Archivi

PRATO. Le nuove origini della città.

Per don Renzo Fantappiè, uno dei maggiori esperti delle origini di Prato, gli scavi archeologici compiuti sotto al Palazzo Vescovile «hanno, insieme a quelli ben più importanti di Gonfienti, riscritto la storia di Prato».
I “risultati” di quella campagna di scavi condotta tra il 1997 e il 1999 sono ora visibili all’interno del Museo dell’Opera del Duomo – che ha sede proprio nel Palazzo vescovile – grazie al nuovo percorso museale inaugurato ieri mattina.
Alla cerimonia hanno preso parte il vescovo Gastone Simoni e la nuova Soprintendente Toscana per i Beni Archeologici Fulvia Lo Schiavo; con loro il vicario Eligio Francioni, il direttore dei Musei diocesani Claudio Cerretelli, il direttore dell’Ufficio beni culturali della Diocesi don Renzo Fantappiè, l’assessore alla cultura del Comune Andrea Mazzoni, la funzionaria della Soprintendenza Anna Wentkowska.
«Fino a quindici anni fa – ha affermato Fantappiè – pensavamo che le origini di Prato fossero longobarde. Oggi invece, con l’area archeologica di Gonfienti e con gli scavi del palazzo vescovile, sappiamo che la presenza dell’uomo in questa terra è molto più antica».
Wentkowska ha fissato le prime tracce stabili di presenza umana intorno alla fine del IV-inizi del III secolo avanti Cristo, in pieno periodo ellenistico.
Gli scavi, da lei guidati insieme a Gabriella Poggesi, sotto il palazzo Vescovile hanno individuato uno strato agricolo contenente materiali risalenti proprio a quel periodo; di particolare rilievo i frammenti di una kelebe etrusca (vaso per mescolare vino e acqua), una lucernina e resti di ampolle romane, fino a ceramiche databili intorno al IV secolo dopo Cristo.
Poi, un grande salto temporale: fino alla metà del IX secolo d. C. non si sono trovate nuove tracce. In quel periodo già «pulsava la vita – ha spiegato Wentkowska – di Borgo al Cornio, il primitivo nucleo cittadino»: i resti di tre forni e di una capanna sono testimonianza di attività artigianali forse promosse dai canonici della vicina Pieve di S. stefano.
Ma gli scavi hanno portato alla luce anche i resti della “Lucy pratese”, come l’ha ribattezzata Claudio Cerretelli: si tratta della più antica pratese finora rinvenuta. Lo scheletro è databile intorno all’885 d. C. ed è riferibile ad una donna di circa 65 anni – per l’epoca un’età molto avanzata – di circa 152 cm di altezza, abituata forse alla fatica, il cui cranio evidenzia una fortissima malattia parodontale.
Quella tomba, lasciata intatta e in vista nel percorso museale sotterraneo, porta con sé un mistero. «Si tratta – ha spiegato Wentkowska – di una sepoltura isolata, fuori da un contesto cimiteriale. Non riusciamo a spiegarne il motivo».
Interessante anche il fatto, svelato stamattina, che il livello del terreno dell’attuale piazza del Duomo sia salito, in 2.300 anni, dall’epoca ellenistica fino ad oggi, di circa 2 metri e mezzo.
La campagna di scavi fu avviata per creare un percorso interno al Palazzo che ricollegasse tutte le sale del Museo dell’Opera, un tempo accessibili in parte dal chiostro della cattedrale.
Nessuno immaginava quali scoperte avrebbe portato. Don Fantappiè e Cerretelli hanno ringraziato la Fondazione Cassa di Risparmio di Prato e la Provincia per il sostegno al nuovo allestimento del Museo.
Nell’occasione è stato presentato il volume “La ricerca archeologica nell’area del Palazzo vescovile di Prato”, promosso da Diocesi e Soprintendenza, che contiene un aggiornato studio di don Fantappiè sulla storia di Prato.


Fonte: Il Tirreno Prato, 15/06/2008

Segnala la tua notizia