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SOMMA VESUVIANA (Na). La Villa di Augusto.

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Il bilancio di vent’anni di scavi della missione diretta da Masanori Aoyagi dell’Università di Tokyo in collaborazione con l’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli
Un nuovo ambiente portato alla luce, strutture da indagare la cui datazione è probabilmente anteriore a quelle già scoperte e risalenti al II secolo d.C., un nuovo tassello nella ricostruzione storica dell’area interessata, questi i recentissimi e interessanti risultati delle campagne di scavo del 2022 nella Villa augustea a Somma Vesuviana in provincia di Napoli.
Posto sul versante nord del Vesuvio, un lato poco indagato dagli archeologi, l’edificio romano fu scoperto intorno agli anni ’30 del ’900 e denominato Villa augustea per la possibilità che fosse quello il luogo in cui morì Ottaviano Augusto, tesi poi smentita. L’avvento della guerra e la mancanza di fondi portarono all’oblio la villa fino al 2002, anno dell’inizio degli scavi condotti ancora oggi dall’Università di Tokyo in collaborazione con l’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli.
Abbiamo intervistato Antonio De Simone del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università napoletana, che sul cantiere è responsabile della conservazione e del restauro, che qui racconta gli esordi degli scavi e dell’interesse nipponico.
«Tra il 2000 e il 2001 colleghi stranieri m’interpellarono per un contributo di idee circa l’apertura di un cantiere di ricerca a Pompei dove avevo diretto lavori per 15 anni. Da parte mia feci notare che sarebbe stato più interessante tracciare un nuovo sentiero, un filone di ricerca in un territorio tra Nola e Napoli, sul lato oscuro del Vesuvio al quale nessuno lavorava. Masanori Aoyagi, con cui intrattenevo un rapporto di amicizia dal 1974 e che era presente alla discussione, si disse interessato e a maturare la scelta contribuì anche l’apporto dei colleghi Stefano de Caro e Umberto Pappalardo. Successivamente si strinse un rapporto convenzionato con l’Istituto Suor Orsola Benincasa (allora si chiamava così, Ndr) per cui, firmata la collaborazione più di 20 anni fa, l’intestatario della licenza di scavo era ed è tuttora Masanori Aoyagi per l’Università nipponica.
Tuttavia all’epoca il terreno era di un privato e si rischiava un forte rallentamento per l’inizio dei lavori nell’attesa dell’esproprio. I prezzi erano abbastanza economici e l’Università di Tokyo acquistò buona parte del suolo che ha donato qualche anno fa al demanio dello Stato. Il Comune di Somma Vesuviana ha acquistato o acquisito altri terreni, così oggi abbiamo 18mila metri quadrati di superficie su cui possiamo lavorare e che sono demanio pubblico, in parte comunale e in parte dello Stato. Inoltre, qualche anno fa, anche un privato di Somma Vesuviana comprò alcuni terreni per poi donarli al Comune e far procedere lo scavo, e quest’anno che avevamo necessità di una nuova scala di accesso, un altro donatore ci ha omaggiato di un’utilissima scala in ferro».

sommaQuale ruolo riveste la Villa augustea nello studio del territorio dopo il 79 d.C.?
Nonostante alcune zone d’ombra, del tutto normali in una ricerca archeologica, la villa è la testimonianza delle presenze a nord del Vesuvio, perché, fino ad oggi, quello che si conosceva bene era la zona costiera tra Napoli e Stabiae, mentre delle zone interne si conosceva ben poco. Il versante nord del Monte Somma, che è il Vesuvio del 79 d.C., è una fascia di grandissimo interesse compresa tra due grandi città, Nola, nell’interno a oriente, e Napoli, sulla costa a occidente. Si tratta di un territorio ricco ma sconosciuto: oltre questo scavo e un altro portato avanti solo dall’Università Suor Orsola Benincasa 4,5 km da Somma Vesuviana, sullo stesso versante e alla stessa altezza sul livello del mare, e che ha dato risposte interessanti, questo è il primo grande scavo abbastanza vasto che riesce a illuminare alcuni aspetti di quest’area.
Il nucleo architettonico sul quale stiamo lavorando è importante perché la villa fu costruita subito dopo l’eruzione del 79 d.C., è quindi un esempio di reinsediamento. L’area è stata meno interessata dall’eruzione che ha certamente causato danni ma il reinsediamento doveva essere più facile lungo questo versante. La villa rappresenta il pezzo mancante della parte costiera di cui conosciamo tutto, dall’antichità fino al 79; dopo abbiamo uno scenario di abbandono quasi totale, qui invece vediamo una ripresa fiorente e importante fino al 472 d.C., quando c’è un’altra grande eruzione del Vesuvio che colpì il versante nord, il Monte Somma, procurando devastazioni enormi.

