Archivi

NAPOLI. Una necropoli nel ventre del Museo.

Basta scavare, diceva Marcello Gigante, lo scomparso maestro di filologia e di archeologia. A Napoli, poi, se si fa un buco in un posto qualsiasi e ci si ritrova letteralmente nella storia. Come è capitato agli archeologi della Soprintendenza di Napoli quando durante i lavori di ampliamento del cosiddetto braccio nuovo del Museo nazionale si sono imbattuti in quella necropoli situata proprio sotto il corpo di fabbrica in ristrutturazione.
Oltre cento tombe, tra le sepolture greche e le altre d’epoca romana, capaci di raccontare sette secoli della vita cittadina, dal IV secolo avanti Cristo al III secolo dopo, con tumulazioni in casse di tufo, sepolture alla cappuccina o, ancora, con gli scheletri posti in anfore spaccate a metà.
L’area sepolcrale, secondo gli esperti, fa parte di un più vasto cimitero che potrebbe arrivare sin quasi alla zona di Capodimonte, dove c’è l’esteso complesso delle Catacombe di San Gennaro.
Un primo indizio circa la presenza di sepolture nell’area del Museo nazionale si era avuto alla fine dell’Ottocento, quando si rinvennero delle tombe e i classici materiali a corredo: vasi, oggetti d’uso quotidiano e personale. «Questo rinvenimento – spiega la Soprintendente archeologa, Maria Luisa Nava – è però particolarmente interessante perché ci consente di acquisire ancora altri dati sulla Neapolis greco-romana».
Alcune delle tombe, difatti, sono state datata dagli archeologi al IV secolo avanti Cristo: hanno forma di cassa e sono fatte con lastre o blocchi scavati, in tufo giallo napoletano. I tufelli che le compongono, poi, in alcuni casi risultano lavorati sul posto, visto che si sono rinvenute le scaglie del materiale sgrossato dagli scalpellini; in altri casi, arrivavano gia squadrati dalle cave. E forse quei segni che talvolta sono incisi sui mattoni indicano appunto la provenienza. Nella maggioranza dei casi, le casse, accanto agli scheletri, custodivano ricchi corredi fatti di vasellame decorato a figure rosse, oggetti metallici e, talvolta, contenitori in alabastro e statuette di terracotta.
Solo sporadicamente sono state rinvenute monete di bronzo o d’argento, cadute, si ritiene, nelle tombe dai sacchetti fatti di tessuti vegetali e appesi alle pareti delle casse.
Spesso, nelle casse più profonde, sono state trovate le tracce di letti funebri, come segnalato dai rinvenimenti di borchie di bronzo. Insomma, è il passato di Neapolis che torna alla luce.
Il passato di una città fatta a strati, degradante dalle colline verso il mare e che «in epoca greca – come sottolinea James Bishop, l’archeologo incaricato di sorvegliare i lavori – aveva il territorio urbano del tutto simile a un immenso cimitero».
Molte tombe furono riutilizzate. Ovvero, si spostava all’esterno lo scheletro precedente o gli si sovrapponeva il nuovo e si richiudeva la tomba. «A questa fase – riprende la Soprintendente – appartiene anche una interessante doppia deposizione di ossa cremate in urna».
Forse la necropoli era ancora attiva quando venne colpita dalle ceneri lanciate durante l’eruzione vesuviana del 79 dopo Cristo: uno strato di materiale vulcanico spesso pochi centimetri è all’esame degli specialisti per essere correttamente datato. Oltre ad alcune deposizioni di neonati in anfore tagliate e a poche tombe a incinerazione diretta, in nuda terra, le sepolture riferibili al III secolo avanti Cristo sono scavate in fossa semplice o hanno copertura di tegole a doppio spiovente.
Infine, a testimoniare la funzione sacra dell’area, ci sono le formule con le maledizioni, scritte sulle lamine di piombo e ritrovate custodite in vasi interrati all’esterno delle sepolture. I napoletani di 2400 anni fa le portavano personalmente alle divinità infernali. E non c’erano scongiuri a difesa, per il malcapitato.

 


Fonte: Il Mattino 16/11/2007
Autore: Carlo Avvisati
Cronologia: Arch. della Magna Grecia

Segnala la tua notizia