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NEW YORK: IL commercio di antichità ha bisogno di regole nuove.

C’è molta ipocrisia nella recente débàcle relativa al trafugamento di antichità provenienti dall’Italia. Il Metropolitan Museum sta negoziando con le autorità italiane per la sua collezione di reperti romani e greci, nel tentativo di evitare la crisi che oggi sta affrontando il J. Paul Getty Museum di Los Angeles, la cui ex curatrice per le antichità è attualmente sotto processo in Italia.

I musei americani hanno sempre finto sorpresa nell’apprendere che qualche oggetto da loro acquistato potesse essere stato esportato illegalmente. Per anni i musei hanno permesso che oggetti d’arte antica, trafugati attraverso città come Ginevra e Londra, entrassero a far parte delle loro collezioni. I mercanti d’arte preferiscono non rivelare i dettagli sgradevoli che riguardano la provenienza di ciò che vendono. L’onere di provare che quegli oggetti erano stati venduti illegalmente era a carico degli italiani, o dei greci, o dei turchi o di chiunque altro . Ma acquistare opere d’arte trafugate non fa che alimentare lo stereotipo, particolarmente distruttivo, degli Stati Uniti grandi e cattivi che sfruttano gli altri Paesi.

I recenti problemi dovrebbero spingere gli americani a porsi alcune domande.

Il Metropolitan, il Cleveland Museum, il Museum of Fine Art di Boston —luoghi che raccolgono elementi di culture provenienti da tutto il mondo e che offrono un rifugio sicuro alle diverse civiltà, fornendo allo stesso tempo a milioni di persone la possibilità di accedervi — hanno anche dei diritti riguardo all’arte mondiale, diritti che competono legittimamente con le finalità nazionaliste dei diversi Paesi i quali non sempre sono in grado di garantire la stessa disponibilità di accesso e la stessa cura?

Non è preferibile che un vaso antico rinvenuto durante uno scavo in qualche fattoria della Sicilia vada a finire in un museo come il Metropolitan, dove può essere studiato, visto da moltissime persone e di cui ci si prenderà cura, piuttosto che diventare parte di un bottino chiuso nella cassaforte di qualche miliardario a Zurigo, a Shanghai o a Tokyo?

D’altra parte il trasferimento di opere d’arte nei musei non ne incoraggia forse il trafugamento? La risposta a tutte e tre queste domande è sì. Ma alcune colpe ricadono anche sugli italiani. Per anni l’Italia è stata notoriamente carente nell’applicazione delle sue stesse leggi sulla disciplina dell’esportazione. Spesso i funzionari locali chiudono un occhio sulle attività dei trafugatori di oggetti antichi. Recentemente l’Italia ha investito molto denaro nella vigilanza dei siti archeologici, nei controlli alle frontiere e in una riforma burocratica, ma i saccheggi continuano.

Una proposta avanzata durante i colloqui tra il Metropolitan Museum e l’Italia potrebbe fornire un modello per altri musei americani : gli italiani hanno rivendicato la proprietà dei reperti archeologici contesi in cambio di prestiti a lungo termine, un compromesso abbastanza equo.

Tuttavia colpire i musei americani non impedirà ai trafficanti di rivolgersi ai collezionisti giapponesi, cinesi o russi, i quali non si preoccupano certo del diritto internazionale. Questo dipende in parte dal fatto che le leggi italiane incoraggiano la criminalità. Esse, infatti, prevedono che chiunque rinvenga un oggetto antico nella sua proprietà ne debba informare le autorità le quali possono sequestrare, senza alcun risarcimento per i proprietari, non soltanto ciò che è stato rinvenuto ma anche il terreno in cui è avvenuto il ritrovamento.

Una decisione tipica della contraddittoria applicazione delle politiche a tutela del patrimonio archeologico è quella assunta di recente dal Parlamento greco, decisione che prevede l’apertura di 16.000 chilometri di coste agli amanti delle immersioni subacquee che sono alla ricerca di antichi relitti marini. La legge, intesa a favorire il turismo, è un autentico regalo per i trafficanti di oggetti antichi ed arriva proprio nel momento in cui la Grecia sta avanzando dei ricorsi contro il Getty Museum per l’esportazione illegale di opere d’arte.

Se la ex curatrice per le opere antiche del Getty e i suoi capi non hanno avuto il sospetto che alcuni degli oggetti acquistati da un fiduciario erano rubati, allora si tratta delle uniche persone nel mondo dell’arte a non aver nutrito questo dubbio. Le smentite da parte degli ex amministratori del museo e di quelli attuali contraddicono le relazioni riservate e le prove presentate fino a questo momento al processo italiano a cui è sottoposta la signora True.

Ovunque c’è bisogno di un cambiamento di rotta. Gli Stati Uniti devono comportarsi in modo coerente con la loro legislazione. Essa vieta l’importazione dall’Italia di oggetti antichi considerati rubati, ma il Dipartimento di Stato e i tribunali non interpretano allo stesso modo le leggi straniere sull’esportazione. I musei dovrebbero assumersi l’onere della prova. Dovrebbero avere delle commissioni terze cui spetti l’ultima parola sulla questione della provenienza. Gli italiani dovrebbero rivedere il loro approccio. In cambio dei beni restituiti potrebbero cambiare le regole sui prestiti museali. Dovrebbero iniziare col rivedere una legge autolesionista che non fa che incoraggiare i reati. Questo richiederebbe un atto di grande coraggio politico. Perciò non scommetterei che possa accadere nel breve periodo.

Fonte: The New York Times 24/12/2005
Autore: Michael Kimmelman

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