore simbolico del patrimonio storico e’ emerso drammaticamente con la distruzione dei Buddha di Bamiyan, in Afghanistan, o, al contrario, nelle vicende di piazza Tahrir al Cairo, dove i cittadini si sono stretti in una catena umana per proteggere il «loro» museo dai saccheggi.
«Uno straordinario simbolo del nuovo Egitto che avanza – commenta Marilina Betro’, direttore della missione a Dra Abu el-Naga (Luxor) – come i guardiani dei nostri scavi e la gente che nella necropoli tebana si e’ organizzata per fare le ronde a difesa dei monumenti. E questo e’ il duplice ruolo delle testimonianze del passato: tramite di identita’ nazionale, ma anche del sentimento collettivo del nostro essere uomini, senza confini o barriere etniche».
In Libia, intanto, «non ci sono allarmi – assicura Luisa Musso, docente di Archeologia all’Universita’ di Roma Tre e direttore della missione italiana a Leptis Magna -: musei e grandi monumenti non hanno subito atti vandalici e solo il museo di Bani Walid, teatro di guerra, potrebbe essere danneggiato». Finora – aggiunge – «ci hanno chiesto soprattutto la formazione del personale locale e anche la creazione di parchi archeologici che possano diventare una fonte di reddito».
Oggi, tra le discipline umanistiche, l’archeologia e’, di certo, la piu’ tecno-scientifica. Prima di iniziare, bisogna acquisire tutto cio’ che si puo’ sapere senza scavare e per questo si ricorre ai satelliti, ai Gis (i sistemi informativi territoriali computerizzati), ad analisi geofisiche o geomagnetiche, oltre che a strumenti innovativi per il restauro, la conservazione, la diffusione delle conoscenze. E in Egitto, dove sono attive 23 missioni italiane, 11 delle quali in collaborazione con istituzioni egiziane, il futuro e’ gia’ arrivato. «Un aspetto innovativo e’ l’utilizzo della realta’ virtuale, – ricorda Marilina Betro’ -: e’ una tecnologia che nella cosiddetta ”realta’ aumentata” permette non solo di creare repliche fedeli di monumenti e ambienti del passato, e di interagirvi, ma anche di integrare le informazioni fornite dallo scavo e dall’interpretazione archeologica. E’ cio’ che abbiamo fatto per la tomba del sacerdote Huy a Dra Abu el-Naga, dopo aver eseguito la scansione del monumento con laser scanner 3D».
Dall’Egitto alla Siria sono tanti i Paesi con un patrimonio inestimabile: sapranno difenderlo e valorizzarlo? Secondo Ribichini, ci sono buone speranze per la Tunisia.
«Sami Ben Tahar, specialista della civilta’ cartaginese, e’ oggi sindaco di Jerba Houmt Souk – spiega -. Pur non essendo un politico di professione, si e’ messo a disposizione per questo periodo di transizione». Ma bisogna agire in fretta: anche per le gloriose vestigia del passato il futuro non e’ piu’ quello di una volta.

Autore: Cinzia Cianni

Fonte: La Stampa.it, Tuttoscienze, 12 ottobre 2011

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