Archivi

SAN MARINO. Artemidoro, 9 interrogativi sulle disavventure di un papiro.

konvolut_200x327
Per «salvare» un falso se ne fabbrica un altro? Non è un gesto molto prudente. Quando il cosiddetto «papiro di Artemidoro» (presentato al principio come una mirabolante, ancorché costosa, scoperta) ha incominciato a traballare, è stata sfoderata, per puntellarlo, una foto che avrebbe dovuto mettere a tacere i critici e i dubbiosi: il cosiddetto «Konvolut».
La foto raffigura un oggetto oblungo assai confuso, sul quale spiccano, quanto mai nitide, sequenze di lettere alfabetiche, tutte in corretto orientamento di lettura (!), tratte dal papiro. Occhieggiano anche, dalla foto, alcune sequenze di lettere, che si pretende appartengano ai fantomatici documenti che – secondo la leggenda messa in circolazione – dovevano far parte dello stesso ammasso di «carta straccia» in cui era finito il rotolo (lungo oltre due metri) dell’«Artemidoro». Per «strafare», si è voluto che dalla foto occhieggiasse anche una gamba della giraffa raffigurata sul verso del papiro (insieme ad altri 39 animali). Anche questa gamba, davvero educatamente, si presenta nello stesso orientamento della scrittura.
Dal primo momento la foto, che avrebbe dovuto tenere «le umane genti» «contente al quia», parve essere un fotomontaggio. Né passò inosservato il modo sfuggente adottato per indicare cosa mai essa rappresentasse: «il Konvolut in fase di smontaggio» (così fu detto e scritto) e fu premesso che esso aveva costituito il «riempitivo di oggetto non identificato».
Se si pensa che pochi anni prima la leggenda era invece molto netta e asseriva che il papiro era scaturito da una maschera funeraria (lacrimante inchiostro), si deve ammettere che da quella giocosa e solare invenzione alla fitta nebbia dell’«oggetto sconosciuto» e del suo riempitivo «in fase di smontaggio» il passo è stato davvero un paradossale tragitto dal cosmos al chaos…
Ma non ci si è voluti fermare alle prime impressioni. Nell’aprile 2009 una relazione tecnica, allestita da una équipe della «scientifica» Marche-Abruzzo, documentò che di fotomontaggio si trattava (ne parlò questo giornale il 29 aprile).
Si scoprì infatti che quelle nitide lettere alfabetiche, tutte bene orientate per agevolare il lettore, erano anche perfettamente sovrapponibili alle medesime lettere figuranti nel papiro disteso; in barba alle più elementari leggi della prospettiva e a dispetto del fatto che quelle occhieggianti dal «Konvolut» avrebbero dovuto essere ben ben ciancicate, strapazzate etc.
A questa relazione scientifica (apparsa poi in «Quaderni di storia», n. 70) reagì flebilmente un metafisico (nel volume antologico della casa milanese Led, Intorno al papiro di Artemidoro, pubblicato nello scorso marzo), ma il suo intervento non fece in alcun modo progredire l’indagine, recò solo una nota di amarezza intonata al «vanitas vanitatum».
Più nel merito delle cose voleva andare invece un intervento insistentemente richiesto al fotografo tedesco Baumann. Tale intervento, svoltosi finalmente a Colonia lo scorso 23 settembre, ha dovuto scontrarsi con un imprevisto: ai primi dello stesso mese infatti era uscito un volume (La vera storia del papiro di Artemidoro, edizione del mensile «Stilos») contenente ben due nuove relazioni tecniche che portavano prove definitive del fotomontaggio: 1) la grana della foto varia inspiegabilmente nelle zone con scrittura rispetto al resto e inoltre non è compatibile con esempi di fotografie sicuramente databili agli anni Ottanta; 2) la carta fotografica su cui è stampata la foto è databile, in base al marchio di fabbrica, tra il 1988 e il 1994; e poiché il papiro era già bello e disteso nel 1981 (vedi Gallazzi, Kramer, Settis, Il papiro di Artemidoro, Milano, Led, 2008, p. 54), il «Konvolut» che lo conteneva ancora appallottolato non poteva essere stato fotografato sette o dieci anni dopo essere stato smontato.
