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Hobbit. Uno studio sostiene il nanismo.

I paleoantropologi continuano a essere aspramente divisi sull’attribuzione a una nuova specie di Homo dei resti fossili scoperti nel 2003 a Flores.
Non si placa la disputa su quale sia la reale natura del minuscolo ominide i cui resti fossili furono scoperti nel 2003 sull’isola indonesiana di Flores. Alcuni paleoantropologi la considerano una nuova specie di Homo – Homo floresiensis – vissuta fino ad appena 18.000 anni fa, mentre altri sostengono che si tratti solamente di resti di uomini affetti da nanismo e microcefalia.
A rinfocolare la polemica è giunto un articolo pubblicato sui Proceedings of the National Academy of Sciences in cui viene illustrata una ricerca condotta da Ralph Holloway, della la Columbia University, sulla cui base l’autore pensa si debba negare lo statuto di specie a se stante allo “hobbit”, come era stato soprannominato l’H. floresiensis.
In questo ultimo studio, i ricercatori hanno usato la risonanza magnetica per stabilire le dimensioni della cavità cranica e i rapporti fra le sue differenti regioni in 21 bambini affetti da microcefalia, confrontandoli con quelli di 118 bambini normali. Successivamente hanno eseguito analoghe misure su crani di 10 uomini microcefali, 79 uomini normali, 17 di Homo erectus, 4 di Australopithecus e infine i fossili di Flores.
Confrontando i dati ottenuti, i ricercatori hanno osservato che quelli relativi allo hobbit non rientrano nel range di variazione né dell’essere umano moderno normale, né in quello di H. erectus, ma ricadono in quello di uomini affetti da microcefalia.
La risposta di Peter Brown, dell’Università del New England, ad Armidale in Australia, – uno dei ricercatori che ha scoperto i resti fossili – non si è fatta aspettare: “Le proporzioni del calco sono completamente irrilevanti per l’attribuzione di questo fossile alla specie floresiensis”, ha dichiarato a Nature. “E’ stata piuttosto la dimensione del cervello rispetto a quella del corpo a essere cruciale, e qui non è stata minimamente presa in considerazione.”
Altri ricercatori hanno poi sostenuto l’ipotesi di Brown con dati relativi ad altre misure antropometriche relative alle mani e ai piedi.
E Dean Falk della Florida State University a Tallahassee – che in passato aveva eseguito misurazioni endocraniche utilizzando tecniche di tomografia – ha avanzato dubbi sul fatto che le misurazioni effettuate da Holloway fossero state distorte dalle incrostazioni e crepe presenti nei resti fossili, dato che le misurazioni da lui stesso eseguite lo avevano fatto propendere per la conclusione opposta. Obiezione, questa, liquidata da Holloway come “ridicola”.
Altri paleontologi ancora, come Jungers Guglielmo della Stony Brook University a New York non si dicono convinti né dall’una né dall’altra tesi, notando che tutte le altre parti in causa hanno sottovalutato la somiglianza di alcuni tratti del fossile di Flores con quelli di Australopithecus.
Un risposta conclusiva, a quanto pare, potrebbe venire solo dall’esame del DNA dello hobbit, uno studio già proposto nel gennaio scorso dai ricercatori del Max Planck Institut per la biologia evoluzionistica a Lipsia – un gruppo di ricerca particolarmente esperto in questo campo – anche se, è stato rilevato, le temperature molto elevate a cui sono stati esposti i resti fossili, soprattutto durante le fasi di scavo, rendono pessimisti sulla possibilità di estrarre un DNA non eccessivamente frammentato per poter condurre tali analisi

Fonte: Le Scienze.it, 10 agosto 2011.

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