Per la sua maestosità architettonica si attribuì alla Villa la denominazione «augustea» pensando vi fosse morto l’imperatore, ipotesi poi smentita. Che cosa si sa oggi della villa e del suo proprietario?
Abbiamo in luce strutture architettoniche per circa 3mila metri quadrati nascoste da una coltre di interramento con una potenza media di 12 metri, vi sono strutture che si elevano per un’altezza considerevole: tutto ciò è riconducibile a qualcuno che aveva la capacità e la ricchezza per potersi permettere una villa del genere. Questi 3mila metri quadrati sono da identificare con il quartiere di ingresso, una zona di architettura di apparenza, un ingresso monumentale alla villa, tutto il resto è ancora da scavare. La sorpresa è stata la scoperta di una grande cella vinaria.
La produzione di vino nell’area vesuviana è nota (esiste una bibliografia consolidata a riguardo) ma immaginavamo cessasse dopo il 79 d.C.; qui invece la produzione non solo continua, ma è particolarmente abbondante fino a tutto il V secolo e la cella vinaria attesta una produzione considerevole, 100mila litri di vino l’anno. La villa aveva una doppia funzione all’origine, era una struttura residenziale, cioè una residenza estiva con annessa una campagna coltivata, poi con il passare dei secoli la vita si è contratta in una parte dell’edificio che si trasformò in una struttura prevalentemente agricola, cioè in una villa rustica con un proprietario presente, come si evince dagli apparati decorativi e dalla grandezza.

sommaIl 26 gennaio 2023 lei racconterà dei nuovi scavi nel corso degli «Incontri di Archeologia» al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Che cosa hanno rivelato le ultime scoperte?
Le caratteristiche dell’area hanno sempre dato segnali che la villa doveva avere una preesistenza, ipotesi avvalorata dai numerosi materiali precedenti il 79 d.C. presenti in loco: per esempio due statue quasi integre e numerosi frammenti di altre sculture, tutte del periodo augusteo, unitamente ai «dolia» della cella vinaria anch’essi precedenti il 79. Ora sono venute a luce alcune strutture sulle quali indagheremo nella campagna del prossimo anno, strutture che non hanno niente a che fare con la villa che noi oggi osserviamo. Si tratta di un ambiente che presenta lungo un lato un muro che supera i 10 metri, sicuramente più antico della villa: dobbiamo scavarlo e indagare al livello di fondazione. Nel frattempo abbiamo comunicato i risultati di questa campagna di scavo con l’apertura straordinaria al pubblico per due giorni. Ogni anno, fatta eccezione per gli ultimi due a causa della pandemia, apriamo le porte della villa, soprattutto ai residenti. Negli anni ci siamo resi conto di aver bisogno dell’aiuto della Proloco di Somma con la quale ci siamo accordati per le visite: pur essendo un cantiere di scavo, riceviamo circa 15mila persone l’anno, tra scolaresche e gruppi.

Quando si svolgono le campagne di scavo?
Hanno inizio tra aprile, giugno e inizio luglio, si procede poi fino a ottobre. Il gruppo fisso di lavoro è costituito da quattro operai di una ditta esterna di supporto perché lo scavo è esteso ed è presente una gru, sette-otto ricercatori con diversi gradi di responsabilità e infine una decina di studenti prevalentemente italiani ma anche giapponesi.

Che cosa succede ai reperti rinvenuti?
Se i reperti sono di pregio si lavora affinché siano subito visibili presso il Museo Archeologico di Nola, mentre presso la missione giapponese vi è un deposito stracolmo di materiali: siamo in attesa che il Comune ci dia degli spazi in comodato d’uso. Di norma i restauri sono a spese del concessionario, in questo caso si prepara il progetto di restauro che deve essere approvato dalla Soprintendenza e poi affidato a restauratori privati. Inoltre tutta l’area messa in luce riceve ogni anno una copertura che garantisce un’eccellente conservazione degli scavi.

Autore: Graziella Melania Geraci

Fonte: www.ilgiornaledellarte.com, 31 ott 2022

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