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VICENZA. Le indagini al Dal Molin costano oltre 2,6 milioni.

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Ventuno dicembre 2012. Lasciando da parte i Maya e le loro profezie, è la data che presumibilmente segnerà, giorno più giorno meno, la fine della presenza degli archeologi all’interno del Dal Molin.
La chiusura del cantiere esplorativo e di studio affidato dalla committenza statunitense alla Soprintendenza per i beni archeologici del Veneto, invece, avverrà sempre prima di Natale, ma di quest’anno.
SCAVI.
Dunque, due anni e mezzo di indagini importanti più altri 12 mesi di assistenza durante la posa dei sottoservizi, per una spesa complessiva pari a quasi 2milioni e seicentomila euro. Con la clausola, prevista nel contratto, di ulteriori 6 mesi per la consegna della documentazione definitiva agli uffici dell’ente statale diretto dal soprintendente Vincenzo Tiné. Numeri a cui ne vanno aggiunti altri, a cominciare proprio dalle due fasi in cui, dal maggio 2009, l’intervento è stato suddiviso. Con grande disponibilità, Soprintendenza di Padova e Us Army Garrison di Vicenza, rappresentante del Governo per tali indagini, ricordano quanto finora fatto affidando il racconto alla dottoressa Anna Ciccotti, addetta alle relazioni esterne del Comando Guarnigione.
«Si tratta di una comunicazione coordinata con il dottor Tiné, nello spirito di massima collaborazione e trasparenza. Le procedure richieste dalla Soprintendenza sono state articolate in due livelli progressivi di approfondimento dell’indagine. E la seconda fase è stata subordinata all’emersione di elementi archeologicamente significativi nella fase precedente». Primo punto, dunque, verifica di interesse archeologico tramite scavo di trincee e saggi di ispezione.
Completata nel giugno del 2010 dopo più di 1200 trincee e saggi che hanno evidenziato ben 3 siti significativi: l’acquedotto romano, un insediamento di epoca romana e soprattutto un altro di epoca neolitica, che porta indietro le lancette della storia di Vicenza di migliaia di anni, fino alla cultura di Fiorano, come sottolineato in alcuni incontri sull’argomento svolti ai chiostri di S.Corona. «I rinvenimenti neolitici, attestabili a 6500 anni fa, seppure costituiti da labili tracce, da ecofatti frammentati e da strutture spesso evanescenti, hanno permesso la ricostruzione di un vasto insediamento. Queste attestazioni rinnovano l’interesse sulla più antica civiltà della pianura padana, le prime popolazioni stanziali dedite all’agricoltura ed all’allevamento che scelsero questo posto come luogo in cui vivere». Un unicum per Vicenza, dove qualcosa del genere (ma non ritrovamenti così complessi) pare sia emerso anni fa in contrà Carpagnon.
INTERVENTI.
La fase due, «quella – si legge nella nota – degli scavi archeologici veri e propri, della conservazione e della protezione dei rinvenimenti archeologicamente rilevanti ai sensi del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, relativamente a singoli rinvenimenti e al loro contesto, attività tuttora in corso, continua in corrispondenza di alcune aree». Insomma, un cantiere importante per la storia cittadina se è vero che «lo scopo preminente era la comprensione delle potenzialità archeologiche di un’area della pianura vicentina assai poco conosciuta dal punto di vista dell’insediamento umano protostorico. Le indagini di archeologia preventiva hanno evidenziato la presenza di tracce antropiche che coprono un arco temporale di 60 secoli».
Posti in luce anche l’acquedotto, un’area destinata presumibilmente al cambio di cavalli, un ricovero degli armenti e la lavorazione dei prodotti della terra nonché, ma di epoca rinascimentale, una fornace per laterizi.
Un lavoro certosino che, assieme alla lista dei reperti rinvenuti, dovrebbe trovare divulgazione a partire dal 2013. In che modo è ancora un punto di domanda. Di sicuro gli scavi saranno ricoperti e di loro, per ora, restano solo fotografie e quaderni densi di appunti.

Autore: Roberto Luciani

Fonte: Il Giornale di Vicenza, 05/12/2011

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