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IRAQ – La denuncia degli archeologi contro l’indifferenza americana ai saccheggi

Dopo che la battuta al veleno in giro a Baghdad da settimane – gli americani in Iraq hanno pensato solo a proteggere il petrolio – è diventata il motivo ufficiale delle dimissioni del principale consigliere culturale di Bush, Martin Sullivan, presidente del Comitato di consulenza per i beni culturali, seguite a ruota da quelle di Gary Vikan, direttore del museo Walters di Baltimora (un altro dei nove membri della commissione), il problema della salvaguardia di ciò che resta dell’immenso patrimonio culturale iracheno è davvero all’ordine del giorno.

I consiglieri saranno rimpiazzati e Donald Rumsfeld ha respinto le accuse contro i comandi alleati, ma il disagio nel mondo accademico britannico e statunitense ha ormai raggiunto il livello di guardia e gli archeologi iracheni, direttore del Museo archeologico nazionale di Baghdad in testa, definiscono “il crimine del secolo” ciò che è successo nella capitale e in tanti altri siti minori (là dove i “minori” sono comunque i musei di Bassora, di Tikrit, gli scavi di Ur o la prestigiosa e ormai dissolta collezione di antichi strumenti della Scuola di Musica di Baghdad).

In risposta alle proteste e agli appelli l’amministrazione Bush ha deciso l’invio a Baghdad di agenti dell’Fbi, per collaborare al recupero delle opere rubate. Ma il giudizio degli studiosi sull’iniziativa è scettico: “Evitiamo le sceneggiate hollywoodiane – ha detto Irene Winter, specialista di arte mediorientale antica ad Harvard – in Iraq serve una squadra di professionisti in grado di salvare il salvabile. La prima cosa da fare è ricostruire il Dipartimento alle Antichità”. Non ci vogliono agenti o poliziotti ma esperti che “partano da una catalogazione dei reperti e possano intanto individuare esattamente che cosa manca”, sostengono gli studiosi americani e si preparano a intervenire.

In prima linea i professori dell’Università di Chicago, guidati dal veterano Mc Guire Gibson, docente di Archeologia mesopotamica, 40 anni di campagne di scavi in Iraq. Già prima dello scoppio della guerra aveva lanciato l’allarme sul rischio che il conflitto potesse mettere in pericolo i quasi 100 mila siti archeologici e i musei del Paese considerato la culla della civiltà, e ora è un fermo sostenitore della non casualità di quanto è accaduto. Giovedì, partecipando alla riunione degli specialisti internazionali riuniti a Parigi sotto l’egida dell’Unesco per una valutazione dei danni al patrimonio artistico del Paese, è stato tra i più convinti nell’affermare che il saccheggio del Museo archeologico di Baghdad è stato preparato e pianificato da bande specializzate in furti d’opere d’arte con ampie coperture. Tanto per dirne una, sarebbero spariti molti reperti anche dai depositi del Museo che, al contrario delle sale, non mostrano alcun segno di effrazione. Dalla riunione di Parigi, conclusasi con l’ennesimo appello alla vigilanza da parte delle forze che occupano l’Iraq, responsabili dei suoi beni in base alla Convenzione sulla tutela del patrimonio culturale in caso di evento bellico del 1954, è emersa anche la volontà di organizzare al più presto una missione di sopralluogo “interdisciplinare” a Baghdad di cui faranno parte specialisti di archeologia, architettura, archivistica, biblioteche e musei. Si è sottolineato anche come finora soltanto l’Italia abbia contribuito in concreto al Fondo speciale per il patrimonio iracheno, con 400 mila dollari che diventeranno presto un milione. “Siamo pronti a intervenire, certo – dice Giuseppe Proietti, responsabile della Direzione nazionale di Archeologia per l’Italia, di ritorno dal vertice – ma la situazione è grave. A Baghdad ci sono ancora vaste aree che sfuggono a ogni controllo e mancano le informazioni. Ad esempio io penso che il numero di reperti dati per scomparsi sia sovrastimato – lo spero almeno – anche perché molte statue e i grandi rilievi in alabastro delle statue assire sono rimaste al loro posto, per quanto danneggiate, ma bisogna accertarlo al più presto. Occorre una ricognizione sul patrimonio culturale iracheno e non solo a Baghdad ma anche nel Nord, nell’Assiria, a Babilonia, nella terra di Sumer. Che non può essere affidata a personale militare e che dovrebbe avvenire sotto l’egida dell’Unesco”.
Fonte: La Stampa
Autore: Carlo Reschia
Cronologia: Arch. Partico-Sasanide

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