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Giuseppe SGUBBI, L’ennesima ipotesi sul dodecaedro romano.

Nonostante il pronunciamento di un nutrito gruppo di studiosi e di  professori, il Dodecaedro, un reperto di epoca romana, sta passando alla storia come un “oggetto misterioso”. Cotesto oggetto ha 12 facce pentagonali, ognuna delle quali ha un buco circolare o ellitico, di diametri diversi.
Al riguardo sono state fatte varie ipotesi, ma solo quella della professoressa Amelia Carolina Sparavigna (Politecnico di Torino) è sembrata particolarmente interessante; a suo parere potrebbe trattarsi di uno strumento ottico per misurare le distanze, cioè un telemetro.
Al seguito di un approfondito studio effettuato su un dodecaedro, la Sparavigna ha potuto spiegare molto bene ed in modo molto convincente la sua possibile utilizzazione. Una sua affermazione ha particolarmente colpito: ruotandolo su sé stesso, era possibile ricavare sei misure diverse.
Questa è stata la “molla” che ha permesso di effettuare una ulteriore ipotesi: tale oggetto ben si prestava ad essere usato dagli agrimensori romani, per tracciare una centuriazione.
Più volte mi sono chiesto con quali strumenti gli agrimensori romani effettuavano le necessarie e complesse misurazioni riguardanti tale pratica; probabilmente ho trovato una possibile risposta.
Approfondiamo un po’ l’argomento.
Una delle prime cose che facevano i romani dopo aver conquistato un territorio era quello di bonificarlo e di dividerlo in appezzamenti, detti centurie, allo scopo di consegnarle ai coloni.
Come è noto con un attrezzo detto Groma, tracciavano una strada detta Decumano Massimo (da Est ad Ovest), ed una altra,  detta Cardine Massimo (da Sud a Nord). Parallelamente ed equidistanti a queste strade, per tutta l’area che intendevano centuriare, ne venivano tracciate delle altre.
A seguito di queste operazioni, il territorio diventava una scacchiera con identici quadrati o rettangoli, detti centurie, che a loro volta erano oggetto di ulteriori suddivisioni interne.
Le centurie più comuni erano di 20 x 20 Actus, cioè aventi un lato di circa 705 metri ed una superficie di circa 50 ettari, ma in considerazione del fatto che per un insieme di motivi, venivano pure tracciate centurie di diverse misure, risulta evidente che vi era la necessità di effettuare moltissime e diverse  misurazioni.
Vediamo anzitutto quale era il sistema da loro usato per misurare le distanze lineari. Le loro misure erano basate sul piede (cm 29,57), sul passo, che era un doppio passo, 5 piedi (m. 1,48), sulla pertica, dieci piedi (m.2,95), sull’actus, 120 piedi (m. 35,5), sul miglio, 1000 passi (1480 metri).
Dal Corpus Agrimensorum (il più importante trattato sulla centuriazione) e da altre fonti, è possibile conoscere alcuni strumenti che gli agrimensori usavano per misurare: il già ricordato Passo, la già ricordate Pertica, la già ricordata Groma, il poco noto Hodometrom (uno strumento formato da ingranaggi, che adattato alle ruote di un veicolo, permetteva di misurare le distanze effettuate, più o meno come un conta chilometro) e naturalmente delle funi.
Grazie a tutti questi strumenti, specialmente sui terreni ben livellati, era possibile effettuare delle misurazioni quasi perfette; ma che dire quando ci si trovava di fronte a terreni accidentati, in  presenza di corsi di acqua, oppure altri ostacoli naturali?  Ecco che sarebbe stato utilissimo poter usufruire di uno strumento che permettesse  misurazioni “ad altezza d’uomo”, per esempio un Dodecaedro, purchè provvisto di fori.
Se la ipotesi della Sparavigna risultasse credibile, non si vedrebbe la ragione per cui gli agrimensori romani, seppur molto preparati ed organizzati per superare le varie difficoltà, potendo disporre di un Dodecaedro, non l’avessero usato.
Se questa mia ipotesi trovasse conferma, il Dodecaedro non sarebbe un telemetro, ma piuttosto un telepassus oppure  ancor meglio un teleactus.
Alcune importanti considerazioni.
Come è noto molti autori di epoca greca, Platone, Pitagora ecc, ricordando il Dodecaedro, lo descrivono come una figura geometrica con 12 facce, ma senza fori; per questo motivo i fori non possono che essere stati aggiunti solo in epoca romana. Da questi antichi scrittori abbiamo pure appreso l’importanza che rivestiva il numero 12, e che da tale numero è derivata la parola Dodecaedro.
Non si può affatto escludere che grazie a tale derivazione i romani possano aver scelto fra i solidi Platonici ed adattato alle loro esigenze, proprio un Dodecaedro, strumento che, oltre a permettere di disegnare perfette figure geometriche: angolo, rettangolo, quadrato ecc, cosi importanti per la pratica agrimensoria, contiene come numeri di base sia il 12 che il 5, le misure “auree” della centuriazione e dell’astronomia. 
Contrariamente alla convinzione generale, il Decumano, la più importante strada della centuriazione, non deriva da Decimano (10), ma da Duodecimano (12), in quanto il percorso di questa strada corrisponde al tragitto effettuato dal sole  in occasione dell’equinozio di primavera, perciò divisione del giorno in due parti.
Alla luce di queste considerazioni, e di altre che sicuramente scaturiranno da ulteriori approfondimenti, l’ipotesi ne esce rafforzata.

Autore:
Sgubbi Giuseppe – e-mail: Joselfsgubbus@libero.it

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