Era una catastrofe. E infatti disastroso fu l’incontro coloniese, come si ricava dalla cronaca che ne pubblicò la «Frankfurter Allgemeine Zeitung» domenica 26 settembre.
A questo punto un pool di ricercatori e competenti di varie discipline tecniche (fotografiche e chimiche) ha dato mano, e ha realizzato nei giorni scorsi, un convegno «Fotografia e falsificazione» (Università di San Marino, Dipartimento di Storia, 5-6 novembre), di cui quanto prima saranno pubblicati gli atti.
Tra le nuove prove della falsificazione, emerse grazie alle quattro relazioni portanti, segnaleremo qui la più impressionante: quelle belle e nitide lettere, così bene orientate in posizione di lettura, sono anche poggiate sull’immagine sottostante; esse sorpassano, senza soffrire né interrompersi, persino le più evidenti fratture del supporto. Insomma sono subentrate in un secondo momento rispetto ad una preesistente fotografia.
Il convegno, alla cui apertura è stata mostrata la tavola settecentesca di disegno accademico e che appare senza possibilità di dubbio essere una fonte della «tavola» figurante nel bel mezzo del recto del papiro, si è concluso con la formulazione di un gruppo di domande rivolte a chi di quella incauta foto si è fatto fornitore e propagatore:
1. Perché è stata abbandonata la iniziale asserzione secondo cui il papiro proveniva dallo smontaggio di una maschera?
2. Perché è stato tirato in ballo un surrogato della maschera, ma si è preferito non definirlo in alcun modo?
3. Perché si è voluto far credere del tutto fantasiosamente (ed. Led, pp. 60-61) che l’unica foto esistente di tale «oggetto- surrogato» avesse dimensioni di cm. 33 per 11, mentre la foto effettivamente depositata presso il centro Vogliano di Milano è di cm 14,5 per 8,4?
4. Perché la foto (conservata a Milano, Centro Vogliano) è stata ritagliata su ben due lati, come si evince da un raffronto con le misure standard della carta fotografica allora in commercio? Si intendeva celare qualcosa di indesiderato?
5. Perché la fotografia originale del «Konvolut», che teoricamente dovrebbe avere almeno 30 anni e forse più (nel 1981 il papiro era già disteso), non mostra l’inevitabile, coerente decadimento cromatico, ossia la tipica colorazione rossiccia che le stampe chimiche evidenziano con il passare del tempo (la cosiddetta «deriva chimica»)?
6. Come è pensabile che dentro l’oggetto lì raffigurato ci fossero 50 frammenti del cosiddetto «Artemidoro» e inoltre gli asseriti 150 frammenti dei fantomatici documenti?
7. Perché è stata taciuta fino al giugno 2010 l’esistenza del negativo di quella foto?
8. E come mai esso rientra (così dichiara il proprietario dottor Simonian) in una striscia di quattro fotogrammi, tre dei quali riguardano tutt’altro soggetto?
9. Quali sono i dati di fabbrica di tale pellicola (marca, data del lotto, codice) visto che l’asserita «pellicola Xerox» non è mai esistita?

Accettando il reiterato invito rivoltogli a prender parte al seminario sammarinese, il dottor Simonian avrebbe forse aiutato a chiarire questi interrogativi. Purtroppo così non è stato, ed anche la reiterata richiesta di una scansione di quell’unico fotogramma è caduta nel vuoto.
In queste condizioni ogni ulteriore silenzio su questi punti essenziali suonerebbe come conferma definitiva che siamo di fronte ad un doppio falso.

Autore: Luciano Canfora

Fonte: La Stampa, 15 novembre 2010

Segnala la tua notizia