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MONTEU DA PO / Industria (To). Lo schiavista romano e gli egizi torinesi.

Duemila anni fa vennero deportati a Monteu da Po.
Antichi egizi, devoti a Osiride e Iside, sbarcarono duemila anni fa sulle sponde del Po, deportati come schiavi, con altri prigionieri greci e medio-orientali. Non immaginavano che avrebbero formato il primo anello di una catena che ancora oggi al Museo Egizio e a quello di Antichita’ unisce Torino con la loro civilta’.
A costringerli ad attraversare il Mediterraneo non fu certo Fetonte, figlio del dio Sole, annegato nell’Eridano, che una leggenda rinascimentale immagina a torto egizio. Li spinse in Piemonte un imprenditore romano schiavista, ma cultore delle arti. Si chiamava Lucius Avilius Gavianus, che nella dea Iside riconosceva la protettrice dei mercanti e della fortuna in commercio. Associata in Egitto al culto del «Bue Api», divenne la Proserpina romana e qui, grazie anche ad Avilius, fu raffigurata nel toro che diverra’ simbolo di Torino.
Lo documentano ricerche e scavi condotti dal 1981 al 2003 dall’archeologa Emanuela Zanda, a Monteu da Po, l’antica «Industria, citta’ romana sacra a Iside». E’ anche il titolo del volume che li testimonia, edito da Allemandi. Fa rivivere le memorie della fede di Avilius. Visse ai tempi di Giulio Cesare. La famiglia, originaria di Padova, gestiva le miniere di ferro di Cogne. Aveva bisogno di minatori e anche di artigiani valenti, da impiegare nella cittadina di cui era patrono, a 25 chilometri da Augusta Taurinorum. L’aveva fondata un parente, forse suo padre. Con un’altra famiglia di mercanti, i Lolli, originari del centro Italia, aveva occupato «Bodincomagus», un villaggio fluviale celto-ligure in riva al Po, da quel punto allora navigabile fino all’Adriatico. Fu riorganizzato in uno squadrato borgo romano, di 400 metri di lato. Quindi lo collegarono al fiume con un canale, per creare un punto d’imbarco a lingotti di ferro e a fusioni in bronzo, anche artistiche.
Avilius ne divenne patrono egemone e lo fece diventare «Municipio», con il nome di «Industria», che voleva gia’ dire quello che significa, ma anche «attivita’ ingegnosa». Per compierla Avilius ricorse a schiavi, acquistati a Delo, in Grecia. Era allora il piu’ grande mercato di braccia umane, dove era molto diffuso il culto di Iside. Anche Avilius e i Lolli la veneravano. A Industria eressero il suo tempio, che divenne un importante santuario, meta di pellegrinaggi.
Emanuela Zanda, consultati Plinio, Apuleio e Plutarco, ha ricostruito anche le processioni che vi si celebravano. Dal 5 al 7 marzo si festeggiava il «Navigium Isidis». Segnava la ripresa primaverile della navigazione sul Po. I sacerdoti, detti «Passofori>>, ovvero «portatori di oggetti sacri», percorrevano il tempio fino alla cella di Iside, seguiti dagli «iniziati» e dal popolo fino al fiume, dove liberavano una piccola barca con un lumetto. Alla fine d’ottobre cadeva invece la festa di «inventio Osiridis», una sorta di carnevale egizio in maschera. Ricordava la resurrezione di Osiride, che il geloso fratello Seth fece a pezzi, poi ritrovati, ricomposti e rianimati dalla pia moglie Iside.
Cosi’ avvenne per 200 anni. Finche’ nel III secolo d.C Industria decadde. Il cristianesimo tacito’ i sacerdoti di Iside. Il tempio brucio’ a meta’ del quarto secolo. L’abitato sopravvisse fino all’ottavo, ma piu’ ridotto. La case divennero capanne, finche’ un giorno arrivarono i Longobardi, che nel retro del tempio scavarono le loro tombe.

Autore: Maurizio Lupo

Fonte: La Stampa, 24 feb 2012